P.Col., La Stampa 19/7/2014, 19 luglio 2014
TUTTI GLI ERRORI DELL’ACCUSA IN UNA PROCURA DILANIATA
Nel silenzio assordante piombato subito dopo la lettura della sentenza Berlusconi tra i corridoi della Procura, nessuno se la sente di fare commenti, di reagire. Il verdetto assolutorio per il Cavaliere, temuto, sussurrato, scongiurato, arriva a distanza di una settimana dalle assoluzioni Mediatrade in uno dei periodi più bui degli uffici al quarto piano di via Manara, divisi al loro interno da rivalità e sospetti e finiti sotto esame al Csm anche per l’assegnazione della stessa inchiesta «Ruby» alla grande inquisitrice, Ilda Boccassini. Un magistrato che, asserragliato nel suo ufficio, continua a dare filo da torcere alla criminalità organizzata e sembra distante dalle polemiche che la circondano. Eppure, la sentenza di ieri non è casuale. E, nonostante le dietrologie, non rispecchia tanto i patti politici tra Berlusconi e Renzi ma individua semplicemente degli errori nella gestione di un’indagine e premia la logica di una difesa che ha deciso, per una volta, di difendersi «nel» processo. Ci furono le 7 telefonate notturne da parte di Berlusconi e del suo caposcorta al capo di gabinetto della questura per «liberare» Ruby? Sì, ci furono. Ed è vero che all’allora premier stava a cuore la sorte della bella marocchina perché non voleva si sapesse quello che accadeva ad Arcore? Si, è vero. È vero che la fece consegnare a Nicole Minetti, la consigliera regionale che gestiva gli appartamenti del suo «harem» in via Olgettina? Non c’è alcun dubbio. E allora, ci si chiede, perché mai Berlusconi è stato assolto completamente? Perché un conto sono i fatti «storici», riconosciuti dalla stessa sentenza, un conto i reati con cui vengono rivestiti. «I giudici - spiega bene l’avvocato Coppi - non potevano fare altrimenti. Non potevano derubricare il reato nella più lieve concussione per induzione perché la Cassazione a sezioni unite ha stabilito che per l’induzione si sarebbe dovuto dimostrare anche un vantaggio per chi aveva risposto alla richiesta di Berlusconi». E fu proprio la procura, con la famosa conferenza stampa di Bruti Liberati, 4 giorni dopo l’iscrizione di Berlusconi sul registro degli indagati, ad escludere che i funzionari della questura avessero ottenuto dei vantaggi. Si scelse di non inquisirli. Questo ha consentito ai poliziotti di presentarsi al processo negando l’evidenza, al punto che i presidenti dei tribunali hanno disposto per loro un’indagine coatta, che stenta però a decollare. C’è poi il cambio di marcia della difesa Berlusconi che cedendo il passo a due professionisti come Coppi e Dinacci, capaci di farsi amare dai giornalisti e chiaramente poco innamorati del loro cliente, hanno saputo individuare gli errori dell’accusa, senza tecniche dilatorie e senza negare l’evidenza dei fatti: nessuno ha mai parlato di «cene eleganti», nessuno ha mai messo in dubbio che ad Arcore ci fosse «un puttanaio». Ma un conto sono i fatti, un altro gli eventuali reati. Il risultato è che la sentenza crea un nuovo squilibrio. E rimanda la palla in Cassazione.
[pao. col.]