Bruno Vespa, Panorama 16/7/2014, 16 luglio 2014
CREDETEMI, QUESTA RIFORMA VI CONVINCER
[Intervista a Elena Boschi] –
«I Cinque stelle? Sono molto divisi. Alcuni collaborativi, come Luigi Di Maio, che svolge molto bene anche il ruolo di vicepresidente della Camera. Altri duri e puri. Ma un numero crescente di parlamentari del Movimento manifesta disagio. Dopo un anno di legislatura passato a dire sempre no, che senso ha trascorrerne altri quattro sulla stessa linea?».
Maria Elena Boschi assomiglia sempre di più alle nobildonne rinascimentali che lasciano beni e affetti perché rapite da una vocazione religiosa. Una Santa Teresa d’Avila che scolpita dal Bernini per Santa Maria della Vittoria, a Roma, acquista sensualità nel momento in cui la trafigge la freccia dell’estasi divina. Una vita privata, la bella avvocata toscana, non ce l’ha da quando in febbraio Matteo Renzi l’ha portata al governo affidandole tre ministeri: rapporti col Parlamento, attuazione del programma di governo e soprattutto le riforme. Si sveglia prestissimo, alle otto è in ufficio, stacca tra le nove e le undici di sera. Single per necessità, sogna una famiglia, ma adesso non può permettersela. In questo primo scorcio d’estate, ha rubato al lavoro un solo sabato e una sola domenica per andarsene al mare con le amiche di sempre. («Luogo isolatissimo, a quanto pare nessuna foto in giro»). In questi giorni si divide tra le aule di Camera e Senato e gli incontri di mediazione per evitare che il castello messo in piedi dalla maggioranza frani sotto i colpi d’artiglieria dei Cinque stelle e le bombe a orologeria dei guastatori del Pd e di Forza Italia. Con la squadra di Grillo incontri in streaming si alternano a fitti scambi di corrispondenza. Ma Boschi frena sulla possibilità di ribaltare l’impianto condiviso con la maggioranza e Forza Italia.
«Abbiamo detto per iscritto che siamo pronti a discutere anche sull’immunità dei senatori» dice il ministro. «Ma stiamo attenti a non far diventare questo il tema centrale delle riforme quando non lo è. Si è deciso di introdurre al Senato lo stesso criterio di immunità valido per la Camera per pari dignità costituzionale. La norma è stata votata da tutti i partiti tranne Sel e Cinque stelle. Se si vuole rimettere tutto in discussione, serve una volontà molto ampia». Visto che i parlamentari sono accusati di far prevalere valutazioni politiche rispetto a quelle giuridiche nell’esaminare il contrasto tra i propri membri e la magistratura, non avrebbe senso la proposta di Anna Finocchiaro e Roberto Calderoli di far esaminare l’eventuale fumus persecutionis dalla Corte costituzionale? «È una delle ipotesi in discussione. Io ho qualche perplessità perché sarebbe un caso unico nel panorama internazionale dove tutti gli organi costituzionali decidono su se stessi in base a un principio di autonomia. E poi si rischierebbe di scaricare la conflittualità politica su un organo che politico non è. Poi vedremo». Nell’aula del Senato, tra il prevedibile ostruzionismo dei Cinque stelle e gli agguati dei cecchini annidati nelle file di Pd e Forza Italia, non c’è da stare allegri. Ma il ministro non riesce ad accettare la guerriglia dei suoi.
«Invocare l’obiezione di coscienza per la riforma del Senato mi pare un’esagerazione. Questo può valere per i temi etici o quando si decide sulla vita delle persone, non per una norma del genere. Se stai in un gruppo politico, hai il diritto di confrontarti in tutti i modi. Noi lo abbiamo fatto per mesi.
Il 70 per cento di chi ha votato per Matteo Renzi alle primarie lo ha fatto su questo programma. Il voto si è ripetuto in segreteria, in direzione e poi in assemblea. Adesso mi auguro che chi è stato eletto lavori nell’interesse del Paese e non per privilegiare posizioni e visibilità personali».
Boschi non è sorpresa dall’atteggiamento di un Corradino Mineo che, come Augusto Minzolini di Forza Italia, considera un «libero pensatore». E nemmeno da Massimo Mucchetti, giornalista economico prestato alla politica, che il ministro Italia, ha tentato invano di portare sulle posizioni del governo. Ed è sorpresa da chi, come Vannino Chiti, «ha una formazione legata al partito e ha sempre sostenuto, prima da presidente di regione, poi da ministro, una riforma del Senato che rappresentasse le autonomie locali secondo il sistema tedesco e che è stato alla base del programma del centrosinistra degli ultimi anni. Mi spiace che Chiti voglia dare un’immagine delle riforme come frutto di improvvisazione, quasi fossero l’idea di un mattino, quando invece se ne discute da decenni. I 30 importanti costituzionalisti invitati dal seminario del Pd, pure con sfumature diverse, erano tutti d’accordo sull’elezione di secondo grado». Boschi ricorda che la riforma del Titolo V della Costituzione restituisce allo Stato competenze sull’energia, sulle grandi opere pubbliche, sulla promozione turistica. «Ma il fatto che le regioni siano largamente rappresentate nel nuovo Senato che eserciterà la funzione di controllo sulle leggi statali, ne rafforza il potere di codecisione».
Obietto al ministro che se i deputati fossero scesi, poniamo, a 500 e i senatori fossero eletti direttamente dai cittadini, pure in una logica territoriale e comunque con un sostanziale monocameralismo, si sarebbero ottenuti risparmi perfino maggiori ed evitate tante polemiche. «Togliere 315 stipendi e indennità ai senatori è certamente un grosso risparmio» dice la Boschi. «Ma non è stato certo l’unico criterio a ispirarci. Se il nuovo Senato sarà chiamato a compiti limitati e se la Camera sarà l’unica istituzione politica eletta direttamente dai cittadini, è giusto che mantenga immutato il suo numero di deputati per poter lavorare meglio anche in commissione». I cittadini non eleggeranno i senatori e rischiano di vedersi indicare i deputati dalle segreterie politiche. Per evitare l’accusa di muovervi in senso autoritario, sarà necessario il ritorno alle preferenze? Il Nuovo centrodestra le esige, Forza Italia le rigetta. Dunque? «Noi del Pd abbiamo risolto il problema della trasparenza con le elezioni primarie.
Gli elettori avranno in ogni caso una lista di cinque nomi, e non le lenzuolate di oggi, indicati da ogni partito in collegi provinciali o subprovinciali, comunque molto più piccoli degli attuali. Se qualcuno di quei nomi non sarà convincente, il partito che li ha designati perderà voti». Il ministro distingue nettamente la riforma del Senato dalla legge elettorale: «Puntiamo a far votare il Senato in aula sulla propria autoriforma prima di Ferragosto e di chiudere con l’approvazione definitiva entro l’estate del 2015. Alla ripresa si partirà con la nuova legge elettorale che contiamo di far approvare entro l’anno».
L’obiettivo è rendere meno paradossale la lentezza legislativa: «Ricorda la legge sull’omofobia? Bene, è uscita dalla Camera un anno fa e ancora non viene incardinata al Senato. Con la nuova Costituzione, una legge ordinaria uscita dalla Camera passa al Senato che avrà dieci giorni per decidere se intervenire, 30 per proporre modifiche e la Camera avrà altri 20 giorni per accettare o respingere la proposta. In tutto, 60 giorni». Poi ci sarà comunque la via crucis dei decreti attuativi: «Cercheremo di ridurli al minimo e adesso stiamo lavorando per smaltire quelli degli ultimi tre governi, compreso il nostro. Rispetto agli 889 iniziali siamo scesi a 734». Li esaurirete entro l’anno? «È una previsione ottimistica, ma ci spero».
Renzi spiazza tutti inventandosene una al giorno. Lei stessa ha detto che è un po’ confusionario... «Non lo è affatto sugli obiettivi, ha una determinazione sistematica nel procedere sui vari step, è molto più attento al rispetto delle procedure di quanto si voglia far credere e più prudente di quanto appaia: dice sempre che meglio impiegare una settimana in più del previsto che prendere una decisione sbagliata o non chiara. Guarda tutto in prima persona. Pasticci? Li fa nella sua agenda, a volte cambia programma nell’arco della giornata, ma da quando sta a palazzo Chigi ha adottato un metodo di lavoro più sistematico».