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 2014  luglio 17 Giovedì calendario

LA FINE DELLA RETE GLOBALE


NEW YORK
A venticinque anni dalla nascita, Internet è ancora in piena fase di crescita. Ha collegato fino ad ora quasi un terzo dell’umanità, e un consorzio di aziende tra cui Facebook, Samsung e Qualcomm, promette ora che lo metterà a disposizione virtualmente di ognuno dei 4,6 miliardi di umani che ancora non hanno accesso alla rete. Se fosse uno stato, vanterebbe un Pil pari a quello della Francia, ma a differenza del paese transalpino la sua economia è cresciuta 18 volte tra il 2005 e il 2012, e promette di triplicare entro il 2025. Nel solo 2011 il giro di affari che gli ruota attorno ha generato 6 milioni di posti di lavoro.
A prima vista questa progressione sembra inarrestabile, Eppure da qualche tempo i manager delle aziende protagoniste stanno lanciando un grido d’allarme: l’integrità della rete è minacciata da forze centrifughe inarrestabili che presto produrranno un processo di balcanizzazione. Un fenomeno che il ceo di Google Eric Shmidt ha mirabilmente sintetizzato nella formula: Splinternet, l’Internet diviso.
LE ORIGINI
Per capire questa trasformazione, spiega Gordon M. Goldstein in un articolo sulla rivista The Atlantic, bisogna risalire all’origine della formazione della rete e del suo antenato Arpanet, un sistema di comunicazione tra computer che era stato creato dal ministero della Difesa statunitense alla fine degli anni ’60. Per quanto aperta ai contributi di chiunque intorno al mondo, la rete si è sviluppata a partire dagli Usa, come un’espressione della leadership mondiale che il paese ha vantato per tutta la seconda metà del secolo scorso. Americani sono i maggiori fornitori dei canali di comunicazione come la AT&T e la Verizon, americane sono le aziende che ne sviluppano gran parte del contenuto, da Facebook a Google.
DATAGATE
Questo sistema è entrato visibilmente in crisi con il Datagate, che ha mostrato al mondo come l’accentramento del flusso dei dati nelle mani di aziende legate tutte allo stesso paese, finisse per agevolare una funzione di controllo da parte di quel governo. A livello diplomatico Angela Merkel si è limitata a condannare le intercettazioni che lei stessa e molti tedeschi hanno subito per mano della NSA. Ma nel frattempo la cancelliera ha iniziato a chiedere un sistema regionale di Internet, nel quale i dati sensibili siano protetti dalle ingerenze americane.
Brasile ed Europa hanno annunciato un progetto da 185 milioni di dollari per la posa di cavi a fibra ottica sul fondo dell’oceano, che li renda liberi dall’ingerenza degli Usa. Australia, Francia, Corea del Sud, India, Indonesia, Kazakistan, Malesia e Vietnam, stanno allargando i confini delle informazioni delicate per le quali ognuno di loro richiede già ora la registrazione obbligatoria presso server locali.
L’ECONOMIA
Anche la dimensione economica ha un suo peso rilevante in questo dibattito. Una rete regionale al posto di quella universale che oggi conosciamo, favorirebbe l’imposizione di dazi di accesso, e promuoverebbe le aziende locali a scapito delle grandi multinazionali. Gli esperti della Università di Davis in California prevedono che tra quattro anni il solo ’cloud computing’ oggi dominato da aziende americane, e che si basa su un Internet globale e libero, potrebbe perdere dai 22 ai 35 miliardi di dollari di fatturato.
Nella prima conferenza dell’Onu sul governo della Rete globale che si è tenuta a Dubai due anni fa, 89 paesi hanno chiesto che l’amministrazione della rete passi formalmente nelle mani di un’organizzazione internazionale come l’agenzia delle stesse Nazioni Unite ITU (International Telecommunication Union). La proposta è stata bocciata da 54 membri tra cui gli Usa, i quali chiedono che tale funzione non abbia nessun connotato politico, nemmeno quello di un’organizzazione internazionale intergovernativa.
IL LABIRINTO
Ma il processo pare inarrestabile: Russia, Cina, Egitto, Arabia Saudita e Sudan hanno già cercato due anni fa di sottrarre il controllo dei domini Internet (il registro dei nomi dei siti) dalle mani della società privata americana “no profit” che opera su licenza del ministero del Commercio. Gli americani hanno preso tempo, ma c’è il rischio che la tensione produca una spaccatura, e che ogni governo interessato cominci a duplicare la struttura, richiedere una registrazione locale, e poi isolare i sito con un suo sistema di difesa.
Questo per gli utenti vorrebbe dire addentrarsi in un labirinto di cibernetico pieno di porte e di potenziali trabocchetti; in una parola: la fine dell’Internet come lo abbiamo conosciuto nei suoi anni di formazione giovanile.