Gian Antonio Stella, Sette 18/7/2014, 18 luglio 2014
L’INTELLIGIBILITÀ DELLA LANZETTA
Riuscirà Maria Carmela Lanzetta a rendere «intelligibili» le nuove regole della burocrazia? Speriamo proprio di no: se la pensa così, è meglio che stia alla larga da ogni tentativo di semplificare le norme attuali. Finirebbe per fare altri danni.
Intervistata da Duilio Giammaria per Tutta la città ne parla, la trasmissione di Radio3 che approfondisce i temi del giorno usciti dal dialogo con gli ascoltatori di Prima pagina, l’ex sindaco di Monasterace lanciata nella stratosfera da Matteo Renzi come ministra per gli Affari Regionali, ha insistito più volte su questa stessa parola: «intelligibile».
Avrebbe potuto dire che vuole leggi più chiare, più trasparenti, più esplicite, più evidenti, più certe, più elementari, più facili, più semplici, più limpide, più comprensibili, più agevoli da capire, più alla portata di tutti i cittadini… Aveva un vocabolario intero a disposizione. Pieno di varianti. Macché: per combattere il burocratese non solo scrive (basti leggere i documenti ministeriali) ma parla in burocratese.
«Ma perché diavolo parlano così?», si chiedeva nel lontano 1980 il grande Luigi Barzini. E rispondeva: perché «il prosatore illeggibile, noioso, difficile, ingarbugliato è molto spesso applaudito, rispettato, coronato di lauro in Campidoglio o eletto all’Accademia, mentre il prosatore chiaro (peggio ancora, quello divertente) anche se è un pensatore acuto e scrittore sensibile, viene considerato di poco conto, un uomo leggero, da prendersi sottogamba…». Come può un ministro, poffarbacco, parlare semplice?
Spiegò anni fa Massimo Baldini nel saggio Elogio dell’oscurità e della chiarezza, che «anche se il Dizionario enciclopedico italiano possiede 118.000 parole, il nostro oratore dovrebbe dire ciò che ha da dire facendo ricorso solo alle duemila parole che, secondo De Mauro, costituiscono il vocabolario fondamentale dell’italiano». Duemila. E potete scommettere una gamba o un orecchio che tra queste la parola «intelligibile» non c’è.
Già vent’anni fa, nel ’94, l’allora ministro Sabino Cassese, stremato dalla difficoltà di correggere il burocratese «dentro la testa» di chi non riusciva proprio a parlare in modo più facile e scorrevole, cercò di risolvere il problema a dispetto di tutte le “Lanzette” dell’epoca. Con l’adozione di un software da installare su tutti i computer di tutte le amministrazioni pubbliche che «traducesse» automaticamente il burocratese in un linguaggio più semplice. Scrivevi «obliterare»? Il computer doveva bloccare la parolaccia e scrivere «timbrare». Scrivevi «cerzioriare»? Il computer doveva cancellare quel verbo che, come spiega lo studioso Massimo Arcangeli, fu «coniato nel XVI secolo sulla base del latino tardo “cerziorare”, condensato lessicale dell’espressione del latino classico “certiorem facere”» e sostituirlo con «rendere più certo». Scrivevi «elasso»? Il computer doveva correggerlo immediatamente con «trascorso». E così via.
“Attergare all’uopo”.
L’informatico responsabile del progetto, Marco Varone, spiegò: «Ci hanno spedito il codice di stile messo a punto dal ministro Cassese e ci hanno chiesto un programma in grado di riconoscere frasi e nomi scritti in burocratese e correggerli. Devo dire che siamo rimasti un po’ sbalorditi dai termini. Abbiamo trovato parole come “attergare”, cioè scrivere a tergo dietro il documento e ancora orribili “disdettare”, “all’uopo” e un’incredibile sequela di arcaismi». Concluse comunque che non vedeva difficoltà particolari nel mettere a punto gli automatismi: «Nel giro di un paio di mesi il software potrebbe essere pronto». Sono passati vent’anni. Quel programma «eversivo» fu lasciato cadere. E siamo ancora inchiodati lì. A sentire i (presunti) nemici del burocratese invocare la semplificazione con parole «inintelligibili»…