Robert J. Shiller, Il Sole 24 Ore 18/7/2014, 18 luglio 2014
È SEMPRE BENE TEMERE LE BOLLE
Negli ultimi mesi è salita la preoccupazione per il fatto che il surriscaldamento dei mercati degli asset - immobiliare, azioni e obbligazioni a lungo termine - possa portare a una grave correzione e a un’altra crisi economica. L’opinione pubblica non pare allarmata: Google Trends rileva picchi nella ricerca delle parole «bolla finanziaria», ma senza raggiungere i livelli del 2007 e le ricerche per «bolla immobiliare» sono abbastanza infrequenti.
Eppure la preoccupazione degli esperti è palpabile e legittima perché la convinzione che i mercati siano sempre efficienti può sussistere solo quando c’è qualcuno che non ci crede del tutto e pensa di poter approfittare del mercato al momento giusto. Al tempo stesso la crescente preoccupazione è insidiosa perché non sappiamo se condurrà a un’iperreazione al ribasso.
Le agenzie internazionali hanno lanciato avvertimenti sugli eccessi speculativi dei mercati degli asset mettendoci in guardia contro una possibile crisi. In un discorso a giugno, il vicedirettore dell’Fmi Min Zhu ha osservato che i mercati immobiliari di diversi Paesi di Europa, Asia e Americhe «hanno mostrato segni di surriscaldamento». Lo stesso mese, la Bank for International Settlements ha scritto nel suo rapporto annuale che «i segnali sono preoccupanti».
Anche i giornali sono allarmisti. L’8 luglio la prima pagina del New York Times apriva con il seguente, iperbolico titolo: «È un boom o una bolla che investe ogni cosa, dalle azioni ai terreni agricoli. I prezzi di quasi tutti gli attivi nel mondo sono in rialzo e portano rischi economici». Quel «quasi tutti» è forse un po’ esagerato, ma il titolo traduce bene il timore che aleggia.
Non si capisce bene perché l’allarme sia scattato solo ora, dopo cinque anni di espansione dei mercati da quando hanno toccato il fondo all’inizio del 2009. Com’è che la gente ha perso l’illusione che ci saranno altri anni di espansione? Pare che questa percezione sia stata influenzata dalle recenti punte record toccate dai mercati azionari, anche se data l’inflazione, in realtà quei livelli sono insignificanti. Solo un mese fa l’indice Msci World (Morgan Stanley International All Country World Index) ha superato il record raggiunto il 31 ottobre 2007.
L’Fmi ha annunciato a giugno il nuovo sito Global Housing Watch che segue l’andamento dei prezzi globali delle case e dei rapporti prezzo case-reddito. Il sito mostra un indice globale dei prezzi immobiliari in aumento, su base Pil, allo stesso ritmo raggiunto durante il boom che aveva preceduto la crisi del 2008, pur non avendo ancora toccato il livello record del 2006.
E poi c’è l’annuncio della Fed americana secondo il quale, se l’economia cresce come previsto, l’ultimo round di acquisti obbligazionari del Quantitative easing cominciato a settembre 2012 avverrà un mese dopo l’incontro del Fomc (il comitato monetario della Fed), a ottobre prossimo. Anche quell’annuncio sembra influenzare gli analisti, anche se di novità non proprio si tratta visto che tutti sanno da un pezzo che la Fed avrebbe messo fine al programma.
Il problema è che non si può prevedere con certezza come reagirà la gente a un tale cambiamento di rotta, ai segnali di surriscaldamento o di abbassamento dei prezzi o ad altre storie che potrebbero essere date in qualche modo per buone. Non abbiamo una storia ben documentata delle grandi crisi finanziarie da poter analizzare e questo rende gli econometristi vulnerabili a commettere errori gravi, nonostante studino periodi di tempo che in genere abbracciano solo pochi decenni.
Prima della recente crisi gli economisti esortavano alla "grande moderazione": le fluttuazioni sembravano farsi più moderate e molti conclusero che la politica di stabilizzazione economica avesse raggiunto nuovi picchi di efficacia, come nel 2005, poco prima dello scoppio della crisi finanziaria, gli econometristi di Harvard James Stock (ora membro del Consiglio dei consulenti economici del presidente Obama) e Mark Watson avevano concluso che in quarant’anni le economie avanzate erano diventate meno volatili e interdipendenti. La loro conclusione sarebbe stata clamorosamente smentita dai dati registrati allo scoppio della crisi finanziaria. Il rallentamento economico del 2009, l’annus horribilis della crisi, è stato catastrofico.
Nel corso del secolo scorso abbiamo vissuto solo tre grandi crisi mondiali - quella del 1929-33, quella del 1980-82 e quella del 2007-9 - che sembrano molto più che varianti più intense delle piccole fluttuazioni che siamo soliti vedere e che Stock e Watson avevano analizzato. È difficile comprendere questi eventi basandosi solo su tre osservazioni. Tutto sembrava dipendere dai movimenti speculativi dei prezzi che avevano colto di sorpresa gran parte degli analisti e che non erano mai stati davvero spiegati, anche a distanza di anni, e anche dagli errori dei politici al governo. Per esempio, la crisi del 1980-82 fu scatenata dal prezzo del petrolio schizzato alle stelle a causa della guerra fra Iran e Iraq. Ma era tutto legato alle bolle dei prezzi degli attivi scoppiate portando al crollo finanziario.
Fa bene chi ci mette in guardia dai gravi pericoli che un’escalation speculativa dei prezzi comporterebbe se dovesse continuare indisturbata, anche se non può dimostrare perché vi sia ragione di preoccuparsi. Quegli avvertimenti possono impedire che il boom che si sta verificando non perduri e non diventi più pericoloso.
(Traduzione di Francesca Novajra)