Luigi Grassia, La Stampa 18/7/2014, 18 luglio 2014
QUELLA ROTTA DETTATA DAL BUSINESS
Amico, nemico o neutrale? Prima di sparare bisogna capire a chi. La tragedia dell’aereo malese sull’Ucraina potrebbe essere dovuta a un atto intenzionale, magari a una provocazione (per far cadere la colpa su qualcun altro), ma più probabilmente si è trattato di un errore. Forse c’è chi ha scambiato il jet della Malaysia per un aereo militare ostile. E allora, come si fa a identificare un bersaglio legittimo? Spiega Pietro Batacchi, direttore di Rid (Rivista italiana difesa): «Gli aerei civili dialogano con le torri di controllo a terra attraverso il loro transponder imbarcato. Ma le batterie di missili non partecipano a questo dialogo. Il radar militare da terra vede solo la traccia di un potenziale bersaglio. Per capire se si tratta di un aereo civile bisogna disporre di un sistema Iff (Identification Friend or Foe). Le batterie del missile russo Buk, sospettato dell’abbattimento, ne sono dotate. Poi però bisogna vedere se l’Iff viene davvero acceso, e se chi lo usa è personale militare regolare o se si tratta di miliziani che non sanno, o non guardano per il sottile...». L’esperto militare aggiunge un’informazione a latere: i satelliti americani possono stabilire con certezza da dove il missile è partito, se dal territorio ucraino o quello russo, «purché la zona non fosse troppo coperta da nuvole».
A prescindere da dove sia partito il missile, l’aereo poteva volare su quella zona di guerra oppure no? La Iata, che federa le compagnie aeree mondiali, dice che sull’Ucraina orientale «c’era una no-fly-zone ma solo al di sotto dei 7 mila metri», mentre il jet della Malaysia volava a 10 mila, fuori dalla portata dei piccoli missili terra-aria a spalla come gli Stinger. Si credeva che questo bastasse alla sicurezza.
Ma non è stata comunque un’imprudenza non chiudere del tutto lo spazio aereo? L’analista aeronautico Gregory Alegi pubblica nel suo sito Dedalonews la cartina di una zona sopra alla Crimea sulla quale Eurocontrol, responsabile della sicurezza dei cieli europei, suggeriva di non volare. Ma Alegi sottolinea che «Eurocontrol non lo vietava, e poi questo suggerimento risale a diversi mesi fa, perciò si parlava solo di Crimea, dopodiché non sono stati lanciati altri allarmi». Antonio Bordoni, esperto di aeronautica e (in particolare) di disastri aerei, raccomanda alle autorità una maggiore prudenza ricordando il caso di molti anni fa in cui un Dc8 dell’Alitalia «fu colpito sull’ala da un missile mentre volava sul Libano. Non fu abbattuto, per fortuna. Ma non bisognerebbe correre certi rischi». Anche Alfredo Roma, ex presidente dell’Ecac (equivalente europeo dell’Enac), stigmatizza che «Eurocontrol ha imposto la no-fly-zone sul piccolo e remoto Nagorno-Karabach ma non sull’Ucraina».
Viene un dubbio. Si sa che certe compagnie aeree fanno pressione sui piloti affinché passino il più possibile vicino ai temporali, in modo da non fare grandi deviazioni di rotta e non consumare più carburante. Non sarà che le compagnie fanno anche pressioni politiche sulle istituzioni internazionali preposte alla sicurezza per convincerle a non chiudere gli spazi aerei grandi come quello l’Ucraina (il Nagorno è minuscolo, pazienza) e non costringere i loro aerei a fare deviazioni di centinaia di chilometri? Dopotutto l’Ucraina è sorvolata ogni anno da migliaia di aerei sulle rotte fra l’Europa e l’Asia. Fra gli esperti sondati dalla Stampa, Antonio Bordoni e Alfredo Roma sulla base della loro conoscenza del mondo dicono che questa interpretazione non può essere escluso, mentre Alegi (che insegna gestione delle compagnie aeree alla Luiss) tende a minimizzare il movente economico: «Il problema delle deviazioni si fa sentire (proporzionalmente) di più sulle rotte brevi. Invece su quelle intercontinentali c’è più possibilità di aggiustare i percorsi con poco impatto sui costi. Più che voglia di risparmiare vedo una mancata percezione della gravità della crisi ucraina». Invece il Daily Mail ipotizza addirittura che il pilota malese abbia «tagliato» la rotta proprio per risparmiare il cherosene.
Oltre a mandare messaggi che dicono «sono un aereo civile, sono un aereo civile, sono un aereo civile» e sperare che a terra ci sia un sistema Iff in grado di decifrarli, un jet di linea ha altri modi di difendersi? Ancora Gregory Alegi: «Dopo l’attentato di Lockerbie si fece un esperimento su un jumbo da demolire. La stiva bagagli fu corazzata, poi ci si mise una bomba e la si fece esplodere in volo. La parte protetta col kevlar subì danni sopportabili, il resto si disintegrò. Ma poi non si fece niente». Questo riguarda la protezione dagli attentati. Ma contro i missili? «Alcuni aerei civili israeliani montano una versione del sistema militare americano Dircm che offre una certa difesa dai missili portatili come gli Stinger. Ma il Dircm non è efficace contro i grandi missili antiaerei».