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 2014  luglio 18 Venerdì calendario

PERCHÉ PERDIAMO IL MONDIALE DEL TURISMO


Roma. Non lasciamoci intenerire dalla ripresina che magari quest’estate ci sarà. La realtà è che ai Mondiali del turismo globalizzato l’Italia non arriva nemmeno in semifinale. Solo quinta dietro Francia, Stati Uniti, Spagna e Cina. Sempre meglio degli Azzurri di Prandelli, si dirà. Certo, se non fosse che ai campionati brasiliani non partivamo favoriti. Mentre in fatto di attrattive vacanziere ci fregiamo di essere l’Invincibile Armada. Forte di 50 siti con bollino Unesco, 3.400 musei, 800 monumenti, 130 aree archeologiche, senza contare le voluttà più goderecce: spiagge, natura, shopping e, soprattutto, la grande bouffe enogastronomica.
Ma allora perché l’Invincibile non vince? Eh, Ministro? «Perché mentalmente rimaniamo prigionieri di due idee: da un lato quella che Con la cultura non si mangia. Dall’altro la convinzione, altrettanto nefasta, che Tanto alla fine i turisti vengono lo stesso» dice Dario Franceschini. Lo scorso febbraio, giurando da titolare di Beni culturali e turismo nel governo Renzi, annunciò solennemente: «Mi sento chiamato a guidare il ministero economico più importante di questo Paese». Per farmi spiegare quali ricette abbia in cottura lo raggiungo telefonicamente mentre viaggia su un treno tra Bologna e Firenze. Ma subito, raggiungere si rivela parola grossa. Sul Frecciarossa la linea salta ch’è una bellezza. «Sa, le gallerie...». Capisco, ma neanche questo è un grande sintomo di modernizzazione infrastrutturale – me lo conceda, Ministro. Lui me lo concede. Ma innanzitutto dice che la formula bacucca Turismo, petrolio d’Italia l’ha stufato: «Perché il petrolio è una cosa che si esaurisce e inquina. Io parlerei piuttosto di ossigeno. Altri hanno le materie prime o la manodopera a basso costo, noi abbiamo il patrimonio». E ce lo diamo sui denti, se non altrove. Perdiamo appeal. «No, quello no. Specie nei cosiddetti Paesi emergenti l’Italia resta la destinazione più desiderata».
E vabbè, non perderemo forza attrattiva, ma perdiamo fette di una torta – il famoso global tourism – che anche in tempi di crisi non conosce crisi, solo crescita. Motivi di cotanto flop? «Siamo indietro nella promozione di nuovi circuiti». Cioè percorsi alternativi alla trimurti Venezia-Firenze-Roma. «Sulle piccole e medie strutture ricettive andiamo bene, ma con i grandi alberghi non siamo al passo. E poi c’è la questione della digitalizzazione...». Traduci: la grande apatia e/o diffidenza imprenditoriale verso l’e-booking. Nel turismo mondializzato, l’80 per cento delle prenotazioni avviene ormai via internet. Ma in Italia la vendita di servizi online è irrisoria. Nessuna delle grandi agenzie sul web (Booking, Expedia, Trivago...) ha sede da noi. Aggiungeteci che, malgrado i meritori sforzi di regioni tipo Puglia o Sicilia per calamitarne, al Sud i turisti stranieri arrivano ancora troppo poco. Non ultimo perché nessuno ce li porta. Scarseggiano i low cost.
«Ho letto uno studio realizzato dall’Università di Salisburgo. I tracciati dei roaming telefonici mostrano che l’85 per cento degli stranieri non si spinge più giù di Roma» racconta Franceschini prima che la linea cada di nuovo. Il suo decreto Cultura e Turismo è un vasto programma di defibrillazione: dagli incentivi fiscali ai privati alle ristrutturazioni alberghiere, da internet alle maxi-piste ciclabili... Tutto molto bello, perfino impressionante. Ma l’idea del turismo come futuro industriale di un’Italia post-manifatturiera non sembra aver fatto breccia nelle teste dirigenti. O no? «In effetti» dice Franceschini, «avendo finora vissuto la globalizzazione come un fenomeno da cui dovevamo difenderci, fatichiamo a capire che turismo non significa solo attirare persone, ma anche investimenti». Altro intoppo, gli inveterati particolarismi: «Prenda le Regioni: fanno promozione ognuna per sé e contro le altre. Anche per questo stiamo ripensando l’Enit. No, nel turismo il Sistema Paese non ha mai creduto».
Ed eccoci arrivati così al leggendario Sistema Paese. Espressione singolare. La si utilizza solo da noi, ma in absentia, giacché in Italia quel Sistema non c’è o fa acqua. Mentre altrove in Europa la formula non esiste nel vocabolario, però il sistema sta lì e funziona. «Per il marketing turistico, la Francia ha varato un piano strategico decennale, la Spagna su cinque anni» ricorda Massimo Bray, che di Franceschini è stato predecessore al Mibact. «Noi fino a oggi non siamo riusciti a fare squadra, studiando i mercati e intercettandoli con prodotti competitivi. E poi, certo, a frenare ci sono i ritardi infrastrutturali nei collegamenti. Le sembra normale che la Sicilia abbia un quarantesimo di pernottamenti rispetto alle Baleari?». No, ma tutto è anormale in questa cronica querelle sul turismo eterno eldorado dimenticato. Questa periodica seduta di autoanalisi nazionale che ogni santa estate riparte tra prosopopee patriottarde, sgangherati revanscismi, stabile furbizia bottegaia, autocommiserazioni conservatrici, qualche truffa e molte cifre balenghe. Tanto per dirne una: del turismo italiano nessuno è in grado di dirvi quanto incida realmente sul Pil: tra il 4 e il 10 per cento. Dipende se ci metti dentro anche l’indotto oppure no, ti spiegano. Bah.
Massimo Bray la butta sui massimi principî: «È che ormai bisognerebbe uscire dal quadro della crisi, da ragionamenti tipo austerity sì austerity no. Bisognerebbe lasciarsi alle spalle la logica emergenziale delle toppe cucite qua e là e cominciare a pensare in termini di beni comuni. Avere una visione del Paese».
Ora, da leader a robusta vocazione messianica qual è o vorrebbe essere, Matteo Renzi le visioni sull’idea di Paese dice di averle. Ma la politica non è una mistica; e per fortuna (della mistica). Tanto più oggi che è chiamata a surfare sulla feroce mobilità dei mercati. In attesa che le visions (sempre meglio pronunciare all’inglese) diventino fatturato e utili, ci attacchiamo alla canna dell’Expo o al miracolismo dell’effetto Bergoglio che ha riportato nell’Urbe qualche pellegrino in più. Ma l’impressione è che a breve scadenza si ragioni un po’ come nella Nazionale firmata Prandelli: lanci lunghi a cercare Balotelli, nella speranza che qualcosa s’inventerà. Naturalmente Dario Franceschini ha in mente un gioco diverso. E dice: «Vede, nella cultura la priorità è razionalizzare. Nel turismo siamo invece chiamati a rifondare».
Raccogliamoci in rispettosa preghiera.
Di questi tempi, rifondare è anche il verbo più in voga alla Federcalcio, dopo la Caporetto Azzurra in terra sudamericana.