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 2014  luglio 18 Venerdì calendario

DONNE CHE AMANO LE DONNE

L’amore non è una cosa semplice. L’amore omo lo è ancora meno. L’amore omo femminile è decisamente complicato. Perché sfaccettato, sfumato, poco visibile e scarsamente indagato dalla scienza e dalla sociologia. Luoghi comuni e false credenze sono la diretta conseguenza di questo stato di cose, come dire, “sfuggente”, sul quale però c’è ugualmente tanto da raccontare.
«L’omosessualità è una variante naturale del comportamento umano». Così l’Organizzazione mondiale della sanità si addentra nel terreno minato delle definizioni per parlare di gay e lesbiche. E non a caso usa la parola naturale, lo stesso termine utilizzato da chi giustifica la propria omofobia dissertando di amore “contro natura”. Ebbene, l’omosessualità è sempre esistita, in qualsiasi epoca e in qualsiasi cultura, e riguarda stabilmente una percentuale più o meno fissa della popolazione: il 4-5 per cento degli uomini e il 2-3 per cento delle donne (secondo i celebri rapporti Kinsey degli anni Cinquanta, considerati ancora attendibili).
Una costanza che non è sfuggita all’attenzione di scienziati e sessuologo i quali, anche grazie alle statistiche, hanno tratto la conclusione che esistano componenti biologiche dell’omosessualità e che queste siano frutto dell’interazione fra chimica, biologia e contesto ambientale. «Anche gli studi sui gemelli omozigoti portano a questa conclusione», racconta Emmanuele A. Jannini, professore di sessuologia ed endocrinologia all’Università di Roma Tor Vergata. «Se uno dei due è omosessuale, indipendentemente dal fatto che siano cresciuti assieme o separati, la possibilità che anche l’altro sia omosessuale è del 50 per cento. Un’ulteriore prova che l’orientamento sessuale è stabilito già alla nascita».
Dello stesso avviso Chiara Simonelli, professore associato di Psicologia dello sviluppo sessuale all’Università La Sapienza di Roma: «Ancora oggi molti genitori sono convinti che i propri figli scelgano di diventare omosessuali. Ma non è così. L’orientamento sessuale è stabilito dalla nascita, si manifesta precocemente, in genere fin dalle elementari, e la consapevolezza arriva nella prima adolescenza. In questi anni se una ragazza è lesbica comincia a provare forte attrazione per le persone del proprio sesso mentre non trova attraente chi “dovrebbe” trovare attraente (per esempio il ragazzo più gettonato della scuola). Questo processo può essere alterato dalle pressioni del gruppo, può quindi succedere che la ragazza per omologarsi si faccia piacere i ragazzi che in realtà non le interessano».
A complicare la situazione c’è la bisessualità. Durante l’adolescenza le ragazze hanno una grande fluidità che può generare ulteriore confusione sul proprio orientamento sessuale. Le donne, in generale, hanno una probabilità tre volte maggiore rispetto agli uomini di identificarsi in bisessuali. In un’indagine di qualche anno fa dei Centers for Disease Control statunitensi condotta su 13.500 soggetti, dichiarava almeno un’esperienza omosessuale il 12,5 per cento delle donne contro il 5,2 per cento degli uomini.
Che l’omosessualità non sia una malattia né un disturbo psichiatrico da curare attraverso le cosiddette terapie riparative (dalle quali gli psicologi hanno preso ufficialmente le distanze) non è più in discussione. Ma non è così semplice. «Sarà “assodato” per gli scienziati, ma l’idea che l’omosessualità sia una malattia rimane ancora radicata in molte persone. Attorno alla sfera sessuale i pregiudizi sono più tenaci perché anche gli individui più incolti pensano di sapere che cos’è la sessualità e rifiutano la spiegazione scientifica», spiega Nicla Vassallo, docente di Filosofia teoretica all’Università di Genova, esperta di gender studies e scrittrice (in uscita per Laterza Uomini e donne hanno il diritto di sposarsi: Falso!). «Eppure sarà proprio la scienza a cambiare la mentalità della gente. Ci vorrà però molto tempo e un approccio che non alimenti a sua volta il pregiudizio. Quando si studia solo “l’anormalità” o una preferenza sessuale anziché la sessualità intera, per esempio, si trasmette indirettamente il messaggio che si stia analizzando una sessualità malata. Penso a tutti gli studi “alla ricerca” del gene dell’omosessualità. Cosa portano a pensare? Che se esiste un gene allora si può modificare, proprio come una malattia si può curare. La scienza ha sempre cercato, e cerca tuttora, di “normare” l’omosessualità». “Geni” a parte, sul perché si nasca omosessuali anziché etero c’è ancora mistero.

Uno dei pochi dati scientifici provati riguarda la componente ormonale. Spiega Jannini: «Se il 2 per cento della popolazione femminile è lesbica, la percentuale arriva al 25 per cento fra le donne che hanno avuto – soprattutto durante la vita fetale - un’alterazione della produzione ormonale della ghiandola surrenale». Gli effetti di questa esposizione precoce agli ormoni dell’altro sesso sono riconoscibili perché possono indurre una relativa mascolinizzazione nell’aspetto e nel comportamento e, di conseguenza, anche nel modo di vestire. Ma solo una lesbica su quattro presenta questi caratteri. Le altre “donne che amano le donne” non sono in alcun modo riconoscibili per aspetto e atteggiamento.
Anche sull’influenza ambientale esistono diversi studi. In particolare è stato indagato il collegamento fra abusi subiti durante l’infanzia e omosessualità. Ebbene, più di una ricerca (Balsam 2005, Huges 2010) rileva che lesbiche e bisessuali avrebbero subito durante l’infanzia abusi (sessuali, ma anche abbandono e maltrattamenti) in misura doppia o comunque maggiore rispetto alle donne etero.
Da un sondaggio condotto da tre università australiane su 19 mila persone emerge che le lesbiche sarebbero amanti migliori rispetto alle donne etero e raggiungerebbero più orgasmi. Nel dettaglio: le donne che raggiungono l’orgasmo secondo questo studio sarebbero il 69% nelle coppie etero, il 75% nelle coppie lesbiche. Inoltre le donne omosessuali hanno rapporti meno frequenti delle etero, ma più lunghi (mezz’ora contro otto minuti). «Questi dati dimostrano quello che sappiamo: le donne privilegiano la qualità alla quantità, proprio in quanto donne», spiega Jannini. La vita di coppia e la sessualità delle lesbiche ripercorrono infatti le modalità tipiche femminili, dove le donne, per ragioni biologico-evolutive (per garantire la sopravvivenza dei figli le femmine avevano bisogno di un’unione stabile per assicurarsi l’appoggio del maschio), hanno la tendenza a creare e a mantenere la coppia. Fra i gay invece la creazione della coppia è più rara mentre è ricorrente la promiscuità. Le famose dark room sono quasi esclusivamente maschili.
«Per le donne non è ammissibile l’anonimato, devono sapere con chi stanno instaurando una relazione, e poi tendono a innamorarsi» sostiene lo studioso. Nel tempo si vedono le differenze. «Le coppie lesbiche rispetto alle coppie fra maschi sono più stabili perché le donne tendono a fare il nido. E anche quando una delle partner è mascolina rimane con una psicologia femminile» sottolinea Simonelli. Inoltre danno meno importanza al sesso rispetto ai maschi; terminata la fase di innamoramento, la sessualità passa in secondo piano.
Ma come fanno l’amore due donne? Intanto va sfatato il luogo comune sulla penetrazione; questa non è un must fra lesbiche, e del resto non lo è nemmeno fra gay (per i quali è più frequente il sesso orale). L’importante è il raggiungimento dell’orgasmo reciproco. E due donne, vista l’ovvia familiarità col corpo femminile, se la cavano benissimo (paradossalmente, se di scelta si trattasse, l’amore col partner dello stesso sesso è l’ideale). Poi ognuno ha la propria sessualità, fatta di mille sfumature. Catalogare modi, ruoli e copioni è impensabile. E non è detto che in una coppia lesbica si riproduca la coppia tradizionale, con un partner maschile e uno femminile.
La letteratura scientifica sulle lesbiche è piuttosto scarsa. Perché scarsa è l’attenzione che la scienza ha storicamente dedicato alla sessualità femminile. «La sessualità femminile è sempre stata ridotta alla riproduzione, in epoca vittoriana il piacere per le donne era addirittura disdicevole. E ancora oggi dalle indagini sociologiche risulta che gli uomini sanno poco del piacere delle donne» spiega Vassallo. «Il lesbismo è stato poco considerato anche perché in fondo non compromette la funzione riproduttrice della donna».
Rispetto ai gay le lesbiche sono meno numerose, meno visibili, meno organizzate (per esempio non fanno lobby in settori specifici) e forse per tutti questi motivi anche storicamente meno perseguitate a livello sociale e legislativo. Persino le fantasie erotiche aiutano a capire quanto la visione dell’amore saffico disturbi meno del sesso fra maschi. Sull’amore fra due lesbiche fantasticano sia le donne sia gli uomini eterosessuali, mentre il sesso fra maschi non è sexy né erotizzante per nessuno dei due; anzi il più delle volte turba e infastidisce.
Non è raro, in ogni caso, che una donna etero possa provare per un periodo della sua vita attrazione per il proprio sesso. Può succedere per curiosità, o in seguito a delusioni, abusi o violenze che la spingono a cercare in un’altra donna la dolcezza e l’intimità che crede non possa venire da un uomo. Oppure durante l’adolescenza, dove il confine fra i sentimenti di amicizia e l’attrazione è molto sfumato. O ancora in condizioni di convivenza forzata fra persone dello stesso genere, come accade in carcere. In tutti questi casi però è sbagliato parlare di omosessualità, perché gli omosessuali sono coloro che hanno un interesse (inteso come fantasie e attrazione) esclusivo e costante verso lo stesso sesso. E soprattutto sono nati così.
Emanuela Cruciano