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 2014  luglio 18 Venerdì calendario

RENATO VERNIZZI, PITTORE DI FAMIGLIA

Un poeta prestato alla pittura. La famiglia è il leit-motiv che «domina spiritualmente tutta la vita» di Renato Vernizzi (Parma, 1904- Milano, 1972). Parola di Dino Buzzati. Che, sul «Corriere della Sera» (marzo 1970), riferendosi ad una personale milanese di 120 quadri dell’artista parmense, precisa: «È il bellissimo racconto di una piccola saga familiare». Simili, negli anni, i pareri di Carlo Carrà, Orio Vergani, Leonardo Borgese, Attilio Bertolucci, Raffaele De Grada, Giovanni Testori ed altri.
Sì, perché Vernizzi, come direbbe Carlo Bo, è rimasto fedele alle ragioni iniziali della sua vocazione. Lontano dagli sperimentalismi di moda, magari di gente che non aveva la minima idea di come — sul piano tecnico — si tenesse in mano un pennello, l’artista non solo ha fatto le Belle Arti, ma sin dalla tenera età ha respirato, nella bottega di famiglia, profumi e acidi della pratica manuale, essendo nipote e figlio di artigiani affrescatori e decoratori di insegne e di vetrine.
Perché oggi si torna a parlare di lui? A parte la ricorrenza — casuale — dei 110 anni, l’occasione è data dall’apertura del Museo Vernizzi a Palazzo Sanvitale di Parma (www.fondazionemonteparma.it). E della pubblicazione, in tre tomi (Edizioni Monte Università Parma, pp. 1210, € 380), di tutta la sua produzione: 2.287 fra dipinti e disegni (moltissimi, gli inediti), oltre a circa trecento illustrazioni di riviste («Historia» e «la Lettura» diretta dai vari Emilio Radius, Renato Simoni e Filippo Sacchi; quest’ultimo, autore, nel 1951, della prima monografia sul pittore parmense e suo amico «per via di un verde»), sessantuno caricature, otto bozzetti pubblicitari, e così via. A cura di Elena Pontiggia e Luca Vernizzi.
Oltre che artista, un operaio del colore, Renato. Metodico, appassionato, sapeva coniugare fantasia e tecnica, bottega e accademia. Il risultato? Dipinti «onesti», ma anche veri e propri capolavori. Ritratti (dove Vernizzi spesso eccelle in maniera straordinaria), paesaggi, interni (Interno con letto disfatto , 1960), nature morte: «La natura — osserva la Pontiggia — diventa teatro di piccoli eventi». L’avventura pittorica di Renato Vernizzi comincia un po’ con un’impostazione ottocentesca, neoimpressionista. Quindi, si concede al Novecento, a Carrà, a Sironi, ad affiancare i chiaristi come Umberto Lilloni, Cristoforo De Amicis, Angelo Del Bon (per il quale posa come protagonista de Lo schermidore ) e a frequentare i vari Adriano Spilimbergo, Attilio Rossi e qualche altro.
Vernizzi ha 23 anni quando decide di lasciare Parma per Milano; e ne ha 32 quando espone per la prima volta alla Biennale. La proposta per Venezia porta la firma di Marino Marini, Gino Severini e Arturo Tosi.
Il suo primo studio milanese? In corso Vercelli. Quindi in corso Garibaldi 89, nell’ex atelier di Cesare Tallone, accanto alla «Casa dei pittori» che accoglieva Alfredo Beltrame, Luigi Broggini e il fratello di Guido da Verona.
Vernizzi non farà mai parte di un movimento vero e proprio («Non ha mai voluto pattinare sul ghiaccio infido delle correnti artistiche che si sono succedute dopo il 1930», annoterà Raffaele De Grada), anche se non abbandona il dipingere en plein air degli amati francesi («Si è spento l’ultimo degli impressionisti» sarà il titolo dell’articolo, che ne annuncia la sua morte, su un quotidiano milanese).
Il pittore rimane sempre un solitario. E anche questo ha un prezzo. Nonostante lavori moltissimo e faccia diverse mostre, viene ignorato dalla cosiddetta «critica ufficiale».
Quando si trasferisce nella villetta (dal basso muro di cinta) di viale Marche, si occupa esclusivamente del suo mondo domestico. Flora compresa (Figura al tavolo del giardino , 1962; Carabinieri e ligustri in fiore , 1965). Per raccontare quello che — sempre per Buzzati — è «il romanzo-favola del posto lungamente amato e sofferto, del suo mondo personale, il quale non spazia mai per i continenti, anzi è piccolissimo, una villetta con giardino, figurarsi, alla periferia di Milano».
Se Renato Vernizzi viene definito «pittore della famiglia», ciò non vuol dire che egli abbia sempre e solo rappresentato i propri cari, ma che ad essi ha dedicato buona parte del suo talento e del suo tempo. I figli, Luca e Isabella, crescono pagina dopo pagina, tela dopo tela. Un po’ come faceva Armando Spadini. Talvolta (come nella serie Luca col tubino ) pare di assistere alla sfilata di personaggi di Charles Dickens. Vernizzi evoca, scandaglia, narra. E lo fa con una grazia sorprendente. Soprattutto nei ritratti.
Fra quelli più interessanti, la serie di disegni e olî (1953) dedicati ad Arturo Toscanini («Son contento di vedere un pittore che fa delle mani che vanno d’accordo con le facce», diceva Carlo Carrà). O anche quello fatto ad un barbone, il quale, come si leggeva su «La Fiera letteraria», «s’è adattato di malavoglia a posare») o, ancora, gli autoritratti (Autoritratto allo specchio e Isabella , 1954).
Pittura, mestiere, temperamento, stile. Parte da qui l’avventura di un artista-poeta, che nella luce dell’alba cercava la propria.