Marco Zatterin, La Stampa 18/7/2014, 18 luglio 2014
«PIU’ FLESSIBILITA’ È POSSIBILE, MA IL PATTO NON SI TOCCA»
Jyrki Katainen lo confessa prima ancora che ci sia tempo di porre la domanda. «So bene che la mia esperienza come ministro delle Finanze e premier finlandese può far pensare che sia un falco dell’austerità», ammette con un sorriso appena accennato. Ma non è vero, lascia intendere, nel dichiararsi figlio del «generoso» Welfare nordico, sistema fondato «su stabilità del bilancio e riforme come strumenti per aumentare la competitività». Se i conti ballano «si è costretti a tagliare i servizi» ed «è difficile che gli investitori abbiano fiducia nel Paese». Per questo, argomenta, «talvolta mi pare difficile capire come mai la disciplina fiscale sia vista come una politica dura e contraria all’economia sociale di mercato: la mia esperienza indica l’esatto contrario».
Posta la promessa, il resto vien da sé. Katainen, che proprio ieri pomeriggio ha traslocato nell’ufficio di commissario Ue per l’Economia che per quasi cinque anni ha ospitato Olli Rehn, arriva a Bruxelles per far rispettare le regole e, laddove ammissibile e possibile, discutere i margini per aiutare i paesi a pagarsi le riforme. Sarà sino all’autunno l’interlocutore del ministro Padoan, che dovrà convincerlo della qualità dei programmi e del bilancio italiani per spuntare i margini temporali, o finanziari, a cui si ambisce per rivoluzionare la struttura di un paese indebitato, poco competitivo e senza crescita vera da due decenni. Il finlandese è pronto: «Se dovessi dire una sola parola per l’Italia - assicura - sceglierei “attuazione”».
Classe 1971, popolare, Katainen è stato il primo capo di governo Ue ad aver fatto l’Erasmus. Ha studiato l’Europa a Leicester, nel Regno Unito, e scritto una tesi di master sui Tories e l’Unione monetaria. Premier a 40 anni, ora ha scelto l’Europa. Piace alla pattuglia dei nordici, soprattutto a Frau Merkel, per la logica secondo cui il debito viene prima di tutto, il che fa molto «falco», almeno dal punto di vista mediterraneo. Ha una moglie che ama il calcio, mentre lui corre la maratona quando può. L’Europarlamento lo ha incoronato mercoledì. Nella prossima Commissione punta a un portafoglio economico. Per cominciare a raccontarsi, ha incontrato cinque giornali europei, tra cui la Stampa.
Partiamo dalla flessibilità. L’Italia vuole parlarne. Lei cosa intende rispondere?
«Devo prima vedere le proposte e i numeri. La mia intenzione è affrontare questo dibattito con calma. Ci sono le regole e c’è spazio per la flessibilità. Sappiamo che in Italia è stato preparato un piano di riforme molto promettente. Deve essere ora tradotto in pratica ed attuato. Ci sono diverse riforme strutturali in cantiere, alcune potrebbero avere un costo, altre no. Parliamone guardandoci negli occhi per vedere se si trovano delle soluzioni che non mettano in questione il patto di stabilità o la credibilità dell’Eurozona».
«Attuare». Mai facile, da noi.
«Gli ultimi due premier italiani hanno già adottato riforme e consolidato il bilancio in modo importante. La realizzazione dei programmi ha però costituito un problema. Se guardo al governo attuale, vedo pure grande ambizione riformista. Se solo riuscisse a concretizzare quanto pianificato e deciso sinora sarebbe un passo formidabile per la crescita e la stabilità del paese, e un’eccellente base per le riforme in cantiere. Serve anche a incoraggiare gli investitori internazionali e, attraverso loro, rilanciare l’economia».
Lo crede possibile?
«Non voglio dare un giudizio politico, anche le autorità italiane ammettono le difficoltà di attuazione. Vede, non basta comprare una medicina; bisogna ingerirla perché aiuti».
Sino a che punto si può essere flessibili?
«La storia dimostra che la flessibilità arriva quando serve. Sono d’accordo con il Consiglio europeo: non si devono cambiare le regole, bensì utilizzare i margini che già esistono e che sono stati utilizzati diverse volte con diversi paesi. Non ci può essere un’interpretazione radicalmente nuova delle regole».
In questo rispetto, come valuta la situazione italiana?
«Vedo due sfide, l’alto debito pubblico e il basso livello di produttività e competitività. Il governo Renzi ha disegnato piani ambiziosi in una fase in cui ci sono le condizioni per realizzarli. Noi intendiamo sostenere questo processo. La crescita italiana può migliorare anche in un tempi relativamente breve se riusciranno ad attuare tutto ciò che hanno programmato e deciso».
Fermezza contabile, in primis. Vallo a spiegare a chi è più debole e ha pagato più caro il prezzo della crisi..
«Capisco che molti in molti paesi siano provati e stanchi del rigore. Soprattutto chi ha reddito basso e pensioni limitate non vede la luce alla fine del tunnel. Per questo io incoraggio i governi a fare il possibile per salvaguardare la stabilità e attuare le riforme. Creando competitività e favorendo la ripresa, proteggono i più deboli e i disoccupati. La strada è questa».