Renato Pezzini, Il Messaggero 17/7/2014, 17 luglio 2014
CAPEZZONE, DAI DOLCI PER DUDÙ ALLA CACCIATA
IL PERSONAGGIO
MILANO Liquidato con una battuta dopo otto anni di onorato e fedelissimo servizio: «Vai, vai pure con Fitto» intima il Cavaliere furioso a Daniele Capezzone durante l’assemblea dei gruppi parlamentari di Forza Italia. E lui impietrito, silente, incredulo. Come chi scopre all’improvviso che dopo una vita spesa a far da sentinella ai voleri del capo e a spedire nell’elenco dei cattivi i suoi detrattori si può finire a propria volta fra gli indesiderati in un istante. Basta un semplice: «Io non sono d’accordo».
QUANDO RUPPE CON PANNELLA
A onor del vero Capezzone già in passato aveva osato alzar la cresta contro un padre padrone. Divenuto segretario del Partito Radicale su designazione del dominus Marco Pannella si esibì in alcuni vagiti di dissenso e fu buttato a mare. Era il 2006, lui poco più che trentenne non si perse d’animo e cercò nuovi approdi. Taluni sostengono perfino che la decisione di recidere il cordone ombelicale che lo legava a colui che lo aveva generato (politicamente) fu uno stratagemma per entrare alla corte di Arcore evitando accuse di trasformismo.
Sia come sia, Capezzone si è trovato a perfetto agio nelle stanze berlusconiane. Entrato col ruolo di semplice portavoce (prima del Pdl poi di Forza Italia), ha via via guadagnato posizioni profittando degli arretramenti altrui e sostenendo con pervicacia l’elementare tesi secondo cui «il capo ha sempre ragione». Fino a scoprire, adesso, che l’assenza di riconoscenza colpisce tutti in politica, compresi i sudditi più devoti e i sicari più spietati.
Se c’era qualcuno che provava a far ombra al Cavaliere, Capezzone si ergeva a sua difesa come un mastino. Lo sa bene Gianfranco Fini che all’apice del dissidio con Silvio venne brutalmente colpito dal portavoce del partito: «Fini non può nascondere che la sua unica bussola è un’ostilità personale, livorosa e ossessiva alla persona del Premier, il tutto sulla pelle del paese». Stesso trattamento, anni dopo, per Alfano e quelli dell’Ncd: «Stanno comprando tempo per compiere l’assassinio di Berlusconi».
Per non parlare dei magistrati, degli avversari politici, degli alleati troppo autonomi. Tutti sottoposti al «trattamento Capezzone» che con fiera antipatia si è fatto artiglio del capo, graffiando in vece sua, stilettando chiunque capitasse a tiro come quando si esibì nella redazione di un istant-book per prendere di mira Julian Assange, additato al pubblico ludibrio per aver diffuso documenti riservati delle diplomazie internazionali che mettevano in cattiva luce Berlusconi: «Un atto d’amore nei suoi confronti» spiegò.
«VAI, VAI CON FITTO»
Quando non aveva nessuno da rimbrottare, si adoperava in altri modi per conquistare i favori del padrone di casa. C’è chi ha addirittura raccontato che pur di essere ben accolto da Dudù, il cagnolino della Pascale che si metteva ad abbaiare ogniqualvolta lo vedeva, gli abbia somministrato di nascosto quantità industriali di biscotti per ingraziarselo. Forse solo una leggenda metropolitana, di quelle che si fanno circolare per spiegare carriere difficilmente spiegabili e che sembrano destinate a non finire mai. Fino a quando il capo non emette la sua drastica sentenza: «Vai, vai con Fitto. E andatevene tutti e due».