Roberto Giardina, ItaliaOggi 17/7/2014, 17 luglio 2014
IL BILANCIO TEDESCO È IN PAREGGIO
Il prossimo anno il bilancio tedesco sarà in pareggio, per la prima volta dal 1969, l’anno in cui Willy Brandt arrivò al potere e Angela Merkel andava al ginnasio. Noi abbiamo voluto mettere il pareggio nella Costituzione, come se bastasse una legge a cambiare la realtà (la Grundgesetz obbliga il governo a non superare per i nuovi indebitamenti una certa percentuale rispetto al pil, che è cosa ben diversa).
Per Berlino è un traguardo storico, voluto a tutti i costi dal ministro delle finanze, Wolfgang Schäuble, che non riceve solo lodi: molti lo criticano anche all’interno del suo partito, la Cdu della Cancelliera.
Ci sono problemi urgenti da risolvere che richiedono investimenti come modernizzare la rete stradale, e riparare ponti che rischiano di cedere per vecchiaia. Non tutti i debiti sono dannosi, neppure in Germania, dipende da come si investono i soldi. È quello che Renzi preferisce dimenticare quando accusa Berlino di avere a sua volta sforato il limite del 3%o di indebitamento rispetto al pil nel 2003.
Pur con qualche spreco, quei miliardi furono impiegati per portare a compimento la ricostruzione delle regioni orientali, lasciate in rovina dal regime rosso. A un quarto di secolo dalla caduta del «muro» la ex Ddr è quasi alla pari con le regioni occidentali, quel che non siamo riusciti a compiere in un secolo e mezzo per il nostro meridione.
Il pareggio in bilancio non è una notizia nuova, forse è interessante vedere come ci arriva Schäuble. Non aumentando le tasse ma anche abbassandole: le entrate che sfuggono da una parte dovrebbero ritornare in misura maggiore da un’altra, almeno si spera. Ovviamente non tutti sono d’accordo sui calcoli, e potrebbe finir male. L’importante è prendere decisioni, senza fermarsi agli slogan. In Germania le tasse di successione sono quasi a zero per le piccole e medie imprese. E adesso la sinistra chiede, nel rispetto della Costituzione, un’uguale tassazione per i redditi dei privati e per quelli che ricavano un utile dalle loro aziende di famiglia. Ad esempio, su un capitale di un milione e 600 mila euro, gli eredi possono arrivare a pagare 250 mila euro, e neppure un cent se ereditano un’azienda. Questa eccezione costa alle casse dello Stato circa 10 miliardi all’anno. Tassare anche le piccole e medie imprese però potrebbe metterle in difficoltà, compromettere gli investimenti per le innovazioni e, nel caso peggiore, i posti di lavoro.
Vengono poste delle condizioni: gli eredi devono mantenere i posti di lavoro e non vendere l’azienda per almeno sette anni. I miliardi perduti con le tasse di successione, si calcola, dovrebbero in gran parte ritornare grazie all’introduzione della paga minima, 8,50 euro, appena approvata. I lavoratori vedranno aumentare i loro introiti, spenderanno di più, aumenteranno i contributi sociali. Si calcola che le tasse in più che arriveranno grazie alla paga minima saranno sugli 8 miliardi. Potrebbe avvenire, come si teme, che gli 8,50 euro obbligatori finiscano invece per distruggere posti di lavoro. Per alcune categorie verrà introdotta con cautela, con due anni di tolleranza. Si gioca sui compromessi, ma si osa.
In quanto alle tasse di successione si propone perfino di abolirle del tutto: quest’anno, secondo un calcolo della Postbank, verranno ereditati 264 miliardi di euro. Legalmente, senza trucchi, i piccoli imprenditori «salveranno» dal fisco 74 miliardi di euro. Quanto basta per risanare bilanci statali in difficoltà. Ma, si calcola, le tasse di successione su imprese e su privati hanno fatto incassare nel 2013 circa 4,6 miliardi, appena l’1% del bilancio. Invece di tassare nel rispetto della Costituzione anche le imprese, basterebbe esentare anche le normali famiglie. Le tasse di successione, scrive la Welt am Sonntag, sono in realtà una Neidsteuer, una tassa dell’invidia. Chi ha lavorato e creato una fortuna deve poterla lasciare a figli e nipoti. Che gli eredi lo meritino o no, è una questione morale, non fiscale.