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 2014  luglio 18 Venerdì calendario

PEZZI DEL CORRIERE DELLA SERA SUL DISASTRO AEREO IN UCRAINA


FABRIZIO DRAGOSEI (CRONACA)
MOSCA — Rottami incendiati sparsi dappertutto, in mezzo a corpi semi-carbonizzati, valigie sventrate, opuscoli turistici della Malaysia. I giornalisti giunti nei pressi del villaggio di Grabovo non lontano dal confine tra Ucraina e Russia hanno potuto vedere quello che resta del Boeing 777 della Malaysia Airlines precipitato da diecimila metri con 298 persone a bordo (tutte morte). E non per un guasto tecnico ma, quasi certamente, perché colpito da un missile lanciato durante i violenti scontri tra truppe regolari e indipendentisti. Le parti si scambiano accuse e visto che la zona del disastro è controllata dalle forze filorusse, sarà difficile arrivare ad una verità riconosciuta da tutte le parti in causa, anche perché la scatola nera sarebbe stata mandata a Mosca per un’analisi «oggettiva».
Sul volo partito da Amsterdam e diretto a Kuala Lumpur si trovavano 154 olandesi, 27 australiani, 23 malesi, una ventina di americani, nove britannici. Secondo i soccorritori, tra i corpi ritrovati ci sarebbero decine di bambini. Un contadino ha detto di aver sentito un forte boato e di aver visto l’aereo schiantarsi al suolo e spezzarsi in due.
I siti Internet ucraini puntano il dito con certezza contro i ribelli e citano un passaggio della pagina Facebook di uno dei loro comandanti, il «ministro della Difesa» Igor Strelkov. Diciassette minuti dopo che l’aereo è scomparso dai radar (alle 16.20 ora locale) si è vantato di una brillante operazione dei suoi: «Nella zona di Thorez hanno appena abbattuto un Antonov 26. Li avevamo avvisati di non volare nei nostri cieli». Thorez è a una decina di chilometri da Grabovo. Strelkov ha anche postato un video che mostra una colonna di fumo nero. Immagini assai simili a quelle dell’aereo precipitato diffuse più tardi. Nella giornata di ieri non risulta che sia stato abbattuto alcun aereo ucraino.
A Kiev il presidente Petro Poroshenko ha detto di non avere dubbi: «È stato un atto terroristico». Gli indipendentisti invece sostengono che a colpire è stato un caccia delle forze regolari ucraine.
Da diversi giorni i ribelli hanno dimostrato, da soli o con qualche aiuto esterno, che sono in grado di abbattere gli aerei dell’esercito. Lunedì è stato centrato un Antonov che volava a più di cinquemila metri (secondo fonti del Pentagono citate dalla Cnn è stato colpito dal territorio russo). Poi, mercoledì, è stata la volta di un caccia Su-25. In un primo momento ieri un portavoce dei ribelli aveva detto che le loro forze non dispongono dei missili Buk (fabbricati sia in Russia che in Ucraina) capaci di raggiungere un obiettivo fino a una quota di 25 mila metri. Poi è stato precisato che due di questi missili si trovavano effettivamente a Luhansk, ma lontano dalla zona dell’abbattimento e, comunque, che non erano in grado di funzionare. Ma ieri mattina giornalisti dell’agenzia Associated Press hanno visto missili assai simili ai Buk nella cittadina di Snizhne, a due passi da Grabovo.
La Iata, associazione del trasporto aereo, ha detto che il jet volava in uno spazio aereo che non era stato sottoposto a restrizione. Ma sorprende che con tutto quello che accade da tempo nella regione le compagnie aeree, comprese quelle europee, continuavano a far volare i loro velivoli sopra la zona delle operazioni, con frequenti lanci di missili terra area e bombardamenti aerei. Ieri, dopo l’incidente, tutti i vettori, compresa l’Alitalia, hanno annunciato che eviteranno quella rotta. Secondo un’agenzia di stampa, l’Autorità per l’aviazione civile americana aveva da tempo consigliato ai piloti Usa di evitare l’Ucraina orientale. Misura che a qualsiasi persona ragionevole sarebbe apparsa del tutto naturale.
Diverse fonti ucraine raccontano che in quella zona, a una cinquantina di chilometri dal confine con la Russia, doveva passare oggi un aereo da carico dell’esercito regolare, un Antonov 76, aereo di dimensioni non tanto diverse da quelle del Boeing 777. Si trattava di un velivolo carico di rifornimenti.
Da una fonte della Rosaviatsiya, l’ente russo del trasporto aereo, arriva invece un’altra spiegazione, che indicherebbe come colpevoli gli ucraini di Kiev. Quasi nello stesso tempo era in volo non lontano da quella zona l’aereo di Stato che riportava il presidente Vladimir Putin dal Brasile. L’apparecchio, un Ilyushin 96, reca sulla fusoliera una striscia orizzontale con i colori della bandiera russa, bianco, blu e rosso. Una livrea molto simile a quella dei jet Malaysia che hanno una striscia rossa e blu su fondo bianco e grigio. L’aereo di Putin, ha scritto l’agenzia Interfax, è passato nei pressi di Varsavia alle 15.21 ora ucraina, mentre l’aereo partito da Amsterdam e diretto a Kuala Lumpur ha sorvolato quello stesso punto alle 14.44, cioè 37 minuti prima. Dunque, si fa capire, a Kiev avrebbero voluto colpire il presidente russo.
Gli Stati Uniti hanno offerto il loro aiuto al governo di Kiev. Poco prima le autorità di Mosca avevano chiesto il permesso ucraino di entrare nel Paese per fornire assistenza. Ma a Kiev non piace l’idea di avere russi sul proprio territorio, visto anche che Putin avrebbe nuovamente iniziato ad ammassare truppe al confine.
Fabrizio Dragosei

LA CONTRAEREA BUK
GUIDO OLIMPIO
L’Ucraina è una sorvegliata speciale. Da quando è esplosa la crisi, la Nato ha aumentato la sorveglianza. Due navi per l’intelligence, l’italiana Elettra e la francese Dupuy de Lomè, hanno vegliato a lungo in Mar Nero. Entrambe le unità però sono tornate alle rispettive basi. Poi ci sono i satelliti spia. Infine le intercettazioni della Nsa. In questa rete è rimasto forse qualcosa che potrà aiutare le indagini sul volo MH17. Un primo commento venuto dai servizi del Pentagono afferma: è stato un missile terra-aria ma non possiamo dire con certezza chi lo abbia lanciato. Dunque, con la cautela dovuta alla situazione, proviamo a indicare gli scenari.
Il missile
Il Boeing 777 potrebbe essere stato abbattuto da un missile terra-aria di fabbricazione russa «Buk». Parliamo di un’arma che può raggiungere un bersaglio a 14 mila metri. Il sistema è in dotazione all’esercito ucraino ma due settimane fa i ribelli avevano annunciato di averne catturato uno. E sui social network sono circolate foto che lo mostrerebbero nascosto vicino a un supermercato pronto all’azione. Impossibile trovare conferme. Così come va registrata la notizia riportata giorni fa da alcuni media russi: «I cieli dell’Ucraina dell’Est sono protetti dal Buk», titolavano con soddisfazione. Il sistema comprende un’unità con i missili, il radar di ricerca e la stazione comando, ma non ci sono prove che i ribelli pro Mosca abbiano catturato l’intero apparato. Inoltre per usarli serve personale addestrato: «volontari» russi hanno colmato il vuoto nel campo amico? Gli insorti insistono: siamo in possesso solo di missili portatili (Manpad) che hanno un raggio d’azione di 3/4 mila metri. Con queste armi, nei giorni scorsi, hanno abbattuto diversi caccia e cargo ucraini. In base a questi elementi — incerti — possiamo passare alle ipotesi: 1) Errore dei filo-russi convinti di tirare su un velivolo nemico. Uno sbaglio determinato dalla difficoltà nel maneggiare i Buk. 2) Nelle vicinanze del Boeing c’era un aereo militare che ha tratto in inganno chi ha sparato. 3) Sono stati i governativi ucraini. In questo «disegno» c’è spazio anche per la storia — già smentita — sulla presenza sulla stessa rotta del jet con a bordo Vladimir Putin.
Il caccia
Prima delle indicazioni di fonte Usa, si è parlato di una situazione «alla Ustica». Il volo MH17 finisce nel mezzo di un duello aereo tra caccia ucraini e russi. Un missile centra accidentalmente il jet carico di passeggeri. Nei giorni scorsi erano circolate voci che riportavano possibili scontri tra le due aviazioni. Le ipotesi: 1) C’è un combattimento e il 777 viene coinvolto. 2) Uno dei caccia cerca di nascondersi al nemico usando il Boeing come ombra, il missile finisce sul bersaglio più grosso. 3) Errore diretto del pilota militare.
L’esplosione
Non si è trattato di un missile o dei colpi sparati da un caccia. A bordo del jet malese si è verificata un’esplosione che ha innescato un evento catastrofico che ha segnato la sorte dell’aereo. Inevitabile pensare al caso del volo MH370 malese disperso dall’8 marzo nell’Oceano Indiano. Stesso modello — un 777 —, stessa compagnia.
Le difese
Gli aerei passeggeri possono essere protetti contro la minaccia dei missili? Solo contro quelli a corto raggio, i Manpad portatili. La compagnia israeliana El Al ha adottato un sistema di difesa. Una risposta a tentativi di attacco organizzati in passato da gruppi palestinesi e qaedisti. Nel 2002 a Mombasa un commando jihadista ha cercato di abbattere un 757 pieno di turisti usando un vecchio Strela 2, quasi una reliquia della Guerra fredda. Un attentato per fortuna fallito. Ma oggi gli Strela o gli americani Stinger sono stati rimpiazzati da sistemi più moderni. Per questo, da tempo, gli Usa hanno montato sull’ Air Force One uno scudo adeguato che può fermare alcuni tipi di missile e confondere i radar di guida.
Guido Olimpio

LE ARMI IN DOTAZIONE
GIUSEPPE SARCINA

DAL NOSTRO INVIATO LONDRA — In attesa delle immagini satellitari, le uniche in grado di stabilire chi ha abbattuto l’aereo malese, si può cominciare seguendo le tracce degli armamenti, nell’uno e nell’altro campo. Dopo aver espugnato la cittadella di Sloviansk l’esercito ucraino si è progressivamente avvicinato a Donetsk, il capoluogo del Donbass. Le armi di Kiev sono ancora quelle di fabbricazione sovietica. Il punto è che tra gli osservatori esterni nessuno sa con certezza se i soldati regolari abbiano in dotazione anche batterie di missili terra-aria come il Buk-21, cioè l’ordigno che avrebbe colpito il velivolo di linea a una quota di 10 mila metri. Un obiettivo alla portata di questo razzo messo a punto dall’Unione Sovietica e poi sviluppato dalla Federazione russa, venduto a diversi Paesi tra i quali l’Ucraina. Il Buk-21, soprannominato «Tafano» dagli specialisti della Nato, può identificare e abbattere aeroplani fino a 14 mila metri di altitudine ed entro un raggio di 30 chilometri.
C’è, però, un dato di fatto fondamentale: il volo di linea è precipitato a Grabovo, un piccolo villaggio a circa 70 chilometri da Donetsk in direzione est, verso il confine russo e quindi nel mezzo della sacca di territorio controllata dai separatisti. Sembra, quindi, difficile che possa essere stato colpito da razzi ucraini eventualmente dislocati a una distanza non inferiore a 80-90 chilometri, visto che i soldati di Kiev si sono attestati a 10-15 chilometri a sud e ad ovest di Donetsk, quindi sull’altro versante rispetto a Grabovo. Un’altra possibilità, avanzata dall’agenzia di stampa russa Ria Novosti, è che il Boeing 777 sarebbe stato intercettato e spezzato in due da un caccia ucraino Sukhoi 25. Questi aerei stanno effettivamente partecipando all’offensiva lanciata dal presidente Petro Poroshenko nell’Est del Paese. Dall’inizio di giugno ne partono a decine dallo scalo di Dnepetrovsk, quaranta minuti di volo da Donetsk, insieme con una trentina di elicotteri d’assalto.
Da Dnepetrovsk decollano anche i cargo che trasportano i paracadutisti e gli altri militari ucraini verso le linee più avanzate: in particolare nell’aerea di Luhansk che sembra essere il prossimo obiettivo degli attacchi ordinati da Kiev. Se si congiungono con una linea Dnepetrovsk e Luhansk si passa non lontani da Grabovo. Ma c’è un elemento oggettivo: finora gli ucraini hanno mantenuto la supremazia assoluta nei cieli. I ribelli dell’Est non hanno a disposizione alcun velivolo e quindi resterebbe da capire per quale motivo i caccia di Kiev si sarebbero dovuti allarmare.
I filorussi, invece, hanno già colpito diversi aerei ed elicotteri con le insegne nazionali giallo-azzurre. Ancora la scorsa settimana i separatisti celebravano sui social network l’abbattimento di un jet da combattimento a Gorlivka, 35 chilometri a nord-est di Donetsk.
Ora, però, i ribelli dell’Est negano di aver mai avuto a disposizione razzi così potenti. Il governo di Kiev, invece, non ha dubbi: i servizi segreti ucraini hanno identificato sistemi missilistici antiaereo, tra cui i Buk.
Gli americani sospettano che nell’arsenale dei separatisti ci siano missili terra-aria. In una «scheda informativa» diffusa solo due giorni fa dal dipartimento di Stato di Washington si legge: «Le informazioni disponibili indicano che Mosca ha recentemente fornito ai separatisti carri armati ed artiglieria di epoca sovietica e che nel corso del fine settimana (12 e 13 luglio ndr.) diversi veicoli militari hanno oltrepassato il confine». Segue un elenco dettagliato, e molto tecnico: tank, fucili antiaerei, lanciarazzi, veicoli blindati. Non sono citati, però, missili Buk o qualcosa di equivalente. C’è solo questo passaggio: «Dopo aver ripreso il controllo di numerose città ucraine lo scorso fine settimana, le autorità ucraine hanno scoperto depositi nascosti... dove sono stati trovati missili antiaereo Manpad». Anche questi razzi possono colpire fino una distanza di circa 10 chilometri, ma più a corto raggio rispetto ai Buk.
Sospetti e accuse, qualche pista concreta. Ma non c’è ancora la canna fumante.
Giuseppe Sarcina

BISOGNA VOLARE ALTI
CLAUDIO DEL FRATE
«Colpito a diecimila metri di altitudine...come è possibile?». Carlo Sforza, vent’anni trascorsi nei cieli di tutto il mondo ai comandi dei Boeing dell’Alitalia e ancora oggi pilota per conto di compagnie private, non riesce a spiegare come sia potuto accadere un disastro come quello del volo della Malaysia Airlines.
Attraversare zone di guerra, sorvolare ad alta quota territori nei quali ci si affronta armi in pugno fa parte della quotidianità per un pilota di jet di linea. E anche a Carlo Sforza è capitato nella sua lunga esperienza. Ma quanto accaduto ieri sembra non appartenere a ipotesi prevedibili. Eppure non esistono in questi casi «regole d’ingaggio» e norme di sicurezza a cui gli equipaggi si devono attenere?
«Certo che sì - risponde l’ex comandante dell’Alitalia - e alla base di tutto ci sono i cosiddetti “notam” che ognuno di noi riceve prima del decollo. Si tratta in sostanza di sintetici dispacci in cui ci vengono indicate le rotte da seguire, le altitudini a cui volare per garantire la sicurezza dei passeggeri in caso di attraversamento di zone pericolose. Nel corso della mia carriera mi è capitato ad esempio di passare più volte sopra la Somalia o il Corno d’Africa: le istruzioni che ricevevamo dicevano ad esempio di non scendere al di sotto di una certa quota, per tenersi fuori della gittata delle armi della guerriglia, oppure di seguire rotte che giravano attorno alle zone “calde”. Anche di recente mi risulta siano state sospese le soste sull’aeroporto di Tel Aviv per non diventare bersaglio dei razzi sparati dalla Striscia di Gaza».
Ma i «notam» vengono diramati dalle compagnie aeree?
«No, il compito spetta alle autorità di controllo dei singoli Paesi che vengono sorvolati: sono loro che hanno (o dovrebbero avere) il polso della situazione».
Nel caso del Boeing abbattuto, le autorità hanno già specificato che il velivolo non era entrato in una «no fly zone» e che dunque non era finito fuori rotta e si trovava in un punto teoricamente sicuro. Cosa può essere successo?
«È un evento per certi versi ancora inspiegabile. Per un pilota che deve sorvolare un’area pericolosa, anche per la semplice presenza di guerriglieri, come nel caso dell’Ucraina, il rischio maggiore è rappresentato dalle cosiddette armi convenzionali, come fucili o mortai. In questi casi basta mantenere una quota di sicurezza per tenersi fuori dal raggio d’azione di queste armi. Ma se l’aereo è stato centrato mentre si trovava a 10 mila metri siamo in uno scenario del tutto differente e anche difficile da prevedere. Sulle prime ho pensato che il jet malese si trovasse in fase di decollo o atterraggio ma così non è. Ma fin da subito si è capito che il colpo non poteva essere partito da armi semplicemente portate a spalla da qualche soldato».
Ritiene ci siano state negligenze che hanno giocato contro la sorte dei passeggeri e dell’equipaggio deceduti?
«Siamo di fronte a un atto di terrorismo gravissimo e difficile da prevedere: bisognerebbe immaginare una sorta di indagine preventiva per arrivare a una modifica all’ultimo momento delle rotte. Ma non sono decisioni semplici, anche perché le compagnie puntano sempre a seguire i tracciati più brevi per risparmiare sul carburante».
In effetti una decisione è stata presa, ma in maniera tardiva; per giorni e giorni i cieli sopra Donetsk sono stati solcati da centinaia di jet e solo dopo la tragedia tutto il traffico sulla zona più instabile dell’Ucraina è stato deviato; gli aerei hanno cominciato a seguire il periplo attorno al Paese e il sito flightradar24 che mostra on line il traffico aereo in tempo reale già ieri sera forniva un’immagine eloquente della situazione.
Ma al di là delle prescrizioni delle autorità di controllo aereo, il pilota ha margini di autonomia o può attenersi ad altre regole?
«Sostanzialmente no: una volta che abbiamo ricevuto le rotte da seguire o ci sono state indicate le quote di volo non c’è più molto da fare. I piloti seguono solo le indicazioni altrui».
Claudio Del Frate

LE VITTIME
C’erano 154 olandesi, 27 australiani e 23 malesi imbarcati sul volo MH17; lo ha chiarito in serata la compagnia Malaysia Airlines in una conferenza stampa che ha posto fine a un rincorrersi di notizie sull’identità delle vittime dell’attentato sui cieli dell’Ucraina. L’elenco non è definitivo e forse comprende anche 9 britannici e 4 francesi. Nella notte, la Farnesina ha comunicato la presenza di un italo-olandese e di suo figlio. Le agenzie internazionali parlano di 23 vittime statunitensi anche se in serata Barack Obama in persona è intervenuto affermando che non ci sono certezze in merito.
Per l’intero pomeriggio e anche in serata si sono intrecciate telefonate e mail tra ambasciate, unità di crisi dei vari governi, sedi di compagnie aeree. Obiettivo: risalire all’identità delle persone che si trovavano a bordo del Boeing. Le prime informazioni, come è ormai consuetudine sono cominciate a circolare sui social network. Sull’account di un canale televisivo è comparsa l’immagine di una manciata di passaporti raccolti sulla zona del disastro, da cui si intuiva la presenza sul volo di cittadini olandesi e malesi. Circostanza per la verità scontata, visto che la rotta prevista era Amsterdam — Kuala Lumpur. Con discutibile scelta alcuni canali ucraini hanno mostrato le foto di questi passaporti alcuni dei quali riportavano immagini di bambini.
In definitiva solo le autorità olandesi potevano risolvere il mistero ma fino a ieri sera l’aeroporto di Schipol non aveva diffuso l’elenco dei passeggeri imbarcatisi.
E’ partita così una ricostruzione per tentativi. Secondo quanto risultava ai tour operator dei Paesi Bassi, 55 persone avevano acquistato un biglietto per il volo MH17 di ieri; restava da capire se tutte erano regolarmente salite a bordo. Da Parigi è intervenuto direttamente il ministro degli esteri Laurent Fabius dichiarando che almeno 4 cittadini francesi si trovavano sull’aereo, salvo poi fare marcia indietro in serata, rimettendo in forse la notizia; la macabra conta è proseguita con le notizie arrivate da Londra, che parlavano di 9 cittadini inglesi deceduti nel disastro.
Mistero anche da parte americana. Circa due ore dopo lo schianto, l’agenzia Reuters ha affermato che tra le vittime ci sarebbero 23 cittadini statunitensi. La Casa Bianca e il presidente in persona hanno però preferito scegliere la linea della prudenza limitandosi a dire che erano in corso solo i dovuti accertamenti.
Non ci sono infine certezze riguardo alla presenza di italiani tra le vittime. Fino a ieri sera la Farnesina non era in possesso di notizie certe e anche in questo caso ci si è dovuti aggrappare a verifiche più empiriche; nessun passeggero italiano risulta - al momento - essersi imbarcato nelle ultime 24 ore da Linate o Malpensa con destinazione Amsterdam e poi Kuala Lumpur. Stesso discorso vale per Fiumicino; ma gli scali di Roma e Milano non sono gli unici a essere quotidianamente collegati con la capitale olandese .
A fine serata il chiarimento: oltre a olandesi, australiani e malesi tra le vittime ci sarebbero anche 11 indonesiani, 4 tedeschi e 3 belgi; nella maggior parte dei casi la loro destinazione finale doveva essere l’isola di Bali, per un periodo di vacanza. Proprio una delle vittime aveva postato sulla sua pagina Facebook 24 ore prima del volo l’immagine dei biglietti aerei con la destinazione finale e il passaporto. A conti fatti, tuttavia mancano ancora all’appello 47 nomi.
Le manifestazioni di solidarietà nei confronti delle vittime sono comunque scattate in tutto il mondo in maniera spontanea. La più significativa e commovente si è svolta in serata a Kiev: decine di persone si sono radunate davanti alla sede dell’ambasciata olandese deponendo fiori e candele a raccogliendosi in preghiera.
C.Del.

OBAMA-PUTIN

DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK — A chiamare è stato il Cremlino. Putin voleva discutere delle ulteriori sanzioni economiche decise dagli Stati Uniti contro la Russia e forse anche fare la voce grossa, ma il tono della conversazione tra Vladimir Vladimirovic e Barack Obama è cambiato di colpo quando è arrivata la notizia dell’abbattimento del Boeing della Malaysia Airlines in volo al confine tra l’Ucraina e la Russia, proprio dove si ammassano gli aiuti ai separatisti filorussi contestati dagli Usa. E mentre parlavano, anche i rapporti di forza tra i due leader sono cambiati.
Era stato Putin a chiedere il colloquio dopo che, meno di 24 ore prima, Obama aveva annunciato un nuovo giro di vite contro le principali istituzioni finanziarie ed economiche della Russia. Le sanzioni non sono una cosa da prendere alla leggera quando ad imporle sono gli Stati Uniti che regolano le transazioni in dollari nel mondo. Oltre a colpire direttamente gli obiettivi fissati dall’amministrazione americana, impediscono a chiunque di operare con coloro che finiscono sulla lista nera. E chi tenta di aggirarle può fare una brutta fine. Ne sa qualcosa Bnp-Paribas, la principale banca francese che di recente ha versato quasi 9 miliardi di dollari al Dipartimento della Giustizia per aver violato per anni le sanzioni imposte a Iran, Cuba e Sudan.
Le nuove misure riguardano in particolare i colossi Gazprombank e Rosneft che operano in tutto il mondo. Chiuderli in un recinto vuol dire mettere a rischio le esportazioni di gas e petrolio in Europa, ma allo stesso tempo ostruire i principali collettori di valuta pregiata verso la Russia. Ed infatti, il presidente Usa annunciando mercoledì le sanzioni, che si sommano alle precedenti, aveva tranquillizzato gli alleati europei dichiarando che «sono significative, ma sono anche mirate e disegnate per avere il massimo impatto sulla Russia mentre viene limitato ogni effetto sulle compagnie americane o sui nostri alleati», ed aveva ammonito la Russia: «Ci aspettiamo cha la sua leadership capisca, ancora una volta, che le sue azioni in Ucraina hanno conseguenze».
Al telefono con Putin Obama ha parlato di «prove evidenti che la Russia sta significativamente aumentando la fornitura di armi pesanti ai separatisti in Ucraina» sottolineando che le sanzioni si sono rese necessarie per «la mancanza da parte della Russia di passi per allentare la crisi», come riferisce una nota della Casa Bianca alla quale il portavoce, Josh Earnest, ha aggiunto che sono «allo studio» ulteriori misure con gli alleati europei che condurranno la Russia «ad altri costi» e a un maggiore «isolamento diplomatico».
Non si sa a quale punto del confronto telefonico sono arrivate le notizie sul volo MH17 e sulla morte delle 295 persone a bordo che hanno esportato oltre il confine ucraino-russo quello che poteva essere scambiato per un problema regionale, per quanto pericolosamente troppo vicino all’Europa. Sia la Casa Bianca che il Cremlino hanno detto che a parlarne per primo è stato Putin il quale aveva ricevuto notizie di stampa e «rapporti» dei servizi di volo. «E’ una terribile tragedia», dichiara Obama dal Delaware, dove si è recato subito dopo per promuovere investimenti privati nei trasporti. «Stiamo lavorando per accertare se a bordo ci fossero cittadini americani», aggiunge offrendo l’aiuto Usa per accertare cosa è accaduto in un’area che, dall’inizio degli scontri, è una delle più monitorate al mondo dai satelliti spia americani e dalle istallazioni militari Nato.
Giuseppe Guastella