Francesco Paternò, pagina99 12/7/2014, 12 luglio 2014
IL PRECARIO ADDIO ALLE ARMI DEI NAZIONALISTI DI CORSICA
Armi e tritolo non sono mai mancati in Corsica, ma questa sembra essere l’estate migliore per andare in vacanza nell’isola. Perché il Flnc (Fronte di liberazione nazionale còrso, in italiano, e non nell’odiato francese) lo scorso 25 giugno ha annunciato la fine della lotta armata. Basta così, è ora di avviare si legge nel comunicato pubblicato sulla rivista Corsica «un processo di demilitarizzazione e un’uscita progressiva dalla clandestinità».
Sono 38 anni che Flnc – un centinaio di militanti in servizio attivo – combatte la sua guerra per l’indipendenza dall’Esagono, come viene chiamatala Francia centralista e napoleonica, pure accolta quasi tre secoli fa con mille speranze dopo altri 40 anni di lotta armata per liberarsi del dominio genovese. Erano i tempi gloriosi di Pasquale Paoli, il generalissimo di Corte, cittadina universitaria in alto nel cuore dei sentimenti e della geografia della Corsica, sulle montagne al centro dell’isola. Per la sua guerra vittoriosa. Paoli arruolò perfino il giusnaturalismo cristiano, che definiva lecito abbattere il Principe se questi fosse diventato tiranno. Sarà che François Hollande ha tutto fuorché la faccia del tiranno, ma il Flnc ha annunciato la fine delle ostilità sotto la presidenza più debole della storia recente.
A leggere il comunicato su Corsica, si intuisce una decisione sofferta. Una scelta che, se verrà rispettata almeno nel medio termine (altre “tregue” sono finite con nuove bombe e omicidi), metterà fine a una lunga storia di sangue. Fatta di almeno 10.500 attacchi da quel 5 maggio del 1976 in cui fu fondato l’Flnc, costati la vita a cinque servitori dello Stato francese. Senza contare le decine di caduti per faide interne ai clan che hanno continuato a segnare una zona grigia della storia còrsa.
Diversi fattori hanno contribuito a questa svolta che Pantaléon Alessandri – storico cofondatore del Flnc – ha definito «attesa». In primo luogo una crisi di vocazioni per la clandestinità: sempre meno ragazzi si sono dimostrati disposti a seguire le orme dei padri, ragion per cui ormai si contano più militanti rinchiusi nelle carceri francesi che in libertà. In questo senso, il comunicato del Front segna la presa d’atto di un’innegabile disfatta operativa.
Dal punto di vista politico, invece, il dibattito sulla sconfitta dell’indipendentismo violento resta aperta. Nella scelta di deporre le armi incide, e molto, la «Fini-izzazione» del dibattito isolano: i partiti indipendentisti moderati hanno fatto propri diversi temi del Fronte. È sulla buona strada l’istituzionalizzazione della co-officialité delle lingue francese e còrsa. Ed è stato approvato dall’Assemblea locale (creata nel 1982) un nuovo statuto di residente che garantisce un diritto di prelazione agli abitanti dell’isola nell’acquisto delle case, dove les étrangers (francesi compresi) hanno investito molto: secondo il Financial Times, circa il 40% delle abitazioni oggi serve da casa per le vacanze a persone non originarie dell’isola. Sin troppo ovvio l’impatto sul mercato immobiliare, per tacere del rischio di omologazione per l’identità locale.
Le ultime elezioni hanno registrato una crescita netta dei nazionalisti moderati – spicca la vittoria a Bastia di Gilles Simeoni di “Insieme per la Corsica”–, spingendo così i partiti filo-parigini a cavalcare alcune delle istanze localiste in vista del voto del prossimo anno. Secondo alcuni osservatori, l’annuncio del Fronte cade proprio in questo periodo per tirare la volata ai partiti dell’arco costituzionale, mai così vicini alla possibilità di conquistare il governo dell’isola. Uno degli obiettivi storici dell’indipendentismo è una riforma della Costituzione, che ora riconosce alla Corsica uno stato di autonomia molto peculiare (art. 72). I nazionalisti moderati chiedono invece l’inclusione dell’isola nel dettato dell’articolo 74, che regola le amplissime autonomie delle Comunità d’oltre mare, dalla Polinesia in giù.
Hollande è stato ad Ajaccio nell’ottobre 2013, annunciando un cauto sostegno a una maggiore decentralizzazione. Non è e non sarà un percorso lineare: il 12 giugno scorso Bernard Cazeneuve, il ministro dell’Interno cui è noto piaccia poco la co-officialité linguistica, è stato salutato al suo arrivo a Bastia da una raffica di colpi di mitra conto la caserma che lo ospitava.
La crisi economica non aiuta un processo complicato: il Pil nazionale a fine 2014 è previsto a +0,7% contro l’1% stimato dal governo centrale. Parlare di indipendenza in un simile contesto economico, invece di premere perché il nazionalismo si faccia maggioranza nelle istituzioni come affiora dopo l’annuncio del Fronte, sarebbe ancora più effimero.
Politique d’abord dunque, anche se le difficoltà paiono enormi. L’isola ha una popolazione più vecchia di quella dell’Esagono, il 27% dei circa 320 mila abitanti ha più di 60 anni, contro il 23% della media nazionale. La disoccupazione è cresciuta nel 2013 più che nel resto della Francia, +11,1% rispetto al +4,8%. Ma l’essere periferia ha ridotto l’impatto della crisi globale sull’economia dell’isola, fatta essenzialmente di terziario legato al turismo, che ha evitato il precipitare del Pil e del tasso di non occupati (dato Insee), pari al 9,9% contro il 10,1% del resto di Francia.
La grande domanda riguarda ora le possibilità di tenuta per la nuova pace. «La Nazione deve restare armata, a scanso di qualche sorpresa», recita la risposta numero 5 delle 8 con cui il congresso di Orezza stabilì che fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Il messaggio fu mandato dai rivoltosi di Pasquale Paoli a Genova il 4 marzo del 1731. E se oggi il nazionalismo còrso manda un messaggio sicuramente più conciliante a Parigi, il sottofondo di un’isola storicamente trattata da colonia e armata fino ai denti rischia di restare intatto.