Stefano Bucci, Corriere della Sera 17/7/2014, 17 luglio 2014
GIUSEPPE PENONE: L’ARTE È SORPRESA MA NON HA BISOGNO DI EFFETTI SPECIALI
L’artista deve essere sempre un po’ stupido. Ma la stupidità evocata da Giuseppe Penone, fresco vincitore del Praemium Imperiale per la scultura, nasce dallo stupore e non tanto dall’insensatezza: «Quello che cerco, quando lavoro su un sasso, su un pezzo di marmo o su un tronco d’albero è prima di tutto la sorpresa ovvero la gioia di sorprendermi». Il Maestro dell’Arte Povera («Vuole chiamarmi Maestro? Faccia pure, tanto è soltanto una convenzione») vuole dunque continuare soprattutto a divertirsi, «a cercare quella freschezza e quella novità capaci di regalare gioia».
La motivazione del Praemium parla per Penone (nato a Garessio, piccolo centro nelle campagne di Cuneo, il 3 aprile 1947) e per gli altri quattro vincitori (Martial Raysse per la pittura; Steven Holl per l’architettura; Arvo Pärt per la musica; Athol Fugard per il teatro/cinema) «di risultati conseguiti, di influenza esercitata sul mondo dell’arte a livello internazionale, di un contributo alla comunità mondiale». Un riconoscimento (di fatto una sorta di Nobel dell’arte) che, certamente, non arriva inaspettato dal momento che Penone (studi all’Accademia Albertina di Torino, città dove ha tenuto la sua prima personale nel 1969 e dove ancora oggi vive e lavora in un capannone industriale pieno di materiali) è considerato uno dei «grandi maestri» del contemporaneo. Un riconoscimento che arriva in parallelo con la bellissima mostra che gli sta dedicando Firenze(Prospettiva vegetale , al Giardino di Boboli e al Forte di Belvedere, fino al 5 ottobre) mentre da tempo il Giardino delle Sculture Fluide della Reggia di Venaria Reale ha accolto con successo una ricca collezione di suoi lavori.
Quello a Giuseppe Penone è oltretutto l’ennesimo riconoscimento del valore del «made in Italy» dell’arte visto che l’anno scorso per la pittura il Praemium Imperiale (istituito ufficialmente nel 1989 dalla Japan Art Association) era andato a Michelangelo Pistoletto e visto che nell’elenco dei vincitori figurano nei vari settori anche Enrico Castellani, Umberto Mastroianni, Arnaldo Pomodoro, Giuliano Vangi, Mario Merz, Cecco Buonanotte, Renzo Piano, Luciano Berio, Claudio Abbado, Maurizio Pollini, Federico Fellini, Sophia Loren.
«L’Italia è un Paese incredibile — ammette Penone —, un paese capace anch’esso di sorprenderti. Pensi che della mostra di Firenze non avevo avuto più notizie da novembre, poi improvvisamente tutto è ripartito, così in fretta che pensavamo persino di non farcela. Purtroppo questa imprevedibilità nasce dalla mancanza, tutta italiana, di una vera e propria programmazione in campo artistico-culturale». E così se da una parte «riusciamo a farcela», dall’altra «questa carenza priva gli interlocutori e gli investitori di possibili riferimenti». Penone, reduce da un viaggio in Abu Dhabi («Forse farò una mostra»), si chiede perché quella stessa realtà così ricca e assetata d’arte abbia investito nelle filiali di grandi musei come il Louvre, la National Gallery e il Guggenheim e non piuttosto in musei italiani altrettanto (se non di più) forniti: «Anche se avessero voluto, con chi avrebbero potuto parlare?».
Schivo e riflessivo, Giuseppe Penone si dice contento del Praemium: «Mi ha dato gioia perché rappresenta un riconoscimento del valore di quello che ho fatto, ma certo non cambierà la mia esistenza perché sono talmente concentrato sul mio lavoro da non avere spazio per molto di più. D’altra parte il mio è davvero un piccolo laboratorio fatto da me, da mia moglie, da mio figlio e da pochi altri collaboratori e il tempo è tutto preso dall’arte».
A proposito di arte cosa resta oggi di quella sua esperienza dell’Arte Povera? «La capacità di guardare la realtà al di là dell’apparenza e dalla conoscenza, in qualche modo la voglia di arrivare all’essenza delle cose».Un percorso che idealmente sembrerebbe non aver nemmeno bisogno di manifestazioni come la Biennale di Venezia: «Nessun artista rinuncerebbe a parteciparvi, ma la spettacolarizzazione eccessiva non serve». Penone che ama avvicinarsi a Picasso, a Michelangelo ma anche a Monet e a tutti quegli artisti capaci di stupirsi «di quello che avevano saputo creare» sembra al contrario non amare per niente «la spettacolarizzazione» e «gli effetti speciali» utilizzati da certi suoi colleghi (da Koons a Hirst) soprattutto perché «così si sminuisce il valore stesso dell’opera»: «un’opera se è veramente tale, sia che si tratti di scultura o di dipinto, deve essere capace di comunicare senza tanti pretesti e senza tanti aiuti».
La freschezza e il metodo sono due delle basi necessarie a ogni giovane artista: «Cercare ogni giorno una nuova ispirazione, qualcosa capace di sorprenderti. Che sia legno, marmo o bronzo poco importa. Io quando scelgo un legno, un marmo o un metallo lo faccio pensando prima di tutto a quello che può raccontare con le sue venature o con la sua forma». Quello che Penone chiede, ancora una volta, è un bellissimo senso di stupidità.