Mario Platero, Il Sole 24 Ore 18/7/2014, 18 luglio 2014
L’AMERICA NON RIESCE A RISPONDERE AL NUOVO DISORDINE INTERNAZIONALE
NEW YORK. Dal nostro corrispondente
Improvvisamente, dopo una nuova sfilza di sanzioni, annunciate da Washington mercoledì notte, l’escalation: l’incidente nei cieli dell’Ucraina orientale, l’aereo malese precipitato con 298 persone a bordo, diventa il simbolo drammatico di una situazione che non è più sostenibile. Non si può giustificare che la Russia continui a "giocare" con la situazione ucraina ora annunciando marce indietro ora rivendicando i diritti dei ribelli che, secondo un documento di mercoledì del dipartimento di Stato, ricevono aiuti materiali e forniture militari da Mosca. Ne si può più giustificare che l’America proceda con delle sanzioni che in ultima analisi, nonostante l’amministrazione Obama affermi il contrario, lasciano il tempo che trovano e anzi finiscono con il danneggiare entità economiche occidentali senza raggiungere gli obiettivi voluti con la Russia.
Abbiamo appreso che l’aereo malese è stato abbattuto da un missile della contraerea dei ribelli come afferma il presidente ucraino Porshenko. Di certo, quando l’opinione pubblica, giusto o sbagliato che sia, individua nell’incidente una conseguenza del conflitto (e l’errore potrebbe anche essere stato dell’artiglieria ucraina) si varca una soglia che non si sarebbe mai dovuta superare.
Vladimir Putin e Barack Obama si sono parlati brevemente ieri e dalle dichiarazioni dei due leader dobbiamo concludere che ci sono tre livelli diversi intorno alla crisi ucraina. Il primo è che in Europa orientale - come in Siria e Iraq o in Pakistan e Afghanistan o a Gaza - si combatte per chiudere un periodo di governance mondiale dominato dagli Stati Uniti d’America fin dalla fine della Guerra Fredda e per aprirne un altro non ancora definito. Questo lo ha detto senza mezzi termini lo stesso Putin quando mercoledì ha risposto alle nuove sanzioni americane con un contrattacco retorico: «In generale - ha detto Putin - coloro che pianificano la politica estera americana - e non solo ora ma negli ultimi 10-15 anni - conducono secondo me una politica estera molto aggressiva e secondo me non professionale». Non potrebbe esserci una dichiarazione di intenti più chiara per decretare che secondo Mosca l’ordine americano ha fatto il suo tempo. E sul piano dell’immagine simbolica il contrappunto lo troviamo nella foto dell’altro giorno in Brasile che mostrava i quattro ospiti di Dilma Rousseff, il presidente brasiliano, al vertice dei Brics: il presidente russo Vladimir Putin, quello indiano Narandra Modi, quello cinese Xi Jinping e quello sudafricano Jacob Zuma in cerchio cone le mani riunite per celebrare il lancio di una nuova banca per lo sviluppo che avrà sede a Shanghai. Si trattava chiaramente di una immagine di sfida all’America e all’Occidente in genere. Questo processo di riorganizzazione della governance mondiale è in corso e non si risolverà in tempi brevi, ma ripropone una situazione da Guerra Fredda pur con parametri diversi (basti pensare alla Rousseff che ha cancellato una cena di Stato a Washington).
Il secondo livello è quello ucraino ed è urgente. Soprattutto dopo l’incidente di ieri. Putin dice che il problema va risolto insieme. I due leader si sono parlati ma le posizioni restano distanti. E non c’è dubbio che in base alla vecchia governance Washington abbia ragione quando accusa Mosca di fomentare la rivolta e di incoraggiare un movimento separatista che opera fuori dalla legalità internazionale. Ma l’ordine sta cambiando. Che i due leader si incontrino dunque per arrivare a una soluzione negoziata ed equa.
E arriviamo alle sanzioni. Quelle di mercoledì sono pesanti, l’indice di borsa russo Micex ha perso il 2,5%. Forse le misure contro il gruppo Rosneft, il grande produttore di greggio controllato dallo Stato, Gazprombank, la divisione finanziaria del colosso Gazprom; Novatek, un altro gruppo produttore di gas naturale, e Vnesheconombank, la banca statale per lo sviluppo economico hanno lasciato un segno. Ma si tratta di una reazione a caldo. Queste istituzioni non avranno problemi a finanziarsi in Cina o su altri mercati le cui banche non hanno uffici negli Stati Uniti. Proprio ieri a New York istituzioni finanziarie europee cercavano di capire le conseguenze delle sanzioni. La conclusione? Nel medio termine le aziende russe non soffriranno, ma il business con loro molto profittevole, andrà ad altri.