Marisa Fumagalli, Corriere della Sera 18/7/2014, 18 luglio 2014
DACIA MARAINI: «LE CONVENZIONI SONO CRUDELI»
Dacia Maraini e l a fretta. Va contromano, lei, nell’epoca in cui tutto sembra dover essere fatto e consumato all’ istante. «La mia passione è la scrittura, spero di continuare a scrivere finché morirò. Sono innamorata delle parole e delle storie — spiega — Vorrei però scrivere con il mio tempo, senza soccombere alla fretta del mercato che è tirannico e distruttivo. Il mondo della letteratura tende a farsi sempre più rapido e ossessivo. Se non scrivi un libro all’anno sei fuori». Quasi un j’accuse alla macchina dell’editoria «che gira sempre più rapida e tende a stritolare gli autori». «D’altronde, un romanzo in libreria dura sempre di meno, anche se io ho avuto la fortuna di scrivere romanzi, che sono diventati dei long-sellers», osserva, mitigando la critica. Avevamo incontrato Dacia in Umbria per la presentazione del suo libro «Chiara d’Assisi, Elogio della Disobbedienza» (Rizzoli), racconto avvincente e rigoroso sulla vita della santa, e là è maturata l’idea di questa conversazione. Narratrice di successo, intellettuale, donna emancipata e liberata, dagli amori dispari e movimentati. Eppure c’è altro da scoprire. Da mettere altro da scoprire. Da mettere a fuoco. Si decide per i giorni della Milanesiana, l’appuntamento nella hall dell’albergo.
Ed eccola, nei tratti inconfondibili, senza età: gli occhi azzurri, sottolineati dall’ombretto in nuance, i capelli biondi corti, l’impalpabile sciarpa al collo, il discorrere sommesso e lieve. «Mentre la vita si allunga i tempi del pensiero e della creazione si accorciano sempre di più, fi- no a lasciarti senza fiato — sottolinea — Il guaio è che questa tendenza alla frammentazione e al consumo rapido delle cose si trasferisce anche sui sentimenti, le emozioni, i rapporti con gli altri».
La sofferenza La più lontana, certo non sbiadita, porta all’infanzia e al Giappone, dove con tutta la famiglia fu rinchiusa in un campo di concentramento.
Paura, fame, povertà. «Sono una sopravvissuta – dice - Troppi amici con cui ho condiviso gioie e dolori se ne sono andati. Il cuore è diventato un cimitero. A questo proposito, alcuni anni fa ho scritto un libro “La grande festa”». Nelle pagine («ormai è preistoria») ci sono le persone cui Dacia ha voluto bene, i familiari, gli uomini della sua vita. Della relazione intensa con Alberto Moravia, durata vent’anni – lo scrittore lasciò per lei la moglie Elsa Morante, ma non divorziò né si risposò - si è raccontato e scritto molto. Il primo e unico marito di Dacia, l’artista Lucio Pozzi – matrimonio breve, un bimbo in grembo, perso – appartiene al passato lontano. L’ultimo compagno, Giuseppe Moretti, artista, attore e musicista, di 25 anni minore, è morto prematuramente nel 2007. Uomini diversi, ma simili nell’essere variamente geniali.
Dacia, si sarebbe mai innamorata di un imprenditore? Sorride e risponde: «Non lo so, penso di no. Mi piace condividere le emozioni di fronte a un bel quadro, una bella musica, un bel racconto, un bel film. Mi piace che, viaggiando, siamo attratti dalle stesse cose, che possiamo passare il tempo a leggere vicini, senza parlare, intendendoci con uno sguardo.
Beh.. Dovrebbe essere un imprenditore molto speciale».
Amori e viaggi Per Maraini s’intrecciano. «Un tempo... — corregge — È importante con chi si viaggia e ormai viaggio da sola. Certe volte è tristissimo.
Anche se incontro sempre persone che mi incuriosiscono e mi trasmettono emozioni nuove.
Per fortuna non viaggio da turista. Sembra che i turisti vogliano trovare tutto uguale dappertutto, salvo qualche sorpresa museale. Mentre per me viaggiare significa anche affrontare dei rischi, e non parlo di rischi fisici, ma mentali: c’è sempre il rischio di mettere in discussione la tua identità, se viaggi incontrando veramente l’altro e non solo la sua rappresentazione prefabbricata». Dacia ci regala le emozioni, i sentimenti e la pena dell’ultimo viaggio fatto assieme al giovane compagno: «Con Giuseppe abbiamo viaggiato molto, come ho sempre fatto con gli uomini amati. Siamo stati in Brasile, in Sud Africa, in Kenya, in Argentina, in Uruguay, in Messico, negli Stati Uniti tante volte. Anzi, è proprio lì che è cominciata la sua malattia, o per lo meno è a New York che la malattia si è fatta sentire con una febbre altissima che non andava via. Ricordo che gli portavo il brodo comprato nei negozietti indiani che stanno aperti tutta la notte perché lui aveva molta sete e non voleva mangiare e non riusciva a dormire». «Ricordo — continua — la sensazione di stare in un Paese poco amico. Il dentista a cui ci siamo rivolti perché a lui si erano gonfiate le gengive, gli ha fatto una operazione poi risultata pericolosissima e ci ha chiesto 2.000 dollari in nero. Queste cose non succedono solo da noi. Da quel momento è cominciato lo strazio della leucemia, che in poco meno di due anni l’ha portato alla morte. Sua madre Caterina, che è una donna deliziosa, si stupisce che io non vada mai a trovarlo al cimitero di Trevi. Io non amo le tombe. Non mi piace andare a trovare un cadavere. Io lo voglio accan- che da lui scritte, guardo le fotografie che lo ri- traggono ancora vivo e gioioso». Quanto conta la differenza di età in un rapporto sentimentale? «Per me non conta niente.
Ci sono persone di età piene di vita e di energia e persone giovani che sembrano centenarie in fatto di curiosità e voglia di scoprire il mondo.
Ma le convenzioni discriminano, eccome, sono profondamente razziste. Le convenzioni sono anche crudeli con le donne: se un uomo di settanta si mette con una di trenta, nessuno ci trova niente di strano. Mentre se una donna della stessa età si innamora di un giovane, lei diventa una strega e lui un gigolò». «Per questo — confida — una donna con un minimo di saggezza chiude con l’amore e con il sesso. Per fortuna ci sono le amicizie. L’amicizia, a volte amorosa, ma discreta, pudica, casta, fatta di intese e scambi affettuosi, diventa la vera compagnia di una vita in declino...».
Il cibo Dice di essere frugale, ma le piace cucinare. «È vero, amo toccare i cibi, prepararli, cuocerli, condirli. Forse perché negli anni del campo ho talmente sofferto la fame che sognavo i cibi. A volte avevo delle allucinazioni, vedevo in una pietra una pietanza, come succede a Charlot che mette a bollire la scarpa e si lecca le stringhe. Non cucino la carne, però. Amo troppo gli animali. Cucino verdure in tutti i modi, e primi piatti. Una mia specialità? Gli spaghetti col limone».