Luigi Grassia, La Stampa 17/7/2014, 17 luglio 2014
IL MAL D’ARIA DEI PILOTI: «NON BOLLATECI PIU’ COME DEI PRIVILEGIATI»
I piloti dicono sì a Etihad, ma si mettono di traverso (e con loro le hostess e gli steward) sul contratto nazionale di lavoro unico per tutte le categorie del settore aereo. Sostengono che il problema non è il contenuto economico, semmai «il fatto che si minacci di togliere la titolarità del contratto a chi rappresenta i piloti», come dice al telefono Danilo Recine, direttore esecutivo dell’Anpac (il sindacato a cui aderiscono quasi tutti i piloti di Alitalia). Però è evidente che dietro alle questioni di principio stanno anche (legittimamente) quelle economiche, e il rischio paventato da chi vola è di veder compromessa la sua posizione retributiva. Una posizione che in passato veniva spesso e volentieri bollata come un castelletto di privilegi insostenibili, un castelletto assediato e sempre meno possibile da difendere. Le cose stanno ancora così?
Qualche numero. Nel 2008, cioè in epoca pre-Cai, le retribuzioni dei piloti variavano da un minimo di 64 mila euro lordi all’anno a un massimo di 240 mila. Le cifre sono controverse, perché quello che si mette davvero in tasca un pilota dipende non solo dalla parte fissa ma anche dalle indennità di volo; l’Anpac negava già allora che un comandante pilota potesse mai arrivare a 240 mila euro annui, ma in ogni caso la società Cai di Roberto Colaninno ha fatto una rivoluzione, non solo tagliando gli stipendi ma anche legandoli di più alle ore effettivamente volate: così adesso in media un 30% della retribuzione di un pilota di Alitalia è dovuto al fisso, mentre il 70% è fatto di indennità aggiuntive. Recine dell’Anpac ricorda che «quando fu introdotta questa regola l’amministratore delegato Sabelli affermò che Alitalia si era dotata del contratto di lavoro più competitivo d’Europa». E perciò non si parli più di privilegi, è il sottinteso dell’Anpac.
È vero? Senza rispondere direttamente, visto che la materia è un po’ troppo aleatoria, Gregory Alegi, docente di gestione delle compagnie aeree alla Luiss di Roma, sottolinea che «quello che è successo in Alitalia si lega a una tendenza mondiale, cioè ad avvicinare le retribuzioni di tutti i piloti al modello delle compagnie “low cost”. Lì si arriva a una proporzione 20%-80%». Non è detto, aggiunge Alegi, che nell’Alitalia targata Etihad si facciano altri passi in quella direzione, «ma di certo non si torna indietro. Perché questa struttura degli stipendi garantisce alle compagnie aeree la massima flessibilità dei costi. Ma dal punto di vista dei piloti il sistema funziona soltanto finché si vola molto. Quando invece le rotte o le frequenze vengono tagliate, le buste paga si impoveriscono. E questo succede senza che i piloti abbiano voce in capitolo sulle decisioni delle compagnie». Un doppio colpo per una categoria a cui si chiede di firmare un contratto unico nazionale.
Nell’immediato i piloti lamentano anche di dover pagare (assieme agli assistenti di volo) 21 dei 31 milioni di risparmi in 6 mesi chiesti da Alitalia.
L’Anpac solleva anche altri problemi. Alitalia più AirOne avevano circa 2500 piloti, mentre l’attuale Alitalia-Cai ne ha 1620 (quasi 400, tutti ex Alitalia, sono ancora in mobilità). Danilo Recine rivendica che «facciamo fino a 13 giorni di solidarietà al mese». Adesso il piano degli esuberi prevede 230 piloti in meno (anche se questo punto non è chiaro) con l’assunzione ad Abu Dhabi come ammortizzatore. Perciò i piloti non ci stanno a essere descritti come privilegiati.