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 2014  luglio 17 Giovedì calendario

MOSUL SOTTO IL GIOGO JIHADISTA. REQUISITE LE CASE AI CRISTIANI

«N». O meglio, il suo equivalente in a­rabo: un semicerchio con una linea al centro. La lettera, che sta per “Na­sara” (cristiano), viene dipinta sulla facciata principale delle case. Su quelle ancora abitate e su quelle ormai vuote. Lasciate, cioè, dai cristiani fuggiti in fretta il 9 giugno, dopo la conquista i­slamista di Mosul. La “n” è il marchio della ver­gogna per indicare “gli altri” nel linguaggio del terrore dell’’Esercito del Levante e dell’Iraq (Isis). I miliziani “segnano” le dimore della comunità e le requisiscono.
Ai residenti – quando ci sono – ordinano di an­dare via, su due piedi. Se vogliono restare devo­no convertirsi all’islam o pagare la “tassa di pro­tezione”, la cosiddetta “jizia”. In caso contrario, vengono cacciati. Le dimore entrano nel «patri­monio immobiliare dello Stato islamico» – co­me scrivono sotto la «n» – e distribuite tra i fian­cheggiatori dell’Isis, rigorosamente sunniti. La notizia, apparsa sul portale arabo www.ankawa.com, rilanciata dall’agenzia Fides e confermata ad Avvenire da monsignor Jshle­mon Warduni, vescovo ausiliare caldeo di Bagh­dad. Anche il vescovado è stato occupato e sul tetto ora sventola la bandiera jihadista.
Non è l’unica informazione inquietante che fil­tra dal nord dell’Iraq. A Mosul – afferma ancora con amarezza monsignor Warduni – i miliziani hanno ordinato ai funzionari pubblici di so­spendere ogni fornitura di cibo ai non sunniti. Sempre secondo il sito www.ankawa.com (ma la notizia non è stata confermata), i cristiani so­no stati esclusi anche dalle forniture di gas a co­sto calmierato. Chi vuole ottenerlo, deve regi­strarsi, è stato annunciato nelle moschee. I bat­tezzati, però, non possono farlo: agli impiegati pubblici è stato espressamente vietato di ag­giungere i loro nomi nelle liste. I trasgressori – hanno intimato gli occupanti – verranno puniti in base alla sharia. Gli addetti ai centri di distri­buzione sanno che i jihadisti non scherzano. So­no questi ultimi, ogni mese, a dare una razione di alimenti e bombole di gas alla popolazione. Una distribuzione capillare. Fino ad ora. La mi­noranza sciita shabak, curdi e i pochi cristiani ri­masti, da adesso, dovranno andare avanti sen­za alcun rifornimento agevolato. Il che rende lo­ro la vita quasi impossibile data la situazione. La maggior parte dei quartieri è senza acqua e corrente, le stazioni di benzina sono a corto di carburante. I prezzi delle bombole del gas e del cibo alle stelle.
Le nuove misure imposte dall’I­sis non fanno che alimentare l’esodo verso altri parti dell’Iraq o dei Paesi vicini: già mezzo mi­lione di cittadini ha lasciato Mosul. «Nei villag­gi cristiani che hanno accolto gli sfollati in fuga dall’Isis è in atto un’emergenza umanitaria – ha detto ancora monsignor Warduni al sito Bagh­dadhope –. Come Caritas Iraq stiamo cercando di fare il possibile ma siamo a corto di mezzi. Anche i pozzi che abbiamo costruito, in colla­borazione con Unicef, non sono sufficienti e per questa ragione, come direttore della Caritas-Iraq vorrei, anzi devo, lanciare un appello per aiuti che ci consentano di alleviare le difficilissime condizioni di vita di queste persone».
Anche perché l’esodo aumenta. Pure molti sun­niti vogliono lasciare Mosul, dove i miliziani han­no avviato il giro di vite. Alcol e tabacco sono stati vietati, le donne devono «coprire il loro cor­po » e «limitare al minimo la presenza nei luoghi pubblici». Si sono, inoltre, registrati decine di ca­si di raid contro abitazioni di ufficiali governa­tivi: questi sono rapiti e condotti in luoghi sco­nosciuti.
In questo quadro drammatico, una delle poche note positive è l’elezione a presidente del Parla­mento di Salim al-Jabouri. Manca, però, ancora il premier e il governo. Di fronte alla minaccia jihadista, il Paese resta debole.