Aldo Grasso, Sette 18/7/2014, 18 luglio 2014
IL TRAMONTO DEL DOPPIAGGIO
Dopo tre settimane è stato sospeso lo sciopero dei doppiatori. Si riapre, quindi, uno spiraglio sul rinnovo del contratto che è scaduto nel 2011. Lo sciopero è stato indetto dall’Anad (Associazione nazionale attori doppiatori) con il sostegno dei sindacati e dell’Associazione dialoghisti e adattatori. I doppiatori italiani sono circa un migliaio e prestano la loro voce al cinema ma soprattutto alla tv, a tutte le fiction straniere che hanno invaso i palinsesti delle reti, specie delle pay-tv.
Pur rispettando il lavoro dei doppiatori (hanno fama di essere i più bravi, siamo cresciuti con le magiche voci di Tina Lattanzi, Carlo Romano, Lauro Gazzolo, Lidia Simoneschi, Emilio Cigoli…), è venuto il momento di chiedersi: ma ha ancora senso il doppiaggio? Non c’è ragazzo che non si scarichi una serie in lingua originale e la generazione Erasmus non tollera più di vedere film doppiati. Al massimo, sottotitolati.
Ormai Sky e Mediaset Premium mandano in onda le serie con sottotitoli e nessuno si è lamenta (tra l’altro, bisogna andare in onda quasi in contemporanea con gli Usa per tentare di prevenire operazioni di pirataggio).
Impariamo le lingue
Il doppiaggio è una tecnica voluta fortemente dal fascismo. All’inizio poteva essere effettuato in due modi: nel Paese di origine, utilizzando persone che conoscessero altre lingue, o direttamente nei Paesi in cui il film doveva essere distribuito (è il caso della Mgm, che aprì i propri studi di doppiaggio a Roma già nel 1932). Il governo italiano, prendendo a pretesto la difesa della “purezza” della lingua incoraggiò il doppiaggio italiano, invocando la maggior professionalità dei nostri attori. Del resto, i film doppiati in America dagli italo-americani creavano effetti comici irresistibili. Il doppiaggio in Italia rappresentava inoltre un notevole vantaggio per la censura: maggior controllo e possibilità di modificare i dialoghi. Il pubblico italiano cominciò così ad abituarsi a una tecnica capace di dare una voce italiana, in un effetto di illusione e di riconoscimento voce-volto sempre più affinato per ritmo e sincronismo delle labbra, alle performance delle star hollywoodiane.
Nel 1933 il fascismo istituisce i “buoni di doppiaggio” a difesa della produzione nazionale. Il meccanismo prevede che per ogni film nazionale realizzato un produttore ottenga tre buoni che esonerano dal pagamento della tassa sull’importazione di film stranieri. Da allora, la pratica del doppiaggio è diventata una dei capisaldi della distribuzione.
Con tutto il rispetto per il lavoro dei doppiatori, il procedimento pare in lenta via d’estinzione. Nelle altre nazioni europee, i film doppiati stanno sempre più diminuendo. Non è un bel modo per imparare le lingue?