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 2014  luglio 16 Mercoledì calendario

IL CIBO PARLA

Che sia una gioia: la cultura, secondo Gaetano Pesce. L’artista italiano domiciliato a New York, che dagli anni Sessanta crea design e dinamico stupore, è ora inquilino del MAXXI di Roma con II tempo della diversità, retrospettiva «allegra, leggermente provocatoria e un po’ segreta, che può dare emozioni». Segreta? «Un discorso del tutto coerente manca di mistero, solo con i salti crei angoli oscuri». Si parla di uno sconfinato linguaggio - che non si prevede mai ma si riconosce sempre - con cui Gaetano Pesce mescola forme e suoni, tatto e olfatto, architettura e testi, materiale e immateriale. Una per tutti, la mostra al Centre Pompidou pervasa da un afrore di minestrone casalingo, 1996: «Perché il mio modo di esprimermi lo è, un minestrone».
C’è un’altra retrospettiva, invece inamovibile, di genere privato e vegetale, nel senso che esclude il lato carnivoro del vivere, del Pesce vegetariano, da sempre e per sempre. Si comincia a tre anni: «Da quando mi ricordo, la carne è stata esclusa». Da lui: «Mi pareva di dover mangiare pezzi di esseri viventi». Il pensiero torna indietro, è un ricordo seduto a tavola, avvolto dalla gentilezza della madre pianista, due figli da allevare, con due diversi menu. D’altronde, mentre camminava per la città, se passava davanti ai macellai, il piccolo Gaetano non respirava: «Non volevo che mi entrasse niente di quell’atmosfera cannibalesca». Ancora oggi, quando sente chiedere bistecche al sangue o vede tagliare fette da cui escono rivoli rossi, non si capacita.
Ai tempi del menu personalizzato, il sensibile secondogenito girava le pagine degli spartiti alla madre che dava lezioni di musica e di vita, tipo: Bach e Beethoven sono autentici perché rappresentano il loro tempo, non lo è Albinoni, con un suono post Settecento. Il ragazzo, che passerà la vita a indagare il momento storico, dalla mamma passa ai grandi pensatori, che va a visitare. Heisenberg chiarisce il (non) senso del tempo, Le Corbusier lo travolge di domande, Gaetano impara: nella vita bisogna soprattutto ascoltare. Anche la carne: «Ogni cibo parla, e questo comunica dolore profondo, non bisogna nutrirsi di quella sofferenza». In più le mucche sono sacre, come ogni primo amore. C’era una stalla a scuola, lui era affascinato da «Quella femminilità straordinaria». Che mai ha ingoiato: «Non sono un aggressivo». Però. Se ci si siede a tavola, meglio evitare bistecche e polemiche.
Poi, nel 1965, in omaggio all’architetto Mies van der Rohe, presenta quattro modelli fatti con carne vera. Sceglie quarti di animale dai macellai a Les Halles - «Un dramma» - pur di sostenere che con la bellezza della perfezione la mente imputridisce. Sono imputriditi innanzitutto i modellini, sono entrati in sciopero al Museo del Louvre, poi chiuso e disinfestato.
Ma lei non è aggressivo, giusto? «Solo provocatorio, sono un uomo gentile». Che cucina fantastici risotti, quello al caffè tra le sue specialità, e imbattibili frittate. Il segreto sta nell’acqua che fissa l’uovo, quindi la frittata sembra una delle sue opere, o viceversa: «Molto del mio lavoro ha preso dalla cucina. Mescolo, cuocio, secco all’aria, impasto».
Chiediamo di confessarci una trasgressione: un bel serpente di mare, un pranzo a Helsinki senza via di scampo, il creativo taglia l’incubo a pezzettini, che ingoia come pillole con litri d’acqua. «Vede la gentilezza?».