Paolo Baroni, La Stampa 18/7/2014, 18 luglio 2014
RENZI INSISTE SULLA SUA LINEA “UN’IPOTESI INESISTENTE USATA A FINI STRUMENTALI”
A Roma continuano a ripeterlo: «L’ipotesi non c’è, l’ipotesi Letta non è mai uscita». E poco importa se il giorno dopo il fallimento del vertice sulle nomine europee un consigliere della Merkel rilancia la questione: Palazzo Chigi continuano a fare muro. Perché ormai è chiaro che a Renzi l’idea di far guidare il Consiglio europeo al suo predecessore, maturata nelle scorse settimane sull’asse Londra-Berlino, non va per nulla a genio.
Ufficialmente il governo italiano però non si sbilancia. Ma nemmeno si spende. «Se c’è un nome italiano noi siamo aperti a qualsiasi posizione. Ma se quel nome non c’è...» ha scandito Matteo Renzi martedì notte al termine del vertice cercando di respingere l’immagine dello sconfitto di turno. «Ho letto di Letta, stamattina di Monti, noi siamo aperti, ma se quel nome non c’è...».
Peccato, ha ammesso ieri lo stesso Elmar Brok, che il nome dell’ex premier italiano fosse diventato così «pubblico» che non c’era nemmeno più il bisogno di farlo. Un segreto di Pulcinella, insomma. O se vogliamo, vista da palazzo Chigi, «solo una strumentalizzazione», un modo per intorbidire le acque nella fase clou della battaglia per le nomine europee. Letta, che ieri era alla Camera per partecipare ad alcune votazioni, non solo non ha commentato ma ha chiesto ai parlamentari che gli sono più vicini di non parlare per suo conto. Qualcosa però scappa. E un deputato azzarda: «Negare in pubblico che il nome di Letta sia stato fatto, equivale da parte di Renzi a mettere implicitamente un veto».
Per farcela ora Roma deve tenere duro per quaranta giorni e sperare di arrivare con la Mogherini «indenne» al nuovo summit del 30 di agosto. Ce la farà la candidata italiana? Il capogruppo del Pse Gianni Pittella, che si incarica di dare una risposta un po’ a muso duro a Brok sia per conto del Pse sia per conto dell’Italia, è convinto che dopo l’inasprimento delle sanzioni contro la Russia i baltici dovrebbero placarsi e rimuovere i loro veti. Mercoledì «abbiamo pareggiato fuori casa - scherzava invece ieri il premier con i suoi -. L’Italia è in campo per l’incarico di Alto rappresentante per la politica estera».
La partita, però, è tutt’altro che chiusa. Anzi. Antonio Tajani, primo vicepresidente del Parlamento europeo e vicepresidente del Ppe, ieri è tornato a spiegare che «Letta è un personaggio molto gradito in Europa» e che Renzi ha commesso il «grave errore» di «chiedere il posto di Alto rappresentante» senza avere un nome di peso da spendere. Meglio sarebbe stato chiedere altri portafogli. «Non voglio disturbare il manovratore, ma forse è mal consigliato».
Quello che tra Roma e Bruxelles molti non capiscono è proprio questo: perché Renzi non voglia cogliere al volo l’occasione per conquistare una casella ancora più prestigiosa di quella di Lady Pesc e poi, visto che l’incarico di presidente del Consiglio non rientra nel «Cencelli» dei commissari, assicurarsi comunque anche un portafoglio importante. «Perché decide solo in base agli interessi individuali», è la risposta che viene data dai più maligni: la Mogherini deve andare in Europa per poter fare in Italia il rimpasto, nessuna parola su Letta per evitare poi di ritrarselo tra i piedi in Europa. A tutti Renzi risponde in maniera secca: «L’obiettivo dell’Italia non è avere una poltrona». Punto. Quanto all’Europa, spiegava invece ieri il premier, «l’Unione deve dotarsi presto di una squadra competitiva in cui siano presenti freschezza ed esperienza». L’irritazione, insomma, resta forte. Tanto più dopo il summit finito nel nulla ed il faccia a faccia non certo sereno con Van Rompuy, che guarda caso è anche un altro degli “sponsor” di Letta. «Il vertice non è stato preparato bene - è quasi sbottato Renzi l’altra sera -. La prossima volta basta un sms, almeno risparmiamo i costi dei voli di Stato». Acidità allo stato puro, che rende bene l’idea della situazione.
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