Alessandro Plateroti, Il Sole 24 Ore 18/7/2014, 18 luglio 2014
MERCATI IN BALÌA DELLE CRISI
Le analisi sulle ripercussioni geopolitiche della crisi in Ucraina hanno finora escluso un impatto devastante sui mercati finanziari. E in effetti, malgrado alcune punte di tensione legate alle sanzioni contro la Russia, gli investitori hanno mantenuto finora la calma.
Non c’è dubbio del resto che il perdurare dei combattimenti nell’ex repubblica sovietica abbia avuto un ruolo marginale - o quanto meno di di secondo piano - tra i fattori di instabilità delle Borse azionarie, dei titoli di Stato e delle commodities: la ripresa economica globale, la liquidità delle banche centrali e la crisi nell’Eurozona hanno prevalso sul resto, relegando lo scontro tra lealisti ucraini e indipendentisti russi al ruolo di crisi circoscritta.
Sarà così anche questa volta? Ieri il nervosismo è stato immediato, con una corsa ai beni rifugio e una caduta sensibile di Wall Street, unica Borsa rilevante aperta nel momento della tragedia. Il «fear factor», cioè il fattore-paura, è poi letteralmente esploso con l’invasione israeliana in Palestina, creando in poche ore le condizioni non solo per un tonfo delle Borse americane, ma anche dei loro futures: ieri notte i futures sul Dow Jones anticipavano per oggi una caduta dell’indice di circa l’1%, quelli dell’S&P dell’1,4%. Al contrario, il segno verde appariva per l’oro, l’argento e il petrolio, gli asset più sensibili ai fattori geopolitici.
Ma che cosa faranno oggi i mercati europei, ultimo giorno di una settimana borsistica già in tensione per le incertezze economiche e le lacerazioni politiche dell’eurozona, per la crisi in Palestina e per il rincaro delle sanzioni commerciali contro la Russia? Se si prende a riferimento la seduta di ieri, le aspettative non sono buone: Milano, Londra, Francoforte e Parigi hanno chiuso in ribasso ben prima della notizia dell’incidente, e quindi solo in reazione alle nuove sanzioni economiche contro Mosca. Oggi, nei calcoli, entreranno anche il dramma dell’aereo, le ripercussioni geopolitiche e le nuove tensioni in Palestina: se è vero che il mercato cerca da tempo un evento-catalizzatore per dare un colpo all’euforia della Borsa, questo scenario potrebbe facilmente diventare il detonatore della correzione. Ieri sera gli analisti ponevano così la questione. D’ora in avanti, la crisi ucraina non sarà più la stessa, con alcune conseguenze prevedibili: un ulteriore aumento della tensione tra Russia, America ed Europa, nuove divisioni a Bruxelles sulla linea da prendere con Putin, danni alle relazioni commerciali e diplomatiche tra Est e Ovest, peggioramento della crisi finanziaria di Mosca (la fuga di capitali va avanti da mesi), rialzo dei prezzi di commodities-chiave come il grano e il petrolio. E questo per l’immediato. Sullo sfondo, infatti, quello che fa paura ai mercati è l’assenza di una leadership globale, è l’esplosione di una crisi di credibilità da parte dell’Occidente e soprattutto il rischio di un ulteriore deterioramento delle relazioni tra i Paesi dell’Eurozona, che proprio sulla questione Ucraina e sulla linea da tenere con la Russia hanno dato finora uno spettacolo a dir poco vergognoso. Chi farà le spese di tutto ciò? I mercati occidentali, ovviamente, ma anche quelli emergenti: la crisi in Ucraina rappresenta infatti un monito per tutti sulla rischiosità di paesi che in tempi di vacche grasse sono stati frettolosamente esaltati come la nuova frontiera del capitalismo e del mercato. Senza leadership globale, i mercati vanno immediatamente sulla difensiva.
La prudenza, dunque, è certamente la scelta migliore di qui in avanti. Le nuove tensioni amplificano le incertezze di un mercato che si muove da troppo tempo sulla sola spinta della liquidità straordinaria delle banche centrali. E anche se a dare sostegno ai mercati sono state finora le buone trimestrali delle corporation americane, l’equilibrio complessivo è quanto meno precario: se il mondo torna al clima della guerra fredda, nè il bazooka di Draghi nè il cannone della Fed saranno in grado di garantire crescita e stabilità. Meno che mai
la pace.