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 2014  luglio 17 Giovedì calendario

«COMPRAVENDITA? HO AVUTO TARDI LE PROVE»

È il giorno di Romano Prodi, al processo sulla compravendita di senatori che vede Silvio Berlusconi imputato di corruzione con Valter Lavitola. Il Professore viene sentito come testimone dai giudici di Napoli sulle manovre che, durante la travagliata legislatura 2006-2008 avrebbero visto l’ex Cavaliere tramare per indebolire il governo di centrosinistra appeso al filo di una maggioranza «risicata» al Senato. «Le chiacchiere erano quotidiane, ma non fui informato di fatti specifici, altrimenti sarei ancora presidente del Consiglio», spiega Prodi. E aggiunge: «Ne ho avuto contezza solo quando ho ricevuto una lettera inviatami il 12 giugno 2013 dal senatore Sergio De Gregorio», vale a dire l’ex parlamentare eletto nel 2006 con Idv, poi passato con il centrodestra, che da alcuni mesi aveva iniziato a collaborare con i magistrati riferendo di averi ricevuto 3 milioni da Berlusconi attraverso Lavitola per cambiare
schieramento.
Nella missiva, De Gregorio (che ha poi patteggiato la pena per la corruzione) chiede perdono a Prodi per aver tradito il mandato parlamentare «offuscato da logiche di potere e di denaro» e per aver posto in essere «comportamenti e azioni politiche completamente “manovrate” da un “suggeritore”, Silvio Berlusconi». Durante la sua deposizione, Prodi ha letto alcuni passaggi della lettera, ora acquisita agli atti dal collegio presieduto da Serena Corleto. L’ex presidente del Consiglio, rispondendo alle domande dei pm Vincenzo Piscitelli e Fabrizio Vanorio, titolari del fascicolo con il pm Henry John Woodcock e poi degli avvocati di Berlusconi Niccolò Ghedini e Michele Cerabona, ha ribadito di essere rimasto sorpreso dalla missiva di De Gregorio, «sono caduto dalle nuvole », e che, se fosse stato informato prima in maniera dettagliata di casi analoghi, sarebbe intervenuto perché, ha rimarcato, «ci stavo volentieri al governo». Secondo il vice coordinatore campano di Forza Italia, Amedeo Laboccetta, le affermazioni di Prodi vanno interpretate come un «indiscutibile punto a favore della difesa: non hanno portato alcuna prova né indizio a sostegno della tesi accusatoria perché, semplicemente, non esistono indizi né prove». Ma dagli ambienti vicini all’ex premier si replica che il Professore «si è limitato a rispondere alle domande, riferendo ciò che sapeva» e consegnando personalmente al Tribunale la lettera di perdono di De Gregorio e la sua risposta.
Prodi ha ricordato che il suo governo andò in crisi in un momento in una fase che appariva «di tranquillità. Era passata la Finanziaria dopo un mese di dicembre
durissimo. C’era maggiore coesione». A una domanda della difesa di Lavitola sulle richieste dell’allora senatore Luigi Pallaro per votare la Finanziaria, Prodi ha risposto: «Io non trattavo voti, non so delle trattative parlamentari». All’avvocato Ghedini, che gli chiedeva delle posizioni assunte dalle minoranze linguistiche altoatesine e dell’Udeur di Mastella, Prodi ha spiegato: «L’appoggio al governo è sempre condizionato a un rapporto politico. Gli altoatesini, ad esempio, pur essendo più di centrodestra, si fidavano di me e portavano avanti le richieste per il loro territorio. La politica si fa così». Prodi inoltre ha «escluso assolutamente», rispondendo all’avvocato Cerabona, di essere intervenuto con il presidente del consiglio di sicurezza iraniano per bloccare la liberazione di due militari israeliani tenuti in ostaggio da Hezbollah per il cui rilascio De Gregorio ha sostenuto di essersi interessato assieme all’allora capo del Sismi Niccolò Pollari.