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 2014  luglio 18 Venerdì calendario

LA MAPPA DEI CIELI CHE FANNO PAURA

Dribbling attorno alle no fly zone . Piccole (ma decisive) deviazioni per sfuggire alle aree calde del pianeta. La mappa del mondo – vista dai cieli – non è fatta di percorsi in linea retta. Gli otto milioni di persone che ogni giorno si imbarcano su oltre 100mila aerei non se ne rendono conto. Il percorso dei loro voli però non è quasi mai lineare. Anzi, spesso è un viaggio a zigzag disegnato da un algoritmo per evitare le zone a rischio.
Ma chi decide dove e come si può volare? E come mai Eurocontrol, il “vigile” del traffico aereo europeo (compreso quello di Kiev) ha autorizzato fino alle 17 di ieri – con l’ok delle autorità dell’aviazione civile locali – decine di voli quotidiani oltre quota 9mila metri sull’Ucraina? Vediamo.

BIANCO O NERO
Vie di mezzo non ce ne sono. Su un paese o si vola o non si vola. A dare l’autorizzazione al sorvolo sono sempre gli enti di sicurezza nazionali. L’Icao, l’agenzia del settore dell’Onu, le affianca con un’energica opera di moral suasion quando ci sono rischi evidenti per la sicurezza dei passeggeri. Oggi le no flyzone globali sono poche. Buona parte dei cieli dell’Afghanistan sono ancora considerati off-limits. Come qualche angolo dell’Africa. Su Iraq e Siria si transita – malgrado tutto – con paletti e “corridoi” limitati e rigidi. In Israele, dopo le tensioni delle ultime settimane, chi vuole atterrare a Tel Aviv è obbligato a seguire un unico percorso con approccio da nord a 8mila piedi d’altezza, allungando di trenta minuti il viaggio. La sola via area dove è garantita la copertura.
La sicurezza dei cieli dell’Ucraina, fino a poco tempo fa, non era stata messa in discussione. L’8 luglio Kiev ha bloccato i voli sotto level 3-20 ( 9mila metri). Ma non a quella cui viaggiava l’Mh17. L’Icao ha invitato le compagnie alla prudenza. Ma niente di più. L’unico spazio aereo chiuso totalmente è quello della Crimea. Sigillato dopo che i ribelli russi hanno preso il controllo dell’aeroporto di Sinferopoli.

I DRIBBLING ALLE GUERRE
Le rotte degli aerei sono disegnate per evitare le zone dove non si può volare. A inserire le aree a rischio sono ogni giorno gli esperti a terra nei piani per il cosiddetto “flight dispatch”. Il risiko delle tensioni e delle guerre mondiali viene incrociato dall’algoritmo di un computer con le condizioni meteo, il traffico e i rischi di “conflitto” con altri velivoli. E il risultato dell’elaborazione è il percorso definitivo. Uno per ogni volo. Il pilota può cambiarlo in corso d’opera solo con l’ok delle singole autorità nazionali.
Le variabili geopolitiche cambiano spesso la mappa planetaria dei cieli sicuri, un puzzle complicatissimo dove si incrociano ogni ora – Ucraina compresa – decine di voli. I jet turchi, per dire, non sono autorizzati a sorvolare Israele. Durante la guerra del Kosovo del ‘99 l’Europa è stata divisa in due dalla no-fly zone sui Balcani. Nei giorni del conflitto libico del 2011 la Nato autorizzava il sorvolo solo in orari, corridoi e altezze ben definite. Dopo l’11 settembre nessun velivolo può passare sopra la Casa Bianca e lo stesso valeva per i cieli sopra gli stadi del Mondiale di calcio in Brasile.

LA VARIABILE ECONOMICA
Le compagnie aeree (come pure molti stati, Ucraina compresa) fanno fatica a far quadrare i loro conti. E la rotta dei voli non è una variabile economicamente neutra. Meno si vola, meno si consuma. E più passeggeri su possono trasportare nell’arco di una giornata, più soldi entrano in cassa. Ovvio quindi che il settore non veda di buonissimo occhio le no-fly zone. Stesso discorso vale per i singoli paesi: ogni volta che un jet entra nel tuo spazio aereo, paga una tassa di sorvolo. Quattrini, centinaia di milioni ogni anno. Un rubinetto difficile da chiudere anche quando al suolo, come a Kiev, non regna proprio l’armonia sociale.
Per lo stesso motivo sono pochissime le realtà dell’aviazione dotate di strumenti di difesa contro un attacco missilistico. Gli aerei israeliani di El Al hanno sofisticate (e costosissime) apparecchiature che mandano in tilt i sistemi di puntamento. Lo stesso vale per l’Air Force One e l’aereo di Stato di Francois Hollande. Quelli del governo italiano invece (non quelli di linea, come ovvio) sono difesi dalla cosidetta “cappa”, un ombrello di sicurezza fatto di no-fly zone limitate in spazio e tempo e dalla scorta di intercettori.