Andrea Riccardi, Corriere della Sera 18/7/2014, 18 luglio 2014
CASAROLI, IL DIPLOMATICO DELLA GUERRA FREDDA
Papa Francesco sta cambiando la Curia. Lo farà anche con la diplomazia vaticana? La Chiesa cattolica, unica tra le religioni, ha un’imponente rete diplomatica. Per alcuni, si tratta di un residuo temporalista. Papa Francesco, in modo originale, vuole però essere presente nel campo della pace. Ma, nei decenni passati, la diplomazia vaticana ha sofferto d’uno spaesamento nel mondo globalizzato. Per proiettarsi su nuovi scenari, occorre capire una storia che viene da lontano. Per questo è di grande rilievo il nuovo libro di Roberto Morozzo della Rocca, Tra Est e Ovest, Agostino Casaroli, diplomatico vaticano , Edizioni San Paolo (pp.384, e 30). Si tratta del più grande diplomatico vaticano del Novecento accanto al cardinale Gasparri, Segretario di Stato tra il 1914 e il 1930. Casaroli ha traghettato il Vaticano, bloccato nella morsa della Guerra fredda, verso un nuovo protagonismo internazionale.
È nato cent’anni fa: nel 1914, l’anno dello scoppio della Grande guerra. Ha lavorato in Segreteria di Stato mezzo secolo, dal 1940 al 1990. Dalle stanze vaticane ha seguito le vicende della Seconda guerra mondiale e della Guerra fredda: da oscuro archivista fino a Segretario di Stato e accreditato personaggio internazionale. Morozzo, con acutezza e nuovi documenti, ne ricostruisce la storia all’ombra dell’istituzione dove, specie in quegli anni, il protagonismo era solo del Papa e non dei collaboratori. Da Segretario di Stato, Casaroli teorizzò la sua funzione come la meridiana — diceva — illuminata dal sole (il Papa). Eppure il suo nome è legato alla grande iniziativa diplomatica verso i regimi comunisti, a partire da Giovanni XXIII. Non più la crociata contro il comunismo di Pio XI e di Pio XII, ma un radicale cambiamento, per cui la Santa Sede negoziò con i governi dell’Est per la sopravvivenza del cattolicesimo. Più che modus vivendi — notò un importante prelato —, un’ars non moriendi . Dietro Casaroli c’era Paolo VI, che non vedeva il comunismo come fenomeno transitorio e voleva salvare il possibile del cattolicesimo dell’Est. Morozzo pubblica un giudizio inedito di Paolo VI: «È un lavoro difficile e delicato, ma può essere assai utile per la Chiesa...». Insomma Casaroli «era la quintessenza del montinismo».
Tante sono le critiche a questa politica tra gli occidentali timorosi della fine dell’opposizione al comunismo e tra i cattolici dell’Est. Il grande primate polacco, cardinale Wyszynski, lamentava che il Vaticano lo scavalcasse trattando con Varsavia. Dichiarò in pieno sinodo dei vescovi: «vir casaroliensis non sum». Anche il primate ungherese Mindszenty, un «eroe» condannato in un terribile processo e recluso nell’ambasciata americana di Budapest dal 1956 al 1971, definiva i negoziati come «trattative che hanno portato solo vantaggi per i comunisti e gravi svantaggi per il cattolicesimo ungherese».
Casaroli venne accusato di filocomunismo, di cinismo, di tradimento dei perseguitati. Critico fu l’episcopato polacco. Eppure, nel 1979, il Papa polacco lo nominò suo Segretario di Stato.
Wojtyla sentiva la necessità d’un collaboratore esperto nei rapporti internazionali: il suo appello ai popoli dell’Est si affiancava alla diplomazia casaroliana, divenendo l’elemento centrale e vincente. Morozzo capovolge l’interpretazione di George Weigel nella sua biografia (a caldo) di Giovanni Paolo II, in cui enfatizza la frattura tra il Papa e Casaroli, in base a testimonianze. Casaroli non piaceva troppo agli ambienti polacchi, tanto che fu fischiato quando nel 1990 Giovanni Paolo II gli fece concedere la laurea honoris causa a Cracovia. La ricostruzione della collaborazione con Giovanni Paolo II è avvincente: dalle delicate questioni dello IOR (su cui si registrava diversità di giudizio tra il Papa e Casaroli, severo su Marcinkus), alle spie in Vaticano, all’America Latina e tant’altro. Le differenze mettono in luce l’intelligenza del Papa e la lealtà di Casaroli, che avevano lo stesso obiettivo: la libertà dei popoli, specie nell’Est. La partecipazione alla conferenza di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa fu — scrive Andreotti — «il capolavoro della politica di Casaroli», ma pure la conferma della visione della grande Europa, nutrita dal cardinale Wojtyla. Il Segretario di Stato Villot e il Sostituto Benelli non volevano che il Vaticano fosse presente alla conferenza, ma Paolo VI e Casaroli s’imposero.
Morozzo ripercorre la vita del cardinale, che si confonde con le vicende della Chiesa. Anche alla fine, Casaroli mostra abilità di negoziatore con il nuovo corso sovietico di Gorbacev, di cui coglie la portata innovativa forse prima di Giovanni Paolo II, inizialmente cauto. Con la fine della guerra fredda, termina il suo compito. Il mondo si fa globale e la diplomazia vaticana deve trovare nuove strade. La vicenda di Casaroli è un’avvincente storia novecentesca, quella di una diplomazia che non ha difeso solo gli «interessi cattolici», ma ha lottato per la liberazione dei popoli. Senza clamore, ma con decenni di tenacia al servizio di un grande disegno.