Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  luglio 18 Venerdì calendario

IL TESORO DEL PAPA

Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarme e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore», ammonisce Gesù nel vangelo secondo Matteo. Da duemila anni, sostengono gli anticlericali, Santa Romana Chiesa ha sempre interpretato la parabola a modo suo: infischiandosene altamente. Se il denaro è lo sterco del diavolo, in Vaticano sembra valere invece il detto "pecunia non olet": lingotti e monete d’oro, banconote di ogni valuta, proprietà immobiliari sterminate sono state ammucchiate nei secoli da preti, vescovi e cardinali, e la ricchezza ha assunto proporzioni bibliche.
Se è quasi impossibile quantificarla con esattezza, "l’Espresso" ha letto una mole significativa di documenti top secret e può oggi fare luce per la prima volta su una parte importante del tesoro di Dio e sulla guerra interna che si sta combattendo per metterci le mani. Spulciando una relazione segreta della Cosea, la dissolta Commissione referente sull’organizzazione della struttura economica del Vaticano, si scopre, per esempio, che «le varie istituzioni vaticane gestiscono i propri asset e quelli di terzi a un valore dichiarato di 9-10 miliardi di euro, di cui 8-9 miliardi in titoli, e uno di immobiliare». Leggendo il bilancio mai pubblicato dell’Apsa (l’ente che amministra il patrimonio della sede apostolica) e alcune note confidenziali firmate dal neo presidente dello Ior Jean Battiste de Franssu, si capisce che parte importante del tesoro è nascosto proprio all’Apsa, che a differenza dello Ior non ha mai reso noti i suoi conti. Dopo che uno dei suoi contabili, monsignor Nunzio Scarano, è stato arrestato per riciclaggio, corruzione e truffa, il Santo Padre ha deciso di mettere il naso anche lì. Infine, "l’Espresso" ha trovato anche spese e ricavi di decine di enti pubblicati nel 2013 (vedi grafico a pag. 31): dalla Segreteria di Stato alle nunziature estere, passando per Radio Vaticana e il Governatorato. Leggendo questi i bilanci è evidente che le spese della curia (case, segretari, viaggi, sicurezza, rappresentanza) sono ancora senza controllo.
TRA CASE E CHIESA
La caccia al tesoro inizia da Place Vendôme, nel centro di Parigi. A pochi metri dall’Hotel Ritz, a rue de Rome, una società francese controllata dall’Apsa possiede alcuni tra i più prestigiosi immobili della zona. La Sopridex Sa ha avuto inquilini famosi (come François Mitterrand) e oggi ha attività iscritte a bilancio che arrivano a 46,8 milioni di euro. Il personale comprende «un direttore, tre dipendenti, addetti alle pulizie», e la bellezza di «16 portieri». Ma l’Apsa controlla anche dieci società svizzere (tra cui la misteriosa Diversa Sa, l’Immobiliere Sur Collonge e l’Immobiliere Florimont) che, insieme alla Profima Sa, gestiscono proprietà e terreni nella confederazione elvetica e in mezza Europa. Tutte insieme valgono 18 milioni. «Va ricordato che storicamente il bilancio dell’Apsa sottostima, per questioni fiscali, i valori dei palazzi di sua proprietà», spiega una qualificata fonte dell’istituto che ha sede nel Palazzo Apostolico. «Inoltre quelle svizzere sono società non consolidate: in pancia potrebbero avere molto più di quanto dichiarato».
Se è noto che la società Profima è stata aperta a Losanna nel 1926 e che fu utilizzata da papa Pio XI per nascondere all’estero parte dei "risarcimenti" che la Chiesa ottenne grazie ai Patti Lateranensi stipulati con il regime fascista, la holding Diversa è praticamente sconosciuta. Fondata a Lugano nell’agosto del 1942, mentre si combatteva da Stalingrado ad El Alamein, risulta oggi presieduta da Gilles Crettol. Un avvocato svizzero che gestisce gli interessi del papa Oltralpe: il suo nome spunta quasi in tutte le altre società elvetiche. Fino a qualche tempo fa il referente italiano era invece Paolo Mennini, ex numero uno della sezione "straordinaria" dell’Apsa (quella che comprende investimenti e titoli, la sezione "ordinaria" si occupa degli immobili). In seguito allo scandalo Scarano e a una due diligence sui conti operata dalla McKinsey, gli uomini di papa Francesco hanno deciso di farlo fuori: da qualche settimana al suo posto, nei cda delle società svizzere, è così comparso Franco Dalla Sega, presidente della bazoliana Mittel e manager di fiducia del nuovo boss delle finanze vaticane, il cardinale George Pell.
L’ORO DI DIO
Ma il Vaticano possiede società immobiliari anche in Inghilterra (la British Grolux Investments Ltd, fondata nel 1933, gestisce oggi a Londra attività per la bellezza di 38,8 milioni di euro inclusi negozi di lusso in New Bond Street) e, ovviamente, in Italia: oltre allo sterminato forziere di Propaganda Fide (ribattezzata Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, ha un patrimonio stimato, al netto della crisi immobiliare, di circa 7 miliardi), l’Apsa controlla pure le società Sirea e Leonina, che a bilancio valgono oltre 16 milioni. Tra affitti a privati e locazioni commerciali tutte le sigle che fanno capo all’Apsa hanno ricavato nel 2011 circa 23,5 milioni di euro.
Il bilancio finale dell’Apsa è impressionante. Case e appartamenti sparsi in Europa nel 2013 hanno toccato il valore complessivo di 342 milioni, ma quello del portafoglio investimenti in euro ha superato la bellezza di 475 milioni, a cui bisogna aggiungere titoli per 137 milioni di dollari, 33 milioni di sterline e 17 milioni di franchi svizzeri. Un tesoro che vale complessivamente più di un miliardo, e che oggi gestiscono in tre: Dalla Sega, nominato super consulente lo scorso aprile; monsignor Domenico Calcagno, il presidente dell’Apsa assai malvisto da Pell, e il segretario monsignor Luigi Mistò.
«Se gli immobili dell’Apsa valgono più di quanto riportato in bilancio, anche sull’oro ci sono molte cose che non tornano». Già: leggendo i dati riservati del 2013 si scopre che l’Apsa detiene metalli preziosi per «30,8 milioni di euro una voce che corrisponde a 32.232 once in lingotti e a 3.122 once d’oro monetato... Il valore è diminuito di 12,4 milioni di euro rispetto all’esercizio precedente». Qualcuno, però, sospetta che parte importante delle riserve auree del Vaticano (alcune stime interne della segreteria di Stato da prendere con le molle parlano di un controvalore di 140 miliardi di euro, il doppio di quanto conservato dalla Banca d’Italia) sia conservata nei forzieri svizzeri e in Inghilterra. «La stima mi sembra eccessiva», chiosa ancore il dirigente Apsa: «Anche perché parte cospicua del nostro metallo giallo è stato venduto tra gli anni Novanta e l’inzio del nuovo secolo dal cardinale venezuelano Rosalio Castillo Lara, ex presidente dell’amministrazione».
RANGER SENZA SCRUPOLI
Oltre all’oro dell’Apsa il Vaticano controlla anche il patrimonio dello Ior, valutato 6 miliardi tondi tondi. Non stupisce che sul gruzzolo, dopo l’arrivo del nuovo pontefice, si sia scatenata una battaglia (l’ennesima) per la gestione. Francesco ha innanzitutto spazzato via gli uomini di Tarcisio Bertone che dal 2007 guidavano lo Ior e, attraverso Calcagno, la cassaforte dell’Apsa. Troppi gli scandali della decadente "lobby italiana": a parte le scorribande di Scarano e le vicende di Bertone (i casi Carige e Lux Vide promettono sviluppi), le inchieste per riciclaggio hanno fatto saltare il direttore dello Ior Paolo Cipriani, il suo vice Massimo Tulli e il tesoriere della banca, mentre presto la prefettura degli Affari economici guidata da Giuseppe Versaldi, amico intimo di Bertone, potrebbe essere soppressa.
Per ricostruire un sistema più trasparente, poi, Bergoglio ha chiamato dall’Australia il cardinale George Pell e lo ha nominato capo di un nuovo dicastero, la Segreteria dell’Economia. Una sorta di super-ministero che controllerà, di fatto, tutti gli enti finanziari dentro le mura leonine. «Pell? È noto al papa per le sue doti di economo (ha gestito con buoni risultati una grande diocesi come quella di Sidney, ndr) e, soprattutto, di comando», ragionano da Santa Marta. Arrivato sotto il cupolone, in effetti, l’ex campione di football australiano ha mostrato subito di che pasta è fatto. Qualche giorno fa ha silurato il presidente dello Ior Ernst von Freyberg (il cerchio magico del papa non lo considerava abbastanza affidabile), e ha rottamato le vecchie strutture di governance. Pell non si fida di nessuno, e ha così accentrato nei suoi uffici tutti i poteri esecutivi: se la segreteria di Stato è stata pesantemente ridimensionata (il successore di Bertone, Pietro Parolin, si occuperà prevalentemente di diplomazia), lo Ior e l’Apsa sono stati commissariati. Le loro funzioni saranno profondamente riformate, e la loro autonomia limitata.
L’australiano ha l’appoggio silenzioso del papa, e finora nessuno ha osato sfidarlo apertamente. Ma sono in tanti a considerarlo troppo ambizioso: se Parolin ha sotterrato l’ascia di guerra solo perché Francesco lo ha ammesso nel C9, il gruppo ristretto di cardinali che devono aiutarlo nella guida della Chiesa, il presidente del Governatorato Giuseppe Bertello sta tentando in tutti i modi di bloccarne l’ascesa. Gli screditati e famelici porporati italiani ipotizzano cordate per salvare il salvabile, ma possono far poco. Tra i nuovi potenti solo Oscar Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa e coordinatore del C9 e il cardinale Santos Abril y Castelló, appena nominato presidente della commissione cardinalizia dello Ior, hanno provato a limitare il raggio d’azione di Pell. Per ora senza successo.
Anche in Australia sono in molti, soprattutto tra i progressisti, a non vedere di buon occhio la scalata del loro concittadino. Famoso per le sue posizioni ultra conservatrici e le sue sparate pubbliche sull’Islam («È una religione guerresca per natura, il Corano è costellato di invocazioni alla violenza», ha detto) è stato scagionato nel 2002 dall’accusa di aver abusato di un ragazzino di 12 anni durante un campo estivo per chierichetti, mentre nel 2008 un’altra presunta vittima di abusi ha incolpato Pell di aver coperto un sacerdote. Lo scorso marzo il cardinale, infine, è stato chiamato a testimoniare di fronte alla Commissione nazionale d’inchiesta sugli abusi contro i minori istituita dal governo di Camberra, in merito a una causa che un altro ex chierichetto, John Ellis, aveva fatto alla Chiesa e allo stesso Pell in seguito a violenze sessuali avvenute tra il 1974 e il 1979. Nel 2007 i legali del prelato avevano ammesso gli abusi sul ragazzino, ma avevano convinto la Corte d’appello che «la Chiesa non esiste come entità legale». Una decisione che ha permesso alla Santa Sede di risparmiare milioni in risarcimenti. Pell ha chiesto scusa, ma in molti sono restati sconcertati per la sua promozione, e hanno malignato di "un paracadute" offerto da Bergoglio.
ARRIVANO I MALTESI!
Nella giungla vaticana il ranger venuto da Sydney non si muove da solo. Il capo segue i consigli di tre fidati consiglieri: il neo presidente dello Ior, Jean Battiste de Franssu; il tycoon maltese Joseph Zahra (entrambi membri del Consiglio dell’Economia, l’altro neonato ufficio economico guidato da Reinhard Marx); e l’amico Danny Casay, manager che ha gestito con lui la diocesi di Sydney. Sono loro gli esponenti di punta che gli sconfitti, i vecchi cardinali di curia, chiamano la banda dei maltesi. A fine giugno un’inchiesta de "l’Espresso" aveva segnalato il rischio di qualche conflitto di interessi tra i nuovi custodi dei business di San Pietro. L’unico membro italiano chiamato a far parte del Consiglio dell’Economia si chiama Francesco Vermiglio e ha fondato con l’amico Zahra (patron del colosso finanziario Misco Malta) la Misco Advisory Ltd, una joint venture per invogliare i nostri connazionali a investire nell’isola fino a pochi anni fa vero paradiso fiscale. A marzo 2014, inoltre, il figlio di de Franssu, Luis Victor, è stato assunto dalla Promontory, società Usa che da un anno sta spulciando i conti dello Ior. Ma il numero uno dell’Ior pare abbia buoni rapporti anche con alcuni giovani consulenti della Mckinsey che hanno lavorato sui bilanci dell’Apsa. Tra loro c’era pure Filippo Sciorilli Borrelli. Classe 1981, è un figlio d’arte: suo padre Ivo è infatti tra gli azionisti di maggioranza di Banca Arner, l’istituto svizzero che ha tra i suoi (pochi) correntisti Silvio Berlusconi.
«Non c’è nessuna lobby maltese», ha ribattuto Pell, indignato. Sarà. Di certo sono proprio i finanzieri de Franssu e Zahra - titolari di società di investimento - ad aver ideato i nuovi assetti e le nuove strategie per gestire gli affari. Come risulta da un documento riservato del 6 marzo e da loro firmato, la coppia aveva ipotizzato uno schema (pubblicato a pag. 28) che rispecchia in gran parte quello annunciato da Pell in una conferenza stampa qualche giorno fa: potere assoluto della Segreteria dell’Economia, Apsa trasformata in Banca centrale, nascita di un nuovo Vatican Asset Management (Vam) per gestire titoli e obbligazioni.
TANTO PAGA FRANCESCO
Nelle mire di Pell c’è anche un altro patrimonio della Santa Sede: i musei vaticani, tra i più viusitati e redditizi al mondo: nel 2011 l’utile netto è stato di 58,7 milioni, e gli incassi (tra biglietti e merchandising) superiori a 91 milioni. Analizzando i bilanci degli altri enti, però, il buon risultato dei musei sembra una mosca bianca. A causa delle spese della Curia romana (costata l’anno scorso 77,9 milioni!) l’Apsa ha chiuso il suo bilancio in perdita di 48,4 milioni. Solo il contributo della Segreteria di Stato, ha permesso alla fine un piccolo utile fittizio. Se l’Obolo di San Pietro grazie alla beneficenza dei fedeli nel 2013 ha portato nelle casse 78 milioni, la mitica Radio Vaticana ha perso, secondo un report interno pubblicato nel 2013 e riferito al 2011, ben 26,6 milioni. Anche la tipografia che stampa "L’Osservatore romano" ha chiuso i conti a meno 5,5 milioni. Un salasso, a cui aggiungere il deficit delle 170 nunziature all’estero (meno 25,1 milioni) e i 5,8 milioni che servono a pagare le 110 guardie svizzere. Chissà, infine, se la spending review minacciata da Pell peserà anche sulle messe di papa Francesco: nel 2011 l’Ufficio celebrazioni liturgiche ha speso per Ratzinger 1,1 milioni. Viste le dimensioni del tesoro di Dio, si tratta poco più di una mancia.