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 2014  luglio 11 Venerdì calendario

NIBALI, C’È POSTO TRA I GRANDI

A chi somiglia Nibali? Quale altro ciclista italiano del passato evoca? Me l’hanno chiesto tre colleghi di tre nazionalità diverse, facendomi venire il dubbio che questo sia un argomento caldo. La prima risposta è: a nessuno, fino in fondo. Anche perché Nibali dimostra che le aree geografiche specializzate non sono più quelle di una volta. Per un secolo Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana. Ora i migliori interpreti delle corse a tappe sono il siciliano Nibali, il sardo Aru, e uno dei migliori scalatori il lucano Pozzovivo. L’isolano è anche isolato, per gareggiare contro i più forti e migliorare deve spostarsi a Nord, in una delle aree specializzate, dove il benessere ha piallato molte vocazioni.
La seconda risposta, più seria, facendo zapping fra numeri e ricordi, è questa: Gimondi all’85 per cento, Motta al 15. Nibali (1,80 per 64 kg) ha la statura di Motta (1,80 per 68 kg) e di Motta ha anche il gusto dell’azzardo, del grano di follia, del colpo che sembra impossibile ma intanto perché non provarci? Motta era più veloce allo sprint, ed è proprio la carenza in volata che accomuna Nibali a Gimondi.
Vanno forte su tutti i terreni, in tutto quello che il bagaglio di un campione deve contenere: bene in salita, bene sul passo, bene in discesa (ma qui Nibali è un vero specialista, come Gastone Nencini). In tutte le regole esistono le eccezioni: Gimondi in avanzata carriera vinse a Barcellona un mondiale allo sprint battendo Maertens, Ocaña e Merckx. Ma il più delle volte, se voleva vincere, doveva scrollarsi di ruota Motta o Bitossi o Dancelli. Resistere cocciutamente alla ruota di Merckx, al Giro o al Tour, gli avrebbe garantito il secondo posto, non il primo. Motta era psicologicamente più fragile di Gimondi. Nibali ha un carattere forte, saldo, direi sereno. È partito dall’Inghilterra un po’ contrariato perché gli pareva che le sue vittorie e piazzamenti al Giro, Vuelta e Tour valessero poco agli occhi del mondo. Ma il numero di Sheffield, con maglia gialla incorporata, lo ha portato in prima fila, nel cono di luce. Difficile poi immaginarsi Nibali che s’arrabbia in corsa e strilla. E qui è molto diverso da Gimondi e Motta, che coi gregari usavano più il bastone che la carota, per non dire la frusta. Nibali è gentile con tutti, a partire dai compagni di squadra. E in gruppo ha molti amici.
Se vogliamo allargare il campo, Coppi (1,87 per 76) spiccava in un ciclismo di normolinei come Bartali (1,70 per 70 kg). Tali erano Poulidor (1,72 per 70) e Anquetil (1,74 per 70). E anche Hinault (1,74 per 62). Nel fisico lo ricorda molto Contador (1,76 per 62). Merckx (1,82 per 74), apripista degli atletoni, è stato il più completo di tutti, andava forte pure in pista, nelle americane. Pantani (1,72 per 57) rimane nella memoria come un pettirosso, un peso piuma. Nessuno aveva il suo scatto in salita, o forse Bartali. Anche Pantani, come Nibali era scarso in volata e quindi per sue caratteristiche doveva impegnarsi a limitare i danni in pianura per scatenarsi in montagna. Col colpaccio sul pavé chissà quanto avrebbe perso Pantani, mentre Nibali ha guadagnato.
Quello che di Nibali si nota subito è l’eleganza, che mi ha fatto pensare al cirneco, un cane autoctono spuntato più di duemila anni fa intorno all’Etna. Vincenzo l’hanno ribattezzato lo squalo perché è nato a Messina, peraltro su un mare non molto ricco di squali. Era e resterà lo squalo (le requin, el tiburon, the shark), è un soprannome che fa presa, ed è anche il primo pesce in un bestiario ciclistico che comprende aironi, aquile, falchi, stambecchi, camosci, pulci, condor, tassi.
In coincidenza col passaggio del Tour in una delle più note zone di guerra (Chemin des Dames) il presidente Hollande è salito sull’ammiraglia del direttore Prudhomme. Da noi, al Giro, è già tanto se si intravede un sottosegretario alla mazzetta (dello Sport). Che ne dice Nibali? «Che in Italia il ciclismo ha un po’ allontanato la gente e poi i politici di questi tempi hanno altre cose più importanti cui pensare. Ma io non escludo che si possa vedere Renzi a una corsa. So che è molto vicino ad amici miei del club di Mastromarco».
Sia chiaro che non caldeggio il cirneco. Così descritto in rete: forma elegante e slanciata, muscolatura
asciutta e potente, leggero ma resistente. Unico cane a suo agio anche sui terreni vulcanici. Triplice attitudine: da caccia, da guardia e da compagnia. Ben sapendo che a nessun corridore farebbe piacere essere accostato a un cane (a me sì, ma corridore non sono) in guardia e caccia si può riassumere il programma di Nibali nei prossimi giorni: «Prima cosa stare in piedi. Molte cadute sono dovute allo stress. Basta uno che ti scivola davanti e vai a casa come Froome. In salita mi attaccheranno, io intanto li studio. Vado a istinto. Non ci vuole molto a trasformare una corsa di difesa in una corsa d’attacco. Se appena posso attacco, ma intanto vediamo cosa fanno gli altri».
«Dantesque» ha titolato l’Équipe il giorno dopo il pavé, con una foto di Nibali che occupa tutta la prima pagina. «Dantesque» per l’Équipe è il massimo, un aggettivo che racchiude gloria e dramma, grandezza e crollo. Appena possono usarlo godono come ricci. Nibali mastica tre parole in francese ma dovrà imparare: sta nascendo un amore.