Diodato Pirone, Il Messaggero 17/7/2014, 17 luglio 2014
CAMERE, DIPENDENTI IN FUGA PER BLINDARE LE MAXIPENSIONI
IL FOCUS
ROMA Si fa presto a parlare di tagli al privilegio dei maxi-stipendi. Quando si tratta poi di quelli dei 2.315 dipendenti di Camera e Senato è come affondare il coltello nel burro: nelle due Camere si contano la bellezza di 130/150 stipendi annui superiore al tetto di 240 mila euro in vigore da maggio per tutti (gli altri) dirigenti dello Stato e le regole attuali consentono anche al dipendente che svolge le mansioni più semplici (ribadendo che tutti i lavori sono importanti e che i lavoratori delle due istituzioni sono particolarmente qualificati) di arrivare a guadagnare dopo soli 20 anni ben 90 mila euro lordi annui (pari a 4.500 netti al mese per 12 mensilità).
Più difficile ma anche più interessante parlare dei privilegi da maxi-pensioni. Già, perché quello che sta accadendo in questi giorni a Montecitorio e Palazzo Madama è un classico italiano: di fronte alle indiscrezioni sul piano di tagli agli stipendi che lunedì sarà annunciato dalle Presidenze delle Camere, gli uffici del personale sono presi d’assalto da dipendenti che se ne vogliono andare. Commessi, archivisti e consiglieri chiedono informazioni sulla loro posizione e molti hanno già firmato la lettera di dimissione pronti a presentarla prima dell’arrivo del nuovo regime.
I SOLDI IN GIOCO
Perché? Perché ai lavoratori più anziani - pur coinvolti in parte nel calcolo contributivo - è riservata la possibilità di andare a riposo con una pensione equivalente all’ultimo stipendio. Insomma per questa fascia di dipendenti parlamentari che - grosso modo - hanno più di 60 anni e molti anni di servizio - ogni taglio allo stipendio equivarrebbe ad una riduzione della pensione. Il danno di oggi, insomma, si moltiplicherebbe vita natural durante. Che danno? Beh non bisogna essere laureati in matematica per capirlo: in alcuni casi si tratterebbe di 7/800 euro annui. Poca roba. Ma nel caso di alcune “figure apicali” il piano dei tagli equivale a 30/50 mila euro in meno. E 50 mila euro in meno all’anno di pensione per vent’anni fanno la bellezza di un milione di euro in meno. Lordi, eh, sia chiaro.
Che la molla della fuga verso la pensione sia caricata o no a pallettoni da un milione a questo punto poco importa. Importa, invece, moltissimo capire quali conseguenze il fenomeno può avere sulla trattativa sui tagli.
Proprio l’obiettivo di evitare o, meglio, di attenuare la corsa al pensionamento dei dipendenti delle Camere spiega l’orientamento delle Presidenze di graduare fino al 2017 o al 2018 la riduzione degli stipendi. Il piano allo studio prevede di portare le buste paga più alte sotto quota 240 mila solo fra quattro anni e di istituire ”sotto-tetti” a cascata per evitare un generale appiattimento delle retribuzioni. In tutto, con sforbiciate che andrebbero dal 3 al 25%, i dipendenti colpiti dai tagli sarebbero circa 1.000 su 2.315.
C’è un’altra ragione che spiega la prudenza delle Presidenze: la spesa previdenziale di Camera e Senato è già enorme e, da anni, fuori controllo. Le pensioni dei dipendenti della Camera (senza quelle dei politici) assorbono il 25% di tutti i soldi di Montecitorio. Il Senato è a quota 21%. Questa voce vale 236 milioni per la Camera e 115 milioni per il Senato. Un’assurdità: basta dare un’occhiata ai bilanci dei due templi della nostra democrazia per capire che in realtà sono immensi pensionifici ma non tanto per il personale politico quanto per le loro burocrazie.
BUROCRAZIA DI NICCHIA
Una burocrazia, quella addensatasi negli organi costituzionali, senza dubbio qualificatissima. E quindi consapevole.
Eppure capace di ritagliarsi una posizione previdenziale confortevolissima quanto economicamente (escludendo considerazioni etiche) insostenibile. Lo testimoniano le altre due istituzioni costituzionali. Il Quirinale spende per le pensioni dei suoi dipendenti 91 milioni, il 40% delle sue risorse. E le uscite previdenziali per i dipendenti (attenzione, non per i giudici) della Corte Costituzionale sono di 14 milioni l’anno pari al 26% delle disponibilità. Fino ad arrivare al paradosso di questi giorni: l’abnormità della spesa previdenziale dei dipendenti sta soffocando Camera e Senato. Che stanno ricevendo meno soldi dal Tesoro e contemporaneamente devono trovare più denaro per i propri pensionati. Di qui lo stop alle assunzioni e la riduzione degli investimenti. E piani di tagli graduali. Ineguali rispetto al resto della burocrazia ma, proprio per questo, realistici.