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 2014  luglio 17 Giovedì calendario

CARCERI, LAUREARSI VALE LA PENA

Non lascia trasparire l’e­mozione, si mostra si­curo di sé mentre espo­ne la sua tesi, sul brigantaggio. «Per lui, non abituato a stare fuori, la tensione dovrebbe es­sere doppia» diceva un amico. Bruno C., da ieri dottore in Scienze politiche col voto di 105, s’è laureato al Campus Ei­naudi in mezzo agli studenti “liberi”. Dopo la discussione è tornato in carcere. È po­tuto uscire con un permesso. «Avrò una bor­sa lavoro dalla Compagnia di San Paolo – di­ce – e pensare che mi hanno arrestato per una rapina in una filiale del­la loro banca».
Cinque suoi compagni si lau­reano domani, ma nell’istituto di pena. C’è chi porta come te­si la recidiva, chi le frodi ai cre­ditori, chi il diritto sportivo. So­no gli studenti del polo univer­sitario del carcere Lorusso e Cu­tugno di Torino, una realtà d’ec­cellenza nel settore e unica nel suo genere in Italia. Qui i pro­fessori universitari tengono ve­ri e propri corsi dietro le sbarre, permettendo così ai detenuti di una sezione speciale di fre­quentare le lezioni. Ci sono i corsi di laurea in Scienze Politi­che e Giurisprudenza. Sono 24 gli studenti iscritti, tra di loro anche ergastolani: ci sono de­tenuti che, per frequentare i corsi, chiedono il trasferimento a Torino.
Studiano per battere la noia del troppo tempo libero, migliorar­si, pensare a un futuro. Daniele ha fatto la tesi sulla recidiva: «Tra chi studia in carcere è qua­si zero. Studiare ci fa riabilitare, per questo mi sono iscritto al­l’università ». Daniele, un pas­sato da bandito, è dentro da 4 anni e ne deve scontare altri dieci: «Ho tempo per tre lauree», scherza. E c’è chi, in effetti, non s’accontenta del primo “pezzo di carta”. È il caso d’un giovane nigeriano, arrestato a Genova per traffico di droga. Prima del carcere studiava Giurispruden­za. A Torino ha scritto la tesi e s’è laureato ad aprile sui diritti u­mani in Africa. Ora vuole iscri­versi a Matematica. Il sogno del Polo universitario, coordinato dal professor Franco Prina, è di portare in carcere nuovi corsi di laurea. A dire il vero c’è già un carcerato che studia al Politec­nico, ma grazie ai permessi se­gue le lezioni fuori. Bruno aveva scarpe eleganti e una semplice polo. Ad ascol­tarlo c’erano volontari del servizio civile, educatori, un’amica co­nosciuta per corrisponden­za mentre scontava un’al­tra condanna. In tutto ha fat­to oltre vent’anni dentro: gli mancano solo otto mesi. C’è chi entra in carcere magari con la terza media e ne esce dottore. Come Marino Sacchetti. Ieri e­ra ad ascoltare Bruno. Lui la lau­rea l’ha presa un anno fa, in Di­ritto penale internazionale, po­co dopo il suo fine pena. È sta­to dentro per 14 anni: «Mi ac­cusano di tentato triplice omi­cidio di agenti di polizia e tra­sporto di armi, nella vicenda dei Legionari di Brenno» dice, ma lui si proclama innocente. An­zi, “non colpevole”. Dieci anni li ha passati in massima sicurez­za, insieme ai brigatisti. Grazie all’università, ha svolto un tiro­cinio nell’avvocatura del Co­mune di Torino e ora lavora per una cooperativa.
Alla laurea di Bruno c’era anche Shpend Qerimi, affidato ai ser­vizi sociali, che proprio ieri ha sostenuto un esame: Sociologia della devianza. È uscito a no­vembre, dopo sette anni scon­tati per traffico internazionale di droga. «In carcere tutti siamo innocenti», sorride. Spiega che per lui, studiare, non è una ria­bilitazione: «Io ero inserito nel­la società, lavoravo come ven­ditore d’auto. Ho studiato per tenermi occupato e rendermi migliore». Adesso è impegna­tissimo. Oltre allo studio – gli mancano due esami – lavora al mattino come traduttore in Co­mune e al pomeriggio insegna rugby ai bambini: in carcere e­ra il capitano della squadra.