Franco Bechis, Libero 17/7/2014, 17 luglio 2014
I DEBITI DELL’«UNITÀ» MANDANO A FONDO IL PD
È di nuovo il rosso il colore principale del Partito democratico. Rosso per il buco di bilancio certificato nei conti del 2013. Rosso perché come non accadeva da anni è di nuovo l’editoria a trascinare a picco le finanze dell’erede del vecchio partito comunista. Il risultato di esercizio firmato dal nuovo tesoriere Francesco zi, ma quasi totalmente responsabilità del suo predecessore Antonio Misiani, evidenzia una perdita di 10,8 milioni di euro, superiore quasi del 50% al buco di 7,3 milioni dell’anno precedente. Scendono i contributi pubblici (compensati però integralmente dall’aumento dei contributi privati), ma soprattutto aumentano le spese. In maniera sensibile quelle per servizi e ancora di più i contributi girati ad associazioni: 14,6 milioni di euro trasferiti in gran parte alle strutture territoriali del partito. Il campanello d’allarme suona non solo per quel consistente rosso per altro simile al buco dei principali partiti politici nel 2013 ma per l’ormai quasi totale erosione del patrimonio netto a disposizione: restano solo 5,4 milioni, la metà della perdita registrata l’anno scorso, e con la riduzione delle entrate sarà davvero un’acrobazia non dovervi attingere in questo 2014. Anche il denaro in cassa ormai scarseggia: restano 8,8 milioni di euro con debiti da pagare di 5,4 milioni. L’anno precedente la liquidità in cassa ammontava a 18,5 milioni di euro.
La sorpresa nel bilancio viene proprio dal peso che è tornato a mostrarsi sui conti del principale partito della sinistra italiana per le disavventure dell’editoria di area. È soprattutto l’Unità, il quotidiano fondato da Antonio Gramsci a creare come accadde un tempo una discreta emorragia. La società editrice oggi è in liquidazione, e si sta attendendo un salvatore in extremis per consentire il prosieguo delle pubblicazioni. Si sono fatte avanti Daniela Santanchè e Paola Ferrari De Benedetti, ma sono state respinte dalla redazione. Si vagheggia di un’offerta dei costruttori Pessina di Milano, ma al momento si è concretizzato poco. Per il partito guidato da Matteo Renzi la soluzione non è proprio indifferente. Nei conti d’ordine infatti figurano sia una fidejussione da 1,5 milioni di euro rilasciata nel 2013 a favore della società editrice dell’Unità con scadenza al 31 ottobre 2015. Se la società non trova il suo cavaliere bianco, il rischio è che quella fidejussione venga alla fine escussa e quindi la somma perduta. Ma il Pd ha anche acceso un pegno da 500 mila euro in un conto corrente presso la Banca popolare di Milano a garanzia di un finanziamento che l’istituto di credito ha concesso alla società editrice dell’Unità. E sono due milioni di euro. La terza zavorra editoriale si trova a sorpresa proprio nell’elenco degli oneri della gestione caratteristica del partito, dove figura nel 2013 una spesa di 2.845.122 euro per «acquisto copie Unità/Europa». Quasi 5 milioni in tutto in favore dell’Unità per un partito i cui conti rischiano di affogare sono un peso certo non indifferente.
Funziona meglio invece il rapporto con un altro media di casa, quella Youdem che trasmette in streaming tutte le direzioni e le assemblee del Pd. Era diretta da una fedelissima di Pierluigi Bersani come Chiara Geloni, ora è passata in mano ai renziani. La proprietà è del partito attraverso una società controllata, Eventi Italia srl, che ha chiuso il bilancio 2013 con un piccolo utile di 6.656 euro. Ma per fare quadrare i conti si è tagliato buona parte del fatturato garantito dal partito (così il valore della produzione è sceso da 1,8 a 1,1 milioni di euro) e parte dei conti (ad esempio lo stipendio del direttore) sono stati trasferiti sulle finanze del partito. Il piccolo utile quindi è in realtà una perdita per il Pd, che ha dovuto allargare il suo piccolo esercito di dipendenti. Al 31 dicembre 2013 risultavano in carico così 16 giornalisti (3 in aspettativa): 1 direttore, 5 caporedattori, 1 vice caporedattore, 2 vice caposervizio, 6 redattori ordinari e 1 redattore ordinario a tempo parziale. Ci sono poi 176 dipendenti di cui 30 in aspettativa non retribuita (scaricati sulle tasche dei contribuenti italiani nei ministeri o nei palazzi della politica).