Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  luglio 17 Giovedì calendario

L’IMPORTANZA DI ESSERE IL VERO DORIAN GRAY

Il manoscritto originale de Il ritratto di Dorian Gray, quello spedito da Wilde al direttore del Lippincott’s
Monthly Magazine , è arrivato in italiano per la prima volta in un Paperback Mondadori (pagg. 219, euro 12), nella traduzione di Michele Piumini e con la curatela di Nicholas Frankel. Quello che vi si legge è molto diverso, molto più breve, incisivo e libero del Dorian Gray finora divulgato. Questo perché il direttore del Lippincott’s riconobbe, negli elementi omoerotici del manoscritto, un pericolo per l’Inghilterra moralista del 1890.
E li emendò di suo pugno senza sottoporre le modifiche a Wilde. In seguito, prima della pubblicazione in volume per Ward – Lock – and Co., Wilde dovette aggiungere, su richiesta dell’editore, una lunga parte melodrammatica che stemperasse ulteriormente ciò che rimaneva del testo autentico. Il manoscritto originale “grida” le intenzioni del suo Autore in quella frase detta parlando del personaggio Dorian Gray: «È come vorrei essere — in altri tempi, forse”, lì dove Wilde rivendica per la sua vita e la sua opera la stessa cosa, cioè libertà di espressione e di esistenza. Che poi è uno dei campi di indagine dell’etica, e a cui fu risposto con un fuoco incrociato di editing, correzioni, paletti editoriali, e infine carte bollate e atti giudiziari. Già aveva tentato, proprio Wilde, nel saggio L’anima dell’uomo sotto il socialismo , di disinnescare il giudizio: «Non esistono libri morali o immorali. I libri sono scritti bene, o scritti male. Questo è tutto». Questo è tutto liquidava superbo, sapendo
di scriverli bene, i libri, e quindi illudendosi di aver costruito una meccanica di interpretazione stilistica che lo metteva al riparo da qualunque attacco. Ma poi concedeva anche un appiglio valevole pure per chi i libri non li scrive bene: «Sono affatto incapace di comprendere come qualsiasi opera d’arte possa essere criticata da un punto di vista morale. La sfera dell’arte e la sfera dell’etica sono assolutamente distinte e separate».
Chi invece aveva mischiato l’etica e l’estetica, era stata quella poetessa Saffo che venendo dall’isola di Lesbo lascerà traccia feconda della propria omosessualità per sempre nell’aggettivo lesbica e nel sintagma amore saffico. Tempi in cui non era pericoloso far incontrare etica ed estetica: si guardavano con rispetto, e Wilde lo sapeva bene, se il nome Dorian che regala al suo alter ego ricorda, come intende il critico Nicholas Frankel, il periodo dorico. È risaputo che invece nessun riparo estetico bastò a Wilde per evitare i due anni di lavori forzati, dopo la condanna per omossessualità dichiarata, che lo distrussero in corpo e spirito: l’avvocato della Corona usò, a suffragare le sue tesi accusatorie, proprio passi del Dorian Gray.
Nell’agosto del 1890, due mesi dopo la pubblicazione del romanzo sul Lippincott’s, Wilde aveva contato duecentosedici stroncature. Le critiche sollevate erano tutte di carattere morale: «Insensibilità e lordura» sul Daily Chronicle ; «perché grufolare nei letamai? » sullo Scots Observer; «non essendo incuriositi dallo sterco (…) non ci proponiamo di analizzare Il ritratto di Dorian Gray » sulla St. James’s Gazette . Uno dei tratti più inquietanti è che tutte queste contumelie venivano pubblicate senza firma. Da una lato c’era Oscar Wilde, l’Autore di commedie che annoverava anche il Principe di Galles nel suo pubblico, e che toglieva i sonni per l’invidia a Henry James, e dall’altra c’erano gli anonimi.
La contrapposizione tra il singolo noto e la massa anonima e livorosa, diventa un elemento cruciale nell’esemplare esposizione che delle vite gay fa Colm Toibin in Amore in un tempo oscuro ( Bompiani, pagg. 229, euro 11) lì dove il tempo oscuro è l’epoca vittoriana che manda ai lavori forzati Wilde, però anche quella di una sorta di revisionismo su Thomas Mann che «esce di scena inseguito dai biografi»; o quella di Pedro Almodóvar che per essere assunto presso la società telefonica statale deve nascondere i lunghi capelli usando dell’olio e raccogliendoli in uno chignon; o il trafiletto con cui nel 1968 il Time cerca di fare i conti con il successo di Francis Bacon: «Naturalmente non fa mistero del fatto che il tema ossessivo dei suoi dipinti è la disperazione omosessuale. Sostiene, tuttavia, che la disperazione che ha osservato tra gli eterosessuali consiste più o meno nella stessa cosa».
I giganti dell’arte europea diventano vittime, costretti a negare o a difendersi, o a fuggire. E il fatto che di loro si
parli e dei loro persecutori non si conosca neppure il nome è consolazione davvero piccola perché il dolore non ha resi, è vuoto a perdere. Così la lettura di ciò che Wilde voleva fosse Il ritratto di Dorian Gray — una storia, sì, e anche la rivendicazione poetica della libertà dell’individuo di sentirsi, essere ed amare ciò che vuole — e la lettura delle biografie di Toibin, si integrano e sostengono a vicenda, e raccontano alla fine la stessa cosa: che quando gli artisti sono liberi e talentuosi assieme, quella libertà e quella bellezza restano assieme nel tempo.