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 2014  luglio 18 Venerdì calendario

IL TUO CLONE TI SOPRAVVIVERA’

Pinchas Gutter ha 81 anni ed è sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti, ma non ha molto tempo per tramandare la sua storia alle nuove generazioni. Ecco perché è entrato nei laboratori dell’Istituto di Tecnologie Creative dell’Università della California meridionale, a Los Angeles, per rendere eterna la sua testimonianza: per tre ore ha raccontato la sua storia davanti a sette videocamere ad alta velocità, in una stanza illuminata da migliaia di luci. Lo scopo? Permettere la creazione del suo clone digitale, tridimensionale ed emotivamente più coinvolgente rispetto a un filmato, in grado di ripetere la testimonianza ben al di là dei suoi limiti mortali. Il risultato, impressionante, si può vedere su YouTube digitando "New Dimensions in Testimony": il clone digitale in 3D dell’anziano Pinchas conversa amabilmente con una scolaresca. Il miracolo è reso possibile dalle ricerche di Paul Debevec, 42 anni, scienziato da sempre votato alla creazione di copie digitali verosimili di umani. «Da quando è nata la computer grafica è sempre esistita l’ossessione di realizzare in maniera virtuale qualcosa che sembri reale», spiega a "l’Espresso" Debevec: «E un volto umano digitale realistico dà una soddisfazione ancora maggiore, è come un grande trucco per un illusionista».
La magia però non è semplice: chi guarda un volto umano fatto di pixel innalza immediatamente le aspettative in fatto di verosimiglianza, rispetto a quando guarda un oggetto. Al campo degli umani digitali si applica infatti da decenni la teoria del 1970 dello scienziato giapponese Masahiro Mori a proposito della relazione dell’uomo con i robot: accettiamo i personaggi digitali (o i robot, appunto) che ci somigliano, ma più il grado di somiglianza si avvicina alla perfezione, senza tuttavia raggiungerla, più proviamo repulsione per gli stessi, entrando in quella che Mori definisce la "valle dell’insolito", uno stato psicologico in cui ciò che guardiamo ci sembra strano e diverso, anche se non riusciamo a spiegare perché. «Il motivo», spiega Debevec, «è che fin da bambini siamo abituati a guardare le facce degli altri e capiamo a un livello profondo se quello che abbiamo davanti è un umano vero o no». La chiave per non far sembrare una faccia finta è replicare con il computer il modo in cui reagisce di fronte ad ogni possibile condizione di luce. «Ogni singolo dettaglio di un volto umano è influenzato dalla luce», spiega Debevec: «Non soltanto la pelle, di cui ci occupiamo principalmente nel mio laboratorio, ma anche gli occhi, i capelli, i denti, che reagiscono in maniera diversa l’uno dall’altro quando sono illuminati». Per questo Debevec con i suoi collaboratori ha realizzato il Light Stage, una specie di cupola hi-tech in cui ha appunto messo piede il sopravvissuto Gutter. Il primo prototipo nel 2000 disponeva di una sola lampadina in grado di muoversi attorno al soggetto e di una telecamera per riprenderlo, quello utilizzato da Gutter, risalente al 2006, utilizza 6.666 led e tre fotocamere ad alta velocità, e può registrare una persona a figura intera, mentre il più recente, del 2012, è costruito per catturare ogni minuscolo dettaglio di una faccia: bastano due secondi ai led controllati dal computer per illuminare con ogni tipo di luce possibile, dalla più accecante alla quasi totale oscurità, il soggetto, e alle fotocamere per catturarne ogni sfumatura. Il risultato viene poi elaborato dal computer e affinato da altri esperti informatici.
Si tratterebbe solo di un’astrusa tecnologia che interessa solo ai nerd, se non fosse che Debevec è diventato il guru mondiale in fatto di umani digitali, e da lui accorrono tutti gli studios hollywoodiani. Il suo lavoro, premiato con un Oscar tecnologico nel 2010, è rimasto oscuro per molto tempo, ma i risultati sono da tempo sul grande schermo: era digitale il viso di Alfred Molina che combatteva con l’Uomo Ragno in "Spider-Man 2" così come quello di Naomi Watts rapita da King Kong e Sam Worthington nelle sequenze finali in cui abbraccia l’aliena Neytiri in "Avatar". Persino Tom Cruise si è sottoposto alla seduta fotografica per poter combattere contro un proprio clone in "Oblivion" e grazie allo stesso sistema David Fincher ha sostituito la faccia di Arnie Hammer a quella di un altro attore per creare i gemelli Winklevoss di "The Social Network". Il capolavoro imbattuto di clone digitale rimane però finora quello del Brad Pitt vecchissimo ne "Il curioso caso di Benjamin Button", reso possibile dalle ricerche di Debevec. «Nonostante ormai quel film abbia sei anni rimane ancora il più credibile», spiega Debevec : «Per due motivi: anzitutto perché ci fa vedere Brad Pitt novantenne e nessuno di noi ha un termine di raffronto e sa come sarà veramente da vecchio. Inoltre i volti anziani sono più facili da clonare e animare in maniera realistica di quelli giovani, perché la pelle è meno elastica e le rughe di espressione sono meno mobili. Ma è solo una questione di tempo perché il progresso tecnologico ci permetta di avere accesso anche ai segreti dei volti meno segnati dagli anni».
Ed è proprio l’età e le sue conseguenze sull’immagine di una star la chiave per capire quanto le ricerche rivoluzionarie di Debevec stiano cambiando per sempre il volto del cinema: la sua tecnologia è capace di cristallizzare un volto per sempre in tre dimensioni, tanto che molte star a Hollywood vanno a farsi scansionare la faccia per conservarla, con la possibilità di utilizzarla ad esempio dopo vento o trent’anni per interpretare se stesse da giovani. Non è escluso poi che quelle "foto 3D" fatte in giovane età vengano utilizzate anche quando i proprietari saranno morti. I tentativi sono già stati fatti e riguardano anche chi non si è mai sottoposto alla scansione digitale, come nel caso di Audrey Hepburn per una pubblicità o Michael Jackson, "resuscitato" per lanciare il video del suo inedito "Slave to the Rhythm", ma per ora si tratta di apparizioni di pochi minuti. Ormai è possibile ricavare i lineamenti 3D di una star persino dai vecchi film, come accaduto in "Tron: Legacy", tuttavia il processo per ricavarne un volto che regga lo schermo per due ore di film è al momento troppo complicato e quindi costoso. «Ho letto diverse sceneggiature a Hollywood con protagonisti attori e attrici che non ci sono più», spiega Debevec «e si sta aspettando solo il momento in cui sarà economicamente fattibile».
Al di là dei problemi economici ed etici, che investono le società che gestiscono i diritti d’immagine degli scomparsi, ne esistono altri pratici: «La questione», prosegue lo scienziato, «è come trovare qualcuno che reciti proprio come Marlon Brando. Dato che è impossibile, penso che la soluzione sarà mescolare con il computer il volto clonato della star, con la recitazione sul set di qualcuno che gli somiglia, la voce di un imitatore, e le espressioni di un mimo in grado di copiarlo. Certo quello che non saremo mai in grado di prevedere è come un attore defunto avrebbe affrontato il ruolo, e quindi potremo ricreare un’immagine simile alla memoria che ne conserva il pubblico, ma non certo riportarlo in vita».
Chi ha interesse che Debevec progredisca con le sue ricerche non è solo l’industria dell’intrattenimento, compresa quella dei videogame dove gli umani digitali abbondano, ma quella militare: pochi sanno che l’istituto per cui lavora Debevec è stato fondato nel 1999 con fondi del Dipartimento della Difesa americana, perché l’esercito voleva migliori simulatori per l’interazione interpersonale. «Sanno come addestrare i soldati a sparare, ma non sanno ancora come prendere un ragazzo che non è mai uscito dall’Iowa o dall’Illinois e insegnargli a interagire con una persona che vive in Iraq o Afghanistan», spiega Debevec, «dove i gesti, la cultura, la lingua e il ruolo sociale sono completamente diversi. Fino a qualche tempo fa portavano alcuni iracheni in America e li pagavano per recitare una parte, ora usano la nostra tecnologia per creare esseri umani digitali credibili da utilizzare nell’addestramento». I settori interessati, conclude il ricercatore «però sono molti di più, compreso quello della comunicazione». Una volta che Debevec e i suoi colleghi avranno creato umani digitali indistinguibili da quelli in carne ed ossa, c’è da chiedersi se tutto ciò non potrà essere usato anche per scopi malevoli. A tal proposito basta rivedersi "Sesso & Potere", il film in cui Robert De Niro e Dustin Hoffman, manipolavano l’opinione pubblica proprio con l’aiuto degli effetti speciali hollywoodiani. A giudicare dalla verosimiglianza dei cloni digitali creati da Debevec, lo scenario non pare più così fantascientifico.