Fulvia Caprara, La Stampa 17/7/2014, 17 luglio 2014
CIPRI’ CONTRO MARESCO
Erano una cosa sola e adesso non si parlano più. Due film, in uscita in autunno, sanciranno sul grande schermo il divorzio di una coppia di autori che, persa la «e» con cui avevano iniziato, seguono oggi strade e ispirazioni differenti. Il loro primo incontro risaliva al 1986, all’epoca della cooperativa Rosebud, specializzata in attività culturali e noleggio di videocassette. Per anni, da allora, avevano lavorato fianco a fianco, avevano dato interviste in coro, avevano affrontato uniti successi, attacchi ed epiche battaglie contro la censura, come quella, nel ‘98, per Totò che visse due volte, vietatissimo e poi sbloccato sull’onda di una polemica nazionale. Le separazioni sono sempre tristi, anche se Daniele Ciprì e Franco Maresco, nati a Palermo, rispettivamente nel ‘62 e nel‘58, restano autori importanti, con un comune, glorioso passato e un lungo futuro da scrivere. Del primo vedremo presto La buca, commedia satirica sull’arte d’arrangiarsi interpretata dalla neo-coppia comica composta da Sergio Castellitto e Rocco Papaleo. Del secondo si attende il nuovo film, ancora senza titolo definitivo (quello provvisorio è Belluscone. Una storia siciliana), ma con due protagonisti certi, la Sicilia e Silvio Berlusconi. Si sa che l’opera, portata a termine, tra mille difficoltà, da Maresco e dai suoi collaboratori, è stata proposta per la Mostra di Venezia, che i selezionatori l’hanno vista, che è piaciuta, potrebbe essere al Lido, anche se non è ancora nota la collocazione.
Sarà l’ultimo atto di una vicenda che circola nel giro di amici e addetti ai lavori, accompagnata da quell’alone di imbarazzo che sempre segna le storie finite male, con gli inevitabili schieramenti di chi sta con l’uno e chi sta con l’altro. Gli interessati non hanno mai fatto mistero della rottura: «Io e Franco eravamo amici - raccontava un anno fa Daniele Ciprì -, eravamo fratelli. Quando si condivide un progetto, è importantissimo che l’entusiasmo e l’intesa restino vivi... Dopo un lungo percorso insieme c’era invece una certa stanchezza, così abbiamo deciso di continuare ognuno per la sua direzione e ci siamo ritrovati a fare discorsi diversi».
Da una parte Ciprì, figlio di un fotografo di matrimoni, a sua volta direttore della fotografia e regista debuttante, nel 2013, con E’ stato il figlio, in concorso alla Mostra. Chi conosce il duo, sostiene che è lui l’elemento più duttile e aperto. Dall’altra Franco Maresco, «indisciplinato per natura», dai tempi della maturità scientifica ottenuta, come ha raccontato lui stesso, «con molte difficoltà». Attualmente alle prese con l’opera in predicato per la gara veneziana, è considerato da molti il più intransigente, introverso e rigoroso della ex-ditta siciliana. Al vecchio amico, raccontano i bene informati, rimprovererebbe la tendenza a scendere a patti con le esigenze del mercato. «Daniele è il migliore direttore della fotografia che abbiamo in Italia - ha detto in passato - di sicuro posso dire che è molto più “adattabile” di me, e quindi - seguendo i dettami di Darwin - certamente mi sopravviverà». Viceversa Ciprì si sarebbe stancato di un partner troppo chiuso, settario, addirittura solipsistico. Il danno, e su questo gli estimatori della (fu) coppia sono d’accordo, l’avrebbero ricevuto entrambi, come se, separandosi, ognuno avesse smarrito una parte di sé. L’humour nero di Ciprì senza Maresco sarebbe meno graffiante, e i film di Maresco senza luce e fotografia di Ciprì potrebbero perdere in originalità.
Un gran peccato per gli autori che, dai geniali intermezzi della Raitre di Cinico tv alla carica dissacrante dello Zio di Brooklyn e Totò che visse due volte, avevano espresso, con stile unico e singolare inventiva, un linguaggio cinematografico eccentrico e innovativo: «Il loro modo di comunicare - scriveva il critico Goffredo Fofi - ha voluto essere subito diverso: tempi lunghi, silenzi, bianco e nero, macchina per lo più fissa, dialetto stretto, situazioni e battute sul filo del paradosso e della provocazione, estreme e inconcilianti...». Pensare e produrre insieme significava condividere con fermezza la stessa visione artistica, ma soprattutto esistenziale: «La vera ricchezza - proclamavano nel volume (curato da Valentina Valentini e Emiliano Morreale) El sentimento cinico de la vida -, anche se è retorico dirlo, è la passione con cui si lavora, è il talento che si dimostra di possedere. Non è il denaro, mai. Guarda che bei risultati ottengono in Italia i registi che hanno tanti soldi!».