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 2014  luglio 19 Sabato calendario

BOCCASSINI, BRUTI E IL CLIMA D’ASSEDIO

Boccassini sconfitta? A Milano, in procura, non ci stanno. Rilanciano: «Sono mesi che il nostro ufficio è finito nel mirino della delegittimazione». Vedi l’ultima decisione del Csm proprio contro Boccassini per via del (presunto) mancato coordinamento con Roma sulle indagini antimafia. Il processo perso? La replica è argomentata, perfino causidica: «Questo processo non si poteva non fare. Se l’azione penale è obbligatoria, e di certo lo è ancora, perché non ci risulta che abbiano già fatto una riforma per cambiare le regole, sarebbe stata un’omissione grave far finta di niente, andare avanti come se quella notte in Questura a Milano non fosse accaduto nulla, come se Ruby non fosse mai stata fermata, come se Berlusconi non avesse mai telefonato al capo di gabinetto Ostuni, come se non ci fosse testimonianze molteplici sulle “feste” di Arcore, come se la localizzazione dei telefoni non dimostrasse che Ruby aveva dormito nella medesima residenza dell’allora capo del governo ». Ma i giudici adesso hanno assolto Berlusconi: «Sì, è vero, ma se per la concussione hanno scritto che “il fatto non sussiste”, per la prostituzione minorile hanno detto che “il fatto non costituisce reato”». Quindi il fatto esiste. Su quello si è indagato e si è andati al processo, vinto in primo grado. Ecco, a Milano si comincia da qui, da questa considerazione giuridica, per cominciare a scavare la profonda trincea nella quale il drappello di toghe, che ha fatto e che ha creduto nel processo Ruby e nelle indagini di Boccassini, ha deciso di scendere per difendersi dagli strali della destra (e non solo).
Flash back obbligatorio. È sulle prime pagine dei quotidiani del mondo, un anno fa, la notizia che l’italian prosecutor Ilda Boccassini ha ottenuto la condanna dell’ormai ex premier. Per la verità Ilda “la rossa”, anche se da un po’ i capelli tendono al biondo, di copertine di settimanali famosi se n’è conquistate molte grazie alle sue inchieste. Eccola, per Time, nella classifica delle 100 donne più potenti del mondo. Famosa per le indagini su Cosa nostra, per la collaborazione con Giovanni Falcone, per le indagini sulla sua morte, ma anche per un filone importante del-
le sue inchieste, sulle toghe sporche di Roma, su Previti e le sentenze comprate per conto del Cavaliere. Una carriera che la consegna alla storia della magistratura per il rigore, perfino maniacale, dei riscontri. Ne sanno qualcosa le forze di polizia che lavorano con lei.
Ebbene, che succede adesso? Crolla un mito? Qui bisogna muoversi con cautela, perché un processo perso è sempre una sconfitta. Se poi di mezzo c’è un ex premier ovviamente tutto pesa di più. A Milano, ufficialmente, le bocche sono cucite. Telefoni chiusi. Neppure repliche agli sms. Ma qualche confidenza, magari mediata, infrange il muro del silenzio. Lo sfogo non si concentra tanto sulla sentenza, di cui si attendono le motivazioni, perché su quelle si farà appello e ci si confronterà giuridicamente. Il malumore più forte, non da oggi in verità ma da mesi, riguarda il clima che si respira contro la procura di Milano e contro Ilda Boccassini. Soprattutto a Roma. In particolare al Csm.
Ecco le considerazioni più forti. «Abbiamo dato fastidio con le nostre inchieste, l’ultima sicuramente è quella su Expo, e il clima in Italia nei riguardi della magistratura non è più quello degli anni e dei mesi scorsi, quando una vicenda come quella di Bruti e di Boccassini al Csm non si sarebbe mai verificata e non sarebbe finita com’è finita ». Di mezzo c’è il procuratore aggiunto Robledo, e questo aumenta
l’imbarazzo. Ma chi sta con Bruti e Boccassini è convinto che a Roma non sarebbe andata com’è andata — gli atti per entrambi ai titolari dell’azione disciplinare — se non ci fosse stata la voglia di colpire Milano proprio alla vigilia del processo Ruby.
Intendiamoci, nel processo di primo grado il pm aveva contestato a Berlusconi, per via della telefonata con Ostuni, l’induzione indebita a dare o promettere utilità, il famoso reato inventato dall’ex Guardasigilli Paola Severino, e non la concussione. I pm di Milano potrebbero prendersela con il tribunale del primo processo, ma si guardano bene dal farlo. Per certo invece, sono adirati contro il Csm. Continuano a dirlo, ne parlano con i colleghi dl altre città. Perché è da lì, soprattutto nel caso di Boccassini, che sarebbe arrivato un chiaro segnale di ostile inimicizia. Per giunta arrivato proprio a 48 ore dalla sentenza d’appello. Un caso? Si chiedono a Milano. L’altra sera, quando a Roma hanno votato, a palazzo di giustizia, nelle stanze della procura, hanno detto subito che era un segnale su Ruby. Adesso possono dire di aver avuto ragione.