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 2014  luglio 19 Sabato calendario

LA MIA GUERRA CON SCARLETT JOHANSSON

«Bussarono alla sua porta. Arthur Dreyfuss stava guardando un episodio dei Soprano. Sobbalzò. Urlò: Chi è? Bussarono di nuovo. Andò ad aprire. E non credette ai suoi occhi. Davanti a lui c’era Scarlett Johansson». I problemi legali di Grégoire Delacourt sono incominciati a pagina 13 del suo ultimo libro, La prima cosa che guardo (Salani editore).
È stato quando ha deciso di mettere in scena un’improbabile storia d’amore tra un anonimo garagista del nord della Francia e l’attrice americana più sexy del momento. Qualche giorno fa l’editore Lattès è stato condannato a risarcire 2.500 euro per violazione della privacy, più le spese giudiziarie. È l’epilogo di una battaglia giudiziaria lanciata un anno fa da Johansson che ha un fidanzato francese e vive parte del tempo a Parigi. «Ma abbiamo vinto sul diritto a creare storie di fiction sulla base di personaggi reali. Sono uno scrittore e come tale rivendico il diritto a usare senza limiti la mia immaginazione», puntualizza Delacourt, ex pubblicitario diventato famoso con il romanzo Le cose che non ho.
Negli ultimi tempi sono sempre di più i casi di romanzieri finiti in tribunali. Se Emmanuel Carrère, capofila del genere tipicamente francese dell’autofiction, ha in qualche modo informato e reso partecipi i protagonisti veri dei suoi libri, dall’omicida Jean-Claude Romand al rivoluzionario punk Eduard Limonov, altri scrittori si sono impadroniti dei loro soggetti senza tanti convenevoli. Christine Angot è stata condannata a pagare 40mila euro di danni e interessi alla moglie di un suo ex amante rappresentata in Les Petits , così come Marcela Iacub ha versato 50mila euro a Dominique Strauss-Khan per il suo Belle et Bête in cui raccontava la sua torbida liaison sessuale con l’ex direttore del Fmi.
Brutto segno quando uno scrittore finisce davanti a un giudice?
«Gli avvocati dell’attrice volevano addirittura mandare al macero il romanzo, chiedendo di impedire la vendita di diritti all’estero o per farne un film. Sembra il Medioevo. La narrativa deve rimanere un mondo a parte, protetto. Abbiamo il diritto e dovere di raccontare il mondo contemporaneo, attraverso i nostri strumenti che non sono quelli della stampa ma della letteratura, con un’inevitabile parte di finzione».
Chiunque può diventare una preda letteraria?
«Ho usato Scarlett Johansson come simbolo, il cliché di un certo universo cinematografico ed erotico. È un personaggio pubblico, appartiene a tutti. Il mio caso è diverso da romanzieri che si ispirano a persone non celebri. E comunque la maggior parte degli scrittori riprende episodi biografici, cambiando magari nomi e situazioni. Questo è il nostro mestiere. Se si comincia a censurare, si può arrivare molto lontano. Nel mio romanzo, ad esempio, c’è un personaggio che muore in un incidente stradale perché non si apre l’airbag. Spingendo il ragionamento degli avvocati di Johansson, anche la marca automobilistica citata nel testo potrebbe farmi causa».
Alla fine Johansson ha davvero bussato alla sua porta, ma non con le migliori intenzioni. Se l’aspettava?
«Ingenuamente pensavo anzi che il libro le sarebbe piaciuto. Non pensavo che mi avrebbe mandato dei fiori, ma almeno offerto un caffè. La cosa incredibile è che la denuncia è stata presentata poco dopo la pubblicazione in Francia, quando ancora non esisteva una traduzione in inglese né in nessun altra lingua. Temo che non abbia
neppure letto il libro, visto che nel seguito del romanzo si scopre che il personaggio è un sosia di Johansson ».
«Arthur Dreyfuss aveva l’ossessione delle tette. Di quelle grosse intendo». Forse l’attrice è rimasta turbata dall’incipit?
«È quel che ha detto il suo entourage. Hanno pensato che il mio fosse un libro osceno, una sorta di Cinquanta sfumature , mentre invece è un inno alla bellezza autentica e all’amore disinteressato. Volevo fare una favola contro il culto dell’apparenza e della notorietà».
Lei è stato condannato per aver scritto di presunte scappatelle dell’attrice con Kieran Culkin e Jonathan Ryes Meyers.
«È l’unico punto su cui gli avvocati di Johansson hanno vinto. Si vede che le mie informazioni erano false. Non mi sembra comunque la parte più interessante della sentenza che invece ha il merito di proteggere il nostro diritto di scrittori a reinventare la realtà. È una notizia rassicurante».
Perché costruire un personaggio ispirato alla diva hollywoodiana?
«Volevo che i lettori visualizzassero subito un volto e un corpo, un tipo di bellezza universalmente conosciuta. Scarlett Johansson è la Marilyn Monroe dei nostri tempi. Quando un garagista apre la porta di casa e se la trova davanti non esistono dubbi possibili».
Nel gioco delle somiglianze, anche il protagonista maschile è un sosia di Ryan Gosling.
«E si chiama pure Arthur Dreyfuss, come uno scrittore francese che esiste davvero. Mi sembrava divertente portare all’estremo la confusione di volti e nomi. A un certo punto il falso Ryan Gosling attratto da una falsa Scarlett Johansson la confonde con Angelina Jolie».
Anche Jeanine Foucamprez, la vera donna che bussa alla porta del garagista, vive nell’illusione di essere un’altra?
«Ho pensato di scrivere questo romanzo dopo aver letto un sondaggio in cui una ragazza su due tra i 15 e i 25 anni confessava di voler ricorrere alla chirurgia estetica. È terribile.
Vuol dire che in un’età in cui il fisico non è neppure del tutto sviluppato, si può già sognare di avere un altro corpo. Magari simile a qualche attrice di Hollywood o di mannequin anoressiche. Anche se non sono un militante, considero il mio romanzo una sorta di manifesto femminista. Come diceva Jean Cocteau: “È una bugia che dice la verità”».