Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  luglio 18 Venerdì calendario

DISPREZZARE IL CAPITALISMO? FA CONQUISTARE IL MERCATO


DOLLARONI Nel mondo della cultura il culto dell’uguaglianza prevale su quello della libertà. Il mercato spesso è demonizzato. Come il denaro
N essuna anarchia, poco Stato e molta utopia. con questa formula, Nicola Iannello sintetizza il percorso di Robert Nozick, il filosofo che portò alla luce il pensiero libertario con un libro di successo. Era il 1974, e Anarchy, State, and Utopia, esordio di Nozick, divenne un classico del pensiero politico contemporaneo, attaccato con eguale forza da «destra» (una destra anarco-capitalista, inconcepibile in Italia) e da «sinistra» (una sinistra socialista in assenza di socialismo, altrettanto inconcepibile in Italia). Nozick confutava l’anarchia in chiave capitalistica ma optava per uno Stato così minimo da non prevedere l’imposizione fiscale, trovandosi così contestato da autori inconciliabili tra loro.
A quarant’anni dalla pubblicazione, l’Istituto Bruno Leoni ha dedicato un ciclo di seminari all’opera prima di Robert Nozick, ora confluiti nell’e-book Nessuna anarchia, poco Stato e molta utopia. Robert Nozick quarant’anni dopo, a cura di Nicola Iannello (pagg. 244, euro 3, 99). Sono inclusi saggi di Raimondo Cubeddu, Lorenzo Infantino, Piero Vernaglione, Stefano Moroni, Eugenio Soimani, Carlo Lottieri e Alberto Mingardi. Quest’ultimo contributo tocca un tema di costante attualità in Italia. Nel 1983, Nozick tenne una conferenza al Trinity College di Hartford, Connecticut, in seguito stampata e ristampata, dal titolo Why Do Intellectuals Oppose Capitalism? (Perché gli intellettuali si oppongono al capitalismo?). La questione è classica, Nozick infatti si inserisce in un filone di cui fanno parte, tra gli altri, Ludwig von Mises, Joseph Schumpeter, Friedrich von Hayek.
Nel mondo della cultura, almeno in quello che sale in cattedra negli atenei e nei media, riscuotono successo gli intellettuali di sinistra. Al contrario, a chi non è avverso al capitalismo spesso tocca l’isolamento. In libreria spopola la saggistica contro il mercato e in favore dell’estensione dei poteri dello Stato. Sono questi titoli a vincere in classifica o a intasare i cartelloni di Saloni e Festival. In televisione, o sui giornali, vige lo stesso principio: difficile imbattersi in una apologia del mercato, persino sulle pagine dei quotidiani che dovrebbero rappresentare la borghesia produttiva del Paese. Così, la figura più diffusa dalle nostre parti è quella dell’intellettuale che, pur godendo di ogni vantaggio offerto dal mercato, mostra un insuperabile disprezzo per il capitalismo.
La mentalità anti-capitalistica, grazie (si fa per dire) al lavoro di sociologi, economisti, filosofi, storici è radicata in profondità. Da cosa nasce questa ostilità diffusa? Secondo Hayek, dalla errata convinzione che la redistribuzione, pianificata naturalmente secondo i canoni fissati dagli intellettuali stessi, funzioni meglio della «mano invisibile» del mercato. C’è poi il risentimento: gli intellettuali, secondo Mises, provano disgusto per una società che non li premia come essi desiderano. Nozick fonde queste due spiegazioni e individua nella scuola l’origine dell’antipatia verso il capitalismo: «Non stupisce che quanti hanno riscosso successo secondo le norme del sistema scolastico nutrano poi un forte risentimento contro una società che segue altre norme che non garantiscono loro il medesimo successo». A scuola, le ricompense sono dispensate da una autorità centrale in base a regole precise. Nel libero mercato, la realtà sfugge ai modelli e il merito non risponde a criteri oggettivi. È più importante avere qualcosa da scambiare, il saper rispondere alle esigenze altrui, il contribuire al benessere sociale. Per accettare questo meccanismo ci vuole un bagno di umiltà: gli intellettuali sono disposti a farlo?
C’è comunque anche una lezione anche per i filo-capitalisti. Come mai sono perdenti? Von Hayek scriveva ne Gli intellettuali e il socialismo (1949) che i socialisti hanno avuto il coraggio «di essere utopisti». Per questo hanno «guadagnato l’appoggio degli intellettuali e di conseguenza quell’influenza sull’opinione pubblica che sta rendendo possibile, giorno dopo giorno, ciò che poco tempo fa sembrava assolutamente remoto (il regresso degli ideali liberali, ndr)». In Italia, la destra liberale si presenta come guardiana dello status quo o come forma edulcorata di socialismo. Troppo poco per conquistare il cuore della gente. Ancora Von Hayek: «Se non riusciremo a rendere di nuovo i fondamenti filosofici di una società libera un tema intellettuale vivo, e a trasformare la sua attuazione in un compito che sfidi l’ingegnosità e l’immaginazione delle nostre menti più vivaci, le prospettive della libertà sono decisamente fosche». Anche a questo serve il volume dell’Istituto Bruno Leoni.