Pietro Colaprico, la Repubblica 19/7/2014, 19 luglio 2014
BERLUSCONI ASSOLTO PER IL RUBYGATE: «NON CI SONO REATI»
Era stato una battaglia campale, il processo di primo grado. Rumoroso e lungo, con 50 udienze in due anni e più, immerse in un batti e ribatti popolato di facce e di voci: Silvio Berlusconi era stato condannato a sette anni. È stato una gara di fioretto, questo veloce (appena quattro udienze), elegante e «cartaceo» processo d’appello, e Berlusconi da ieri è tornato innocente, cancellata una pena a sette anni.
LE CARTE E LE VOCI
Solo il deposito delle motivazioni potrà illuminare il percorso che smacchia, a sorpresa, l’ex presidente del consiglio. Non mancherà il ricorso della procura generale in Cassazione. Quindi la partita non è del tutto chiusa, finita. Ma davanti ai giudici d’appello Enrico Tranfa, Ketty Lo Curto e Alberto Piccinelli non sono risuonate - come in primo grado - le dichiarazioni spontanee di un impappinato Berlusconi. Né le frasi contradditorie e assurde delle sue invitate alle feste. Né i «non ricordo » dei poliziotti. Leggere le carte giudiziarie è «una cosa», vedere in faccia le persone è «un’altra cosa». E chissà che non stia anche in questo diverso modo di vivere i due processi una delle ragioni dell’assoluzione dell’imputato unico, che rende raggiante la coppia di avvocati Franco Coppi, un mito del foro, e Filippo Dinacci, così diversi, quasi «decoubertiniani » nello stile, rispetto alla mutria perenne del tandem (precedente) Ghedini-Longo.
L’ACCUSA
Il sostituto procuratore generale Piero de Petris venerdì 11 luglio aveva riletto, sminuzzato e vagliato ogni singolo fatto accaduto. E spiegato, punto per punto, come e perché Berlusconi aveva, a suo dire, commesso i due reati. E come la condanna a sette anni andasse confermata. Il capo A era basato - è noto - sulla telefonata in questura di Berlusconi tra il 27 e il 28 maggio 2010 e l’invio immediato da parte sua di Nicole Minetti in via Fatebenefratelli. Una pressione per far uscire velocemente dalle grinfie dei detective la ciarliera diciassette marocchina, spacciata per egiziana e nipote del presidente Moubarak. Quel modo di fare configurava, per il sostituto de Petris, «un ordine ». Dal quale i funzionari della questura non avevano potuto sottrarsi per «paura rispetto alla carriera», dando credito persino al rischio fasullo di un incidente diplomatico.
Il magistrato, per rafforzare l’idea della concussione per «costrizione » aveva sottolineato come all’inizio i poliziotti erano stati efficienti, ma dal momento della telefonata da Parigi s’erano affannati a «coprire» la storia della minorenne. Una invitata alle «tristi serate» di Arcore, per fare bunga bunga e consumare sesso, ricevendo in cambio soldi e gioielli (come non poche altre).
LA DIFESA
Viceversa, gli avvocati, avevano glissato sui possibili «punti deboli » per contrattaccare su due fronti. Dinacci s’è assunto, con successo, l’impegno di provare a sgretolare i cardini legali della prima sentenza. Mentre Coppi ha bombardato il senso più profondo del reato e della consapevolezza di commetterlo, del «dolo». Dove e quando è stato dimostrato che Berlusconi, in quelle sue notti «un po’ scollacciate », sapeva di avere tra le mani una minorenne?, aveva protestato martedì 15 luglio. E quale concussione, domandava Coppi, commette Berlusconi? Al massimo si trattava, rilanciava sornione, di «timore reverenziale» da parte dei poliziotti. Tanto più che, sempre stando agli avvocati, Berlusconi era «davvero convinto» - assicurano impassibili - della parentela tra Ruby e Mubarak.
LA QUALIFICAZIONE DEI REATI
Non si sa se persino i giudici dell’appello abbiano creduto a questa «balla» (definizione del questore del tempo) o se l’abbiano ritenuta (più probabile) ininfluente. A far prendere la bilancia a favore di Berlusconi sul capo A
possono essere stati, infatti, i dubbi sulla qualificazione giuridica della concussione. La procura milanese - occorre ricordare aveva proposto la concussione «per induzione». No, li avevano contraddetti i giudici di primo grado: è «concussione per costrizione». Versione del reato mantenuta dalla procura generale.
Invece, per la corte presieduta da Tranfa, potrebbe essere ritornata in auge come qualifica la concussione per induzione. E qui scatta l’inghippo: dopo la riforma fatta approvare all’ex ministro Paola Severino, «l’induzione » prevede un «vantaggio » per l’ipotetico concusso, ossia il funzionario della questura (Pietro Ostuni). E il vantaggio, in effetti, non c’è mai stato. Accusa azzerata.
Quando al secondo reato, e cioè essere il cliente di una prostituta minorenne, Berlusconi viene assolto perché il «fatto», cioè le serate «scollacciate», ci sono state. Ormai lo si può ammettere. Berlusconi, però, poteva «non sapere»: ossia ignorare nel parapiglia bunghesco la «minore età» di una delle sue tante invitate. Proprio di quella chiacchierona di Ruby che con le amiche esultava: «Lui è pazzo per me».