Alessio Schiesari, il Fatto Quotidiano 18/7/2014, 18 luglio 2014
VIAGGIO AL TERMINE DI SIENA
«Cosa faremo il fine settimana?». È questa la domanda ricorrente tra le contrade di Siena, una città che nelle ultime settimane ha perso due dei suoi gioielli: la Mens Sana basket e la Robur, la squadra di calcio meglio conosciuta come A.c. Siena. Per la città è un brutto colpo: lo stadio Artemio Franchi e il Palaestra, insieme, ospitavano mediamente 10 mila spettatori ogni weekend. Fino all’anno scorso, quando la squadra di calcio ancora giocava in A, si sfioravano addirittura le 20 mila presenze, più altre 4 mila e dispari nei turni infrasettimanali di Eurolega. Praticamente un senese su due – la città conta 52 mila abitanti – andava allo stadio o al palazzetto ogni settimana.
Numeri importanti, ma non quanto quelli sui debiti delle due società: 100 milioni, di cui almeno 17 verso i fornitori. Una voragine che rischia di far saltare tante piccole aziende: chi forniva i pullman, chi il catering, chi gli steward. Il fallimento dello sport è la naturale conseguenza del fallimento della città e della sua banca, il Monte dei Paschi, per anni cuore pulsante di quel «groviglio armonioso» – il copyright è di Stefano Bisi, vicedirettore del Corriere di Siena e guida del Grande Oriente d’Italia – che a Piazza del Campo e dintorni coinvolgeva tutto: banca, contrade, politica e massoneria. Ma la storia dei fallimenti è anche la storia dei due uomini che hanno accompagnato le due società fin dentro il camposanto sportivo: Massimo Mezzaroma per la Robur, Ferdinando Minucci per la Mens Sana.
La storia del fallimento calcistico è raccontata nel libro Robur anno zero scritto da uno dei giornalisti de il Cittadino online. Mezzaroma rileva il Siena nel gennaio del 2010. «È stato subito chiaro che ci avrebbe portato in B. Per noi è sempre stato un nemico, non abbiamo mai smesso di contestarlo», inveisce Cristiano Bottoni, una delle figure storiche dei Vecchi ultras Siena. Lo schema è lo stesso applicato tante volte: la banca convince un suo cliente a rilevare la squadra. Le fideiussioni e lo sponsor ce li mette Mps, la faccia l’imprenditore. Normalmente, quando un immobiliarista acquista una società sportiva, si aspetta di ottenere in cambio qualche cantiere. Mezzaroma invece a Siena non ha messo giù un mattone. Ma Mps, insieme a Unicredit, è la grande creditrice del costruttore che, nonostante la crisi e i bilanci sempre più in rosso, continua a ottenere linee di credito. Mezzaroma (che all’età di 21 anni era stato messo da papà Pietro a capo del settore giovanile della Roma) più che a un munifico presidente, assomiglia a un curatore fallimentare. Durante la sua breve presidenza, Mps ritira il proprio sponsor dalle maglie, per cui pagava 10 milioni di euro l’anno. Quella appena conclusa al nono posto in B, è stata l’ultima stagione tra i professionisti. In attesa di sapere se la vicenda societaria si chiuderà con un concordato, una liquidazione o un fallimento, si cercano nuovi acquirenti per ripartire dalla Serie D. Ci vogliono 1,3 milioni di euro: sembrerebbe un’inezia per una società che macinava milioni di euro di debito ogni anno, invece per trovare un finanziatore si sta spendendo anche il sindaco Bruno Valentini. «Qui c’era un legame patologico tra politica e sport. Gli amministratori precedenti mettevano bocca sulla campagna acquisti, sugli allenatori, su tutto. Io mi impegno a cercare un imprenditore interessato, poi lascerò la squadra andare per la sua strada. La leggenda Siena è finita, adesso è ora di tornare alla normalità», spiega. Valentini non cita per nome i «precedenti amministratori», ma non ci vuole molto per capire che parla di suoi ex colleghi di partito, perché qui il Pd governa da sempre, per di più con percentuali bulgare. Il Siena calcio non meritava questa fine ingloriosa, anche perché senza la penalizzazione di otto punti (dovuta ai guai finanziari), avrebbe lottato per tornare in A. Invece i tifosi devono osservare le stelle della squadra (Alessandro Rosina e Francesco Valiani, oltre all’allenatore Mario Beretta) migrare altrove. Probabilmente andranno tutti 311 chilometri più a sud, a Latina.
È lo stesso supplizio cui hanno fatto il callo i tifosi della Mens Sana, che hanno appena concluso un ciclo straordinario – sette scudetti di fila e due final four di Eurolega – con la sconfitta in gara 7 contro Milano (che però giocava con tre ex senesi in quintetto, più l’allenatore e il preparatore atletico). Anche la parabola della Mens Sana ha un volto, quello di Ferdinando Minucci. Partito come procacciatore pubblicitario, coi soldi del Monte ha reso la Mens Sana, fino a quel momento una onlus che viveva di volontariato, una corazzata. Fino alla sfida più sgradita, quella con l’Agenzia delle entrate, che ha scoperto una frode fiscale da 60 milioni di euro. Lo schema è lo stesso per cui Equitalia è sulle tracce di Maradona: gli stipendi dei giocatori venivano mascherati da contratti d’immagine con società estere per aggirare il fisco. E, nella città della banda del 5 per cento, Minucci, secondo l’accusa, avrebbe tenuto per sé una provvigione. La multa per frode, stimata tra i 15 e i 23 milioni di euro, è l’iscrizione funeraria sulla tomba della squadra. La lapide invece sono i tre palazzetti dello sport costruiti su un fazzoletto di pochi chilometri: l’emblema della smania di grandeur che ha colpito Siena nel suo decennio d’oro. La cittadina si è creduta metropoli, adesso è costretta a scendere dal Monte e ripartire. Dal basso.