Gianni Romeo, La Stampa 18/7/2014, 18 luglio 2014
GINO D’ITALIA UN SECOLO FA NACQUE IL MITO
Un gigante. Soltanto i giganti sanno fermare il tempo, sono vivi cent’anni dopo la nascita, 14 dopo la scomparsa, celebrata il 3 maggio del 2000 da un quotidiano con un titolo che vale la pena ricordare: addio, Gino d’Italia. Un gigante che seppe attraversare la storia nazionale in un periodo drammatico, prima, durante e dopo la guerra mondiale; con le sue vittorie e le sue sconfitte, con le smorfie del viso segnato dalla sofferenza, con gli esaltanti successi al Tour a dispetto di una folla ostile che con le minacce e gli insulti gli impedì di conquistare la corsa nel 1950, non fu soltanto un’icona dello sport ma di un’Italia che cercava di rialzare la testa e si specchiava nell’umanità dei protagonisti, cavalieri intrepidi che governavano bici pesanti su sterrati impossibili. Per tanti, Bartali fu anche un atto di fede e di speranza.
Bartali e Coppi, naturalmente. L’uno fu complementare all’altro, l’uno esaltò i meriti dell’altro. Eppure erano così diversi. Gino trasmetteva umanità, Fausto la perfezione del campione nato per diventare lo spot della bicicletta, il primo mezzo che consentì agli italiani dei ceti meno abbienti di muoversi liberamente. La morte tragica di Fausto esaltò la leggenda del campione di Castellania, mentre la vita con Gino fu meno grama. Ma seppe spenderla bene, il terziario carmelitano di Ponte a Ema, Firenze, immortalato come «giusto» per la sua attività a favore degli ebrei in quel periodo buio dell’Italia. La guerra mondiale rubò ai due tanti Giri e tanti Tour, avrebbero altrimenti collezionato albi d’oro fantastici, ma proprio nelle difficoltà di quegli anni seppero trasmettere sentimenti che altrimenti sarebbero stati di semplice caratura sportiva.
Concludiamo citando uno storico esemplare come Augusto Frasca. Il 14 luglio del ’48 l’attentato a Palmiro Togliatti, leader della sinistra, infiammò il Paese, si pronunciava la parola rivoluzione. Bartali stava correndo il Tour, la sua classifica non era buona. Ci fu una telefonata di De Gasperi al corridore, confermata dal campione: «vinci anche per noi». Gino sbaragliò i rivali, vinse. «Quando in un infuocato Montecitorio irruppe Matteo Tonengo, deputato di Chivasso, dando la notizia dell’affermazione dell’italiano l’aula esplose in un applauso in ogni settore dell’emiciclo. Le parole equilibrate di Togliatti dal letto dell’ospedale, l’interruzione dello sciopero generale calmarono gli animi, i mitra rientrarono nelle cantine. Con una gigantesca partecipazione emotiva l’Italia si ritrovò di colpo in pace con il trentaquattrenne campione di Ponte a Ema».