Sophie Penruddock, D - la Repubblica 12/7/2014, 12 luglio 2014
40ENNE SINGLE CERCA SESSO ASTENERSI VENTENNI
Stanotte ho fatto sesso per la prima volta dopo sette mesi, la prima davvero appagante negli ultimi cinque anni. Da quando sono single. Avevo conosciuto John, architetto paesaggista, a una festa sei ore prima. Smilzo, occhi verdi da fattone e aria taciturna, ci siamo detti pochissimo. L’allarme è scattato dopo, quando è diventato evidente che John non conosceva il pezzo dei Depeche Mode che stavamo ascoltando. E neppure sapeva chi fosse Adam Ant: mentre gli raccontavo di averlo conosciuto, la sua espressione si è fatta smarrita. Già mi sembrava di sentire la temutissima domanda che stava per sgorgargli dallo stomaco e raggiungergli le labbra: «Quanti anni hai?». John ne aveva 23 e io, con i miei 42, avevo la stessa età di sua madre. Di rifarlo - almeno per lui - non se ne parlava.
Nella mia vita, queste docce fredde dopo il sesso (appena migliori dell’assenza di sesso in assoluto) sono diventate una sensazione tanto familiare quanto sgradevole. Secondo l’Office for National Statistics, negli ultimi dieci anni il numero di inglesi non sposate è raddoppiato e l’età media di quelle che divorziano è 41 anni. Così faccio parte di una nuova fascia demografica: single, over 40 e a caccia di sesso. Le serate con le mie insoddisfatte amiche single coetanee – manager, scrittrici, registe – scivolano spesso non in lamenti sulla carenza di futuri mariti (questo ormai si dà per scontato), ma in prolungati brainstorming sulle strategie da sms, e su come diavolo faremo ad andare a letto con qualcuno. Da fuori siamo un gruppo di donne attraenti di successo che potrebbero avere chiunque. Invece no. Per niente. Come riassume un’amica ex modella: «Non riesco più nemmeno a regalarla».
Essere desiderabili e desiderate, un tempo era un semplice dato di fatto. Dodicenne, mi piazzai seconda nella top ten delle “ragazze più sexy” del mio anno. I venti successivi li ho passati a respingere avances, e quando non lo facevo era una resa. Forse lo spostamento dei rapporti è dovuto al karma. Vent’anni dopo, gli adolescenti che ho respinto da giovane si stanno vendicando a sangue freddo e, a 40 anni, di colpo hanno smesso di cercarmi.
Presa dal panico, ho cercato allo specchio i segni dell’invecchiamento. Ho investito in creme ed elisir, eliminato i vestiti presi da Topshop (che cominciassi a sembrare ridicola?), ma dopo numerosi sondaggi sul campo, in cui mi davano sempre fra i 29 e i 32 anni, ho concluso che il mio aspetto era più o meno quello di sempre. A essere cambiato era il carico psicologico che, a mia insaputa, proiettavo. «Single e quasi quarantenne» era interpretato come «disperata». Come una di quelle lupe affamate di riproduzione che adescano gli uomini nelle loro tane per procurarsi un campione fresco di spermatozoi.
Ho visto maschi sgranare occhi terrorizzati, una volta scoperta la mia età. Il loro cervello non è ancora in grado di elaborare il fatto che una donna possa voler andare a letto senza un secondo fine: matrimonio, figli. Gli uomini non hanno idea di come rapportarsi a una donna che vuole solo sesso, gli stronca lo slancio. Non riescono a scacciare la vocina che gli dice: «Questa-vuole-un-figlio».
C’è stato un tempo in cui volevo sposarmi e fare dei figli con il mio compagno. Stavamo insieme da 5 anni quando, a 38, scoprii che andava a letto con una delle sue studentesse con vent’anni in meno. Il micidiale cocktail di rifiuto sessuale, tradimento e perdita di futuro fu una bomba H che mi tramortì per anni. Quando il fungo atomico si diradò, cominciai a sperare di innamorarmi di nuovo. È che da allora non ho incontrato nessuno, tutto qui.
Il paesaggio di potenziali partner in una fascia consona alla mia età era un campo di battaglia disseminato di casi umani: scapoli avvelenati da decenni di avventure, eterni bambini, vittime di divorzi, anaffettivi, sposati annoiati, impotenti. Essere single era come ritrovarsi intrappolata in una cantina buia in compagnia di un branco di viscidi animaletti.
Mi sono arresa. Ma nel frattempo volevo fare sesso. Tanto sesso. Mi è sempre piaciuto e ora mi faceva sentire di nuovo libera, giovane, desiderabile. A 15 anni ho perso la verginità. Tra i 20 e i 30 ho imparato che a letto mi piaceva sentir parlare. Per anni tentai di far imitare ai partner il lessico erotico del primo fidanzato, ma finiva sempre per sembrare la colonna sonora di un porno anni ’70 o, all’opposto, un lento di Barry White. A 30 anni ho conosciuto l’uomo che mi ha cambiato: facevamo sesso di continuo, dappertutto, inevitabile che il sesso ci divorasse, distruggendoci.
Ed eccomi dunque arenata in un vicolo cieco. Al culmine della mia maturità e carica sessuale, ma con più marchi d’infamia sociali. E una carenza di uomini single decenti. Mi sembrava sensato scegliermi il partner tra i disponibili, ma significava anche dissotterrare dalla cantina tutti gli esemplari inquietanti. Ero attratta dai tipi narcisisti e creativi. Sean durante il sesso si metteva a piangere, solo che poi bagnava il letto. Ogni notte alle 4. Poi è venuto Rick, che voleva usare non uno, ma tre preservativi, era come fare sesso con una casa gonfiabile. Di James sopportavo le chiacchiere narcotizzanti sulle sue conquiste, il passato da modello e citazioni da Guerre Stellari. A 44 anni. Ho simulato orgasmi un po’ per farlo smettere, un po’ perché mi faceva pena.
Gli altri uomini della mia età, ovviamente, sono tutti sposati. Territorio off-limits per me, ma per loro no. Restavano quelli più anziani. Sono uscita con un 52enne e quando ci siamo ritrovati a letto, la nostra seduta sessuale è passata da “sorprendentemente prolungata” a un incubo di 8 ore. La mia diagnosi: overdose di Viagra. Ho avuto una relazione con un altro uomo più grande, estimatore di pratiche “sadomaso soft”. Mi implorava di indossare stivali alti e di farmi legare. Quando, arrivati al dunque, non riusciva a raggiungere l’erezione, io gli dicevo che non importava (ma, per la cronaca: importa sempre). A un certo punto mi ha confessato di essersi innamorato di me, e che questo gli rendeva impossibile fare sesso.
Inevitabile che finissi a cercare quelli più giovani, anche se l’etichetta di cougar non piace a nessuna. Steve, 28 anni, era un cocco di mamma così educato che mi toglieva i vestiti e li appendeva. Ian, 29, non aveva mai sentito nominare, figuriamoci sfiorato, un clitoride. Jacob, di base, voleva solo giocare ai videogame. Mi sembrava che le chance di fare sesso spensierato si fossero estinte con i miei 30 anni. Davanti a me, il futuro era deprimente, fatto di sfilze di incontri con (senza offesa per la categoria) commercialisti 50enni divorziati, che mi ero tanto sforzata di evitare.
La verità è che ho voglia di incontrare qualcuno, innamorarmi e sì, magari farci un figlio, ma sono troppo spaventata per ammetterlo. Scegliere gli uomini con il criterio dell’attrazione mi sta offuscando la capacità di giudizio. Un’amica ha un uomo a Stoccolma, ci va a letto da 15 anni. Vive troppo lontano perché il matrimonio o dei figli vengano presi in considerazione, il che previene ogni proiezione psicologica che possa interferire a letto. La soluzione è perfetta da ogni punto di vista, salvo uno: bisogna trovarlo (esiste una app?). Forse, se la smettessi di prendere decisioni basate sui feromoni, mi concederei la possibilità di conoscere un adulto spiritoso, interessante, e sorprendentemente sporcaccione. Chissà. Il fatto è che non ci credo nemmeno io.
©TheTimes Magazine
(traduzione di Matteo Colombo)