Monica Guerzoni, Corriere della Sera 18/7/2014, 18 luglio 2014
VIAGGIO NEI 7 MILA EMENDAMENTI, TRA GESTI CREATIVI E TRAPPOLE
La senatrice romana Loredana De Petris, una vita a sinistra, ha vergato di suo pugno centinaia dei 5.931 emendamenti depositati da Sel, ma uno ha dimenticato di scriverlo: «Quello sul mio gatto Romoletto, che nel mio quartiere è più conosciuto dai cittadini di quanto non lo sarà uno qualunque dei senatori nominati con la riforma». Benvenuti nell’ingorgo cartaceo delle quasi 8 mila proposte di modifica presentate sul testo «Boschi-Verdini-Renzi», come lo chiamano tra loro i detrattori della rivoluzione costituzionale. Un’attacco a colpi di codicilli, articolo dopo articolo. Che, salvo clamorose sorprese, servirà solo a rallentare i tempi e a limare qualche passaggio.
Le mediazioni
Il governo è disposto a mediare, ma non sui cardini della riforma: gli addetti ai lavori prevedono che dirà sì alla riduzione delle firme per il referendum abrogativo, all’introduzione del referendum propositivo e all’allargamento della platea che elegge il capo dello Stato, includendo i deputati Ue. Poi qualche piccola concessione sul piano delle competenze tra territori ed Unione Europea e stop. Il resto rimarrà carta straccia, con buona pace dei senatori che avranno provato a picconare la riforma alle fondamenta. Sul presidenzialismo Maurizio Gasparri (FI) ha raccolto consensi qua e là e non dispera nel miracolo: «Non è tigna, è democrazia partecipativa».
Dalla Lega ai dissidenti pd
La partita degli emendamenti ha tanti registi. Il gioco è a geometrie variabili, l’esito imprevedibile. I leghisti hanno cambiato atteggiamento in corsa e da dialoganti sono diventati veementi: «Così com’è, la riforma non passerà mai». Sull’immunità può saldarsi un ampio fronte trasversale e così sull’elettività dei senatori e sul bilancio dello Stato. «Bisogna togliere l’obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione nella logica del Fiscal compact» è la tesi di Massimo Mucchetti, dissidente pd molto critico nei confronti della riforma: «Il premier ha detto “o si fa come dico io o butto per aria il tavolo”, ma le migliaia di emendamenti dimostrano che nessuno ha paura di andare alle elezioni». Come i 5 Stelle, che hanno contenuto il loro dissenso in 220 emendamenti, così i «ribelli» del Pd hanno fatto una considerevole sforzo di contenimento presentando appena 60 «ritocchini». Pochi ma buoni, sperano Chiti, Mucchetti, Tocci, Mineo e compagni, che hanno disseminato di mine l’Aula. La più esplosiva è quella per far saltare il banco, restituendo agli italiani la facoltà di eleggere i loro senatori. «Siamo eretici e ribelli — ripete Chiti — se sosteniamo che i cittadini sono sovrani? Il loro voto è buono quando andiamo a chiederlo in campagna elettorale e fa schifo quando si devono scegliere i senatori?». Stanchi e arrabbiati, i dissidenti ironizzano sulle notti insonni passate a scrivere, leggere e firmare, con encomiabile trasversalità, i 7.830 emendamenti che nottetempo sono lievitati di una ventina, toccando la vetta dei 7.850.
Forza Italia e Gal
La voglia di ostruzionismo è tale da aver ispirato i senatori a superare se stessi. Augusto Minzolini, per dire di uno dei più creativi: pur di demolire l’opera del governo ha rinunciato a diverse ore di palestra e, non pago di aver firmato un migliaio di emendamenti assieme agli azzurri dissidenti e agli amici del Gal, ne ha buttati giù (da solo) 34. Quello nel quale crede di più punta a scardinare l’impianto della riforma, chiedendo un sacrificio anche ai deputati. Per lui 400 onorevoli possono bastare, ma per far lievitare la torta Minzolini ha declinato l’idea in tutte le sue possibili varianti: ridurre i deputati da 630 a 450, ma anche a 500, a 550 e, perché no, a 600. «La partita è aperta» spera lui e cita Calamandrei: «Il padre costituente voleva gli esponenti del governo fuori dalla porta, se Renzi dopo aver dettato i tempi decide anche di contingentarli sarà battaglia».
Le trappole nascoste
Le armi sono nascoste tra le righe. Come dice Mucchetti «alcune finezze verranno fuori quando sarà il momento». E finezze, in questo caso, sta per trappole. Il leghista Volpi, segretario d’aula di turno, con i colleghi ne ha presentati cento, tondi tondi: «Che aria tira al Senato? Se mi passa la battuta le suggerisco un hashtag, #Renzistaisereno... Temo che il premier abbia sottovalutato il rapporto con il Parlamento e anche con la sua maggioranza». Gli emendamenti dei relatori, Finocchiaro e Calderoli, verranno fuori solo nelle prossime ore, quando i tecnici di Palazzo Madama avranno ultimato il lavoro di scrematura e accorpamento delle proposte. Toccherà a loro mediare e disinnescare gli ordigni prima di cominciare la lotteria dell’Aula. «Questa riforma è un mostro», la spara grossa Domenico Scilipoti detto Mimmo, preoccupato che il suo partito, Forza Italia, ci vada pesante con le forbici. «Da solo ho scritto 60 emendamenti — si vanta il senatore — Voglio dare la possibilità a Renzi di non sbagliare. Cinquantamila firme per una proposta di iniziativa popolare bastano e avanzano».
Le proposte
C’è chi chiede la possibilità di fare il referendum popolare anche sui trattati europei e chi si batte per i temi etici. Il M5S vuole la sanità «statalizzata» e il Senato elettivo di secondo livello. Sel, con la De Petris che ha fatto l’alba per settimane, progetta un Parlamento con 450 deputati e 150 senatori e «basta con la devolution su scuola e ambiente». Gaetano Quagliariello ha depositato un emendamento a titolo personale sul bilancio e in tutto i senatori del Ncd ne hanno consegnati quattordici, grazie anche al prezioso aiuto del «tecnico» Peppino Calderisi: mettere ordine nel «guazzabuglio» delle aziende partecipate per far largo ai privati, sforzo di dissipare la «zona grigia» nella ripartizione delle competenze fra Stato e Regioni, commissariamento degli enti in «grave dissesto finanziario», no al ruolo di interdizione sulle leggi di bilancio... E poi referendum confermativo anche se la riforma non dovesse raggiungere i due terzi e niente listini bloccati quando i consigli regionali eleggeranno i senatori. Nella montagna di emendamenti, una manina del Pd avrebbe infilato la riduzione a quarant’anni dell’età minima per diventare presidente della Repubblica. L’emendamento è poi sparito, ma a Palazzo Madama qualcuno ancora si chiede: «Era per Enrico Letta, o per Matteo Renzi?».