Elisabetta Ambrosi, il Fatto Quotidiano 18/7/2014, 18 luglio 2014
NEL NOME DI IGNAZIO LA RUSSA, PADRE NOBILE DELL’ALFABETO IN RIGOROSO ORDINE MASCHILE
Non eravamo a conoscenza che nei suoi anni da post ministro – che noi immaginavamo cupi e abbattuti per il potere perduto – l’on. Ignazio La Russa si fosse dato all’indagine sociale. Lo abbiamo appreso ieri quando il deputato di Fratelli d’Italia, intervistato dopo l’inaspettato rinvio della votazione sulla legge sul doppio cognome che avrebbe dovuto essere approvata mercoledì, ha spiegato che ci sarebbero “alcune parti d’Italia in cui le mogli preferiscono trasmettere il cognome del padre”.
Si spiegherebbe così anche il fatto che, preso dall’affannosa raccolta di dati porta a porta per lo stivale, l’on. La Russa non abbia avuto neanche il tempo di leggere il testo di legge che nel frattempo era stato approvato all’unanimità – forse a sua insaputa – dalla commissione Giustizia, dopo che la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva condannato l’Italia per violazione del principio di eguaglianza.
Se l’avesse fatto, insieme ai suoi colleghi della Lega nord e di Forza Italia, improvvisamente scopertisi sensibili al tema quando la legge stava arrivando al dunque (un vero “festival dell’ipocrisia”, ha detto Bonafede dei cinque stelle), avrebbe almeno saputo che le nuove norme prevedono la possibilità per i genitori di scegliere uno dei due cognomi o tenerli entrambi, purché la scelta sia uguale per tutti i fratelli (in caso di disaccordo tra i coniugi si attribuiscono entrambi i cognomi al figlio in ordine alfabetico). Inoltre, oltre a dare ai maggiorenni la possibilità di aggiungere uno dei due cognomi, stabiliscono che la persona con due cognomi, per evitare la moltiplicazione nelle generazioni, possa trasmetterne al figlio uno soltanto. Infine subordinano l’applicazione della nuova norma all’entrata in vigore del regolamento, per evitare problemi di tipo amministrativo e burocratico.
Il dibattito parlamentare andato in scena mercoledì – specchio di un’Italia che non possiamo definire atavica per non denigrare i nostri antenati – è stato invece un susseguirsi di pittoresche e insensate argomentazioni tutte volte a esprimere un unico non detto: “Ma che davvero qui mo’ passa la possibilità di dare ai figli il cognome di una donna?”. Ecco allora l’on. Brigantini della Lega che, dopo aver precisato che il nostro è un paese che permette addirittura alle donne di avere lo stesso cognome “dalla nascita alla morte”, ipotizzava fantomatiche crisi familiari a causa di figli con cognomi tutti diversi (?) e coppie divorziate che potrebbero voler cambiare cognome ai figli (?). O Rocco Buttiglione che, invocando Shakespeare e Lévi-Strauss, immaginava stuoli di bambini disperati privi di appartenenza per difendere i quali si diceva disposto persino a lasciare il solo cognome della madre.
E ancora l’on. Grimoldi, sempre della Lega, che preannunciava deliri amministrativi, e l’on. Pagano di Forza Italia che ricordava che un conto è la libertà di scelta, un conto l’identità che viene cambiata (?) e che comunque non è possibile che si autorizzi l’anarchia “in un paese con duemila anni di storia e di civiltà conclamate”. Infine, di nuovo, lo stesso La Russa che si lanciava in invettive a favore di una presunta libertà violata dei figli maggiorenni (?) e soprattutto non si capacitava della terribile violenza compiuta dalla legge verso un ipotetico signor Zapulla che potrebbe vedere il suo cognome scalzato nell’ordine da quello della moglie signora Aselli. Qualcuno immagina che dopo lo stop alla legge il Pd si sia stracciato le vesti? Macché. Mentre la Marzano scopriva l’acqua calda, e cioè che anche il suo partito è pieno di maschilisti, Verini sosteneva che in fondo si era portato a casa un gran risultato (“Se si fosse votato ci sarebbe stato il rischio di una bocciatura”). Ma sì, ha ragione Ignazio, “visto che sono secoli che il meccanismo è uguale, non si potrebbe ritardare tutto di una settimana?”. Capace che nel frattempo l’emiciclo si legga Shakespeare e Lévi-Strauss e convenga con Buttiglione che i tempi non sono maturi per accettare che uomo e donna sono uguali (ma chi l’ha detto? Ma che, davvero?).