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 2014  luglio 18 Venerdì calendario

CAMERE LE SUPERPENSIONI PAGATE CON MINI CONTRIBUTI

IL FOCUS
ROMA Lunedì, o più probabilmente martedì, le Presidenze della Camera dei Deputati e del Senato annunceranno contemporaneamente l’avvio di una trattativa con i 25 sindacati dei 2.315 dipendenti con l’obiettivo di introdurre anche nelle Camere il tetto di 240 mila euro imposto da maggio alle retribuzioni di tutti i dipendenti pubblici italiani.
L’occasione servirà anche a riscrivere tutte le regole ”contrattuali” in vigore per questa prestigiosa nicchia della nostra burocrazia dove ancora nel 2014 non c’è traccia di meritocrazia: gli stipendi sono uguali per tutti gli appartenenti alla medesima ”categoria”, assistente o consigliere, indipendentemente da ogni traccia di merito o di impegno personale o di squadra.
Ma la trattativa che seguirà all’annuncio delle Presidenze potrebbe allargarsi anche ad una questione spinosissima e per certi versi scabrosa: la micidiale trasformazione del Parlamento in una sorta di pensionificio. Già, perché, la voce ”pensioni dei dipendenti” è incredibilmente quella più importante sia per la Camera che per il Senato essendo molto più alta, ad esempio, di quelle riservate ai politici. Questo il quadro: a Montecitorio la previdenza degli ex dipendenti assorbe 236 milioni pari al 25% circa di tutte le uscite e al Senato arriva a quota 115 milioni pari a qualcosa di più del 20% delle spese totali. Già questo evidente squilibrio nei bilanci delle due Camere dovrebbe fare scattare l’allarme rosso.
LA CILIEGINA
Ma il peggio deve ancora venire. Basta spulciare i bilanci delle Camere per scoprire un’altra verità amarissima: non solo la spesa previdenziale per i loro dipendenti (ma anche per quelli del Quirinale) è altissima ma è completamente impazzita. Le cose stanno così: alla Camera si pagano 8 euro di pensioni per ogni euro di contributi incassati. In altre parole, quest’anno Montecitorio incasserà (compresi quelli proprio carico) 27,7 milioni di contributi ma pagherà ben 233,2 milioni di pensioni. Il Senato non è da meno: 19,7 milioni ricevuti e 115,2 milioni versati. Anche al Quirinale, altro organo costituzionale, incassa 17,9 milioni e paga ai suoi ex dipendenti ben 91 milioni.
Le cifre parlano da sole. La montagna alta 373 milioni di differenza fra i mini-contributi incassati e le maxi-pensioni assicurate la paghiamo, pazientemente, noi contribuenti italiani. Siamo noi, tramite il Tesoro, a coprire quella che, nei fatti, è una voragine previdenziale enorme. L’Inps, il cui deficit è all’origine delle dolorose manovre che tanti italiani hanno vissuto sulla propria pelle, non si è mai sognato di presentare - in proporzione - conti previdenziali di tale gravità.
Nei corridoi parlamentari lo sussurrano tutti: la sacrosanta tutela dell’autodichìa, ovvero dello status giuridico che rende totalmente autonomi gli organi costituzionali e ”obbliga” il Tesoro a pagare a pié di lista i conti di Quirinale, Camere e Corte Costituzionale, è diventata negli anni uno strumento di scambio di favori e privilegi fra politica e nicchie della burocrazia. E persino qualche sindacalista di Montecitorio, dietro l’assicurazione dell’anonimato, spiega che «sappiamo da anni che le nostre pensioni sono insostenibili». Logico: la crema della nostra burocrazia, gente che nei gradi più alti spesso vanta due lauree ed è in grado di fare le pulci al bilancio dello Stato, non poteva non essere consapevole che il sistema previdenziale dei dipendenti parlamentari non solo era eticamente discutibile ma era totalmente squilibrato sul piano economico.
E non finisce qui. La ciliegina (amara) sulla torta arriva da una seconda occhiata al bilancio della Camera che riserva un’altra sorpresa: Montecitorio versa ai suoi 1.473 dipendenti la bellezza di 33 milioni di euro per una seconda pensione, per la previdenza integrativa. Alla prima beffa si somma una seconda beffa. Questo significa che, in media, ogni dipendente della Camera quest’anno verserà per la propria prima pensione circa 12 mila euro annui di contributi ma contemporaneamente la Camera verserà sul conto dello stesso dipendente presso il Fondo Integrativo la bellezza di 22 mila euro.
Che la situazione sia fuori controllo sono in tanti a pensarlo. Tanto che sia alla Camera che al Senato (e forse al Quirinale) c’è chi pensa ad una riforma drastica: escludere le pensioni dei lavoratori dai bilanci di queste istituzioni. Sul piano logico è possibile: l’autodichìa non è nata per difendere la previdenza di chi lavora negli organi costituzionali. C’è chi sta pensando alla costituzione di un fondo unico previdenziale dei dipendenti degli organi costituzionali che potrebbe essere incasellato nell’Inps, senza tagliare i diritti acquisiti. Del resto fra i parlamenti dei principali paesi europei nessuno paga direttamente le pensioni ai propri dipendenti. L’esclusione della previdenza dei dipendenti dai bilanci di Camera e Senato avrebbe anche un senso economico: oggi questa voce cresce ogni anno a dismisura ed obbliga le istituzioni a ridurre i propri investimenti e a tenere bloccate le assunzioni. Accade quando una corporazione perde i contatti con la realtà e rischia il suicidio.