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 2014  luglio 18 Venerdì calendario

SUA MAESTA’ IL CAPO DEL GOVERNO

Si fa, ma non si dice. Un inno all’ipocrisia? No: è l’inno (silenzioso) della riforma costituzionale benedetta dal governo Renzi. Perché non è vero che la riforma supera il bicameralismo paritario, disegna un nuovo Senato, corregge il Titolo V sulle competenze regionali, si sbarazza del Cnel e di vari altri ammennicoli. O meglio: è vero, ma non è tutta la verità. Nel suo complesso, nonché attraverso il combinato disposto fra i ritocchi alla Costituzione e i rintocchi dell’Italicum, questo progetto determina altresì un effetto occulto sulla forma di governo, ne cambia i connotati per vie oblique e indirette, ma non perciò meno incisive. Dopo di che l’effetto può piacere o non piacere, a seconda dei palati. Basta saperlo, basta conoscere il menu che ci stanno propinando; ma gli italiani, per lo più, non lo conoscono.
STA DI FATTO che in ogni Costituzione tout se tient. Se sposti una pedina, quel movimento si comunica, per vibrazioni successive, alle altre pedine, in un gioco di scambi e di reciproche influenze. Così, la tutela dei diritti dipende dalla separazione dei poteri, come scoprirono i rivoluzionari francesi del 1789; la legalità può entrare in crisi per l’onnipotenza delle Regioni, come abbiamo scoperto qui in Italia dal 2001 in avanti, dopo la revisione del Titolo V; il capo dello Stato dimagrisce quando mette pancia il presidente del Consiglio, ed è precisamente questo che sta per accadere. Ma come, non ci hanno raccontato che ogni intervento sulla forma di governo è prematuro, che se ne discuterà semmai dopo la riforma del bicameralismo? E non è forse vero che il testo all’esame di palazzo Madama non detta una parola sui poteri del Premier, nemmeno per concedergli la modesta facoltà di sostituire i suoi ministri?
Vero, ma al contempo falso. In quel testo gli unici due riferimenti alle attribuzioni del governo riguardano i decreti legge e i disegni di legge prioritari. Rispetto ai primi la riforma pianta dei paletti per arginarne l’abuso, ma in realtà quei limiti li aveva già codificati la Consulta. Viceversa i secondi esprimono una novità assoluta, e non di poco conto: 60 giorni per le iniziative legislative sposate dal Consiglio dei ministri, prendere o lasciare. Dunque governo più forte, Parlamento più debole. Ma il rafforzamento dell’esecutivo deriva soprattutto dall’eliminazione della doppia fiducia: senza la fossa dei leoni del Senato - che ha già divorato Prodi e Berlusconi, e che adesso ruggisce contro Renzi - ogni governo diventerà più stabile, e quindi più autorevole. Tanto più se potrà contare sul premio di maggioranza donato dall’Italicum, e su una maggioranza di fedeli maggiordomi, scelti attraverso le liste bloccate.
CHI CI RIMETTE? Il capo dello Stato. Chiunque sia in futuro, si scordi i governi del presidente, quali abbiamo via via sperimentato da Dini a Monti a Letta. Addio al ruolo di regnante: con questa nuova legge elettorale, Sua Maestà Repubblicana sarà soltanto il presidente del Consiglio. D’altronde quest’ultimo rappresenterà tutti gli italiani; il primo, unicamente il suo partito. Cui basterà ottenere il 37 per cento alle elezioni, nonché un terzo dei senatori-consiglieri regionali, per accaparrarsi pure il Quirinale. Un altro effetto occulto della riforma, che il subemendamento Gotor non neutralizza: si limita ad allungare il brodo, spostando il quorum sufficiente dalla quarta alla nona votazione. Sicché in ultimo ci rimettono le stesse garanzie costituzionali, oltre ai garanti. Dopotutto, anche il bicameralismo offriva una garanzia, nel bene e nel male; senza il Senato, le leggi ad personam brevettate dai governi Berlusconi sarebbero state il doppio.
Morale della favola: metteteci una pezza. Per esempio innalzando l’asticella del premio di maggioranza, rafforzando la Consulta, introducendo nuove garanzie. Però, allo stesso tempo, togliete la pezza che ci impedisce di vedere il gioco. Che è un gioco d’illusioni e di doppioni, oggi come ieri. In passato era la Costituzione materiale contro quella scritta; ora è la Costituzione scritta contro la Costituzione riscritta.