VARIE 16/7/2014, 16 luglio 2014
APPUNTI PER GAZZETTA - LA MOGHERINI CANDIDATA AL MINISTERO DEGLI ESTERI EUROPEO
REPUBBLICA.IT
BRUXELLES - Accordo al Pse per chiedere sia la presidenza del Consiglio Ue, per la quale i socialisti candidano la danese Helle Thorning Schmidt, sia Lady Pesc, con la candidata italiana Federica Mogherini. Lo ha detto il capogruppo S&D Gianni Pittella, spiegando che, di contro, al Ppe andrebbero sia la presidenza dell’Eurogruppo sia la presidenza della Commissione.
Al via, dunque, la giornata cruciale per dipanare la complicata matassa delle nomine ai vertici delle istituzioni Ue, a partire dalla scelta di chi guiderà la politica estera dopo lady Ashton (e l’idea che va per la maggiore vorrebbe una donna al suo posto). All’indomani della storica elezione di Jean-Claude Juncker (in quota Ppe) alla guida della Commissione (video), l’attenzione si sposta da Strasburgo a Bruxelles dove a tener banco al summit Ue sarà il negoziato sui candidati per le poltrone più importanti, tra cui quello che coinvolge il ministro degli Esteri italiano - a capo della Farnesina da appena 5 mesi - come futura Mrs Pesc.
All’Europarlamento Juncker ha già disegnato un profilo del ’ministro’ degli Esteri Ue diverso da quello della Mogherini (ponendo molta enfasi, invece, sul commissario per l’Immigrazione). Ma a dare il placet alla ministra italiana è il presidente dell’Europarlamento, Martin Schulz (Pse): "Penso che sia una eccellente candidata, ha un ottimo profilo ed ha ancora molte chances. Mi hanno molto stupito le critiche - ha aggiunto - ieri dicevano che era troppo giovane, io la conosco da anni: ha una buona esperienza sui temi internazionali ed è il ministro degli Esteri di un grande Paese industrializzato. La nostra posizione è conosciuta da tempo: vogliamo sia il Consiglio sia Mrs Pesc. Prima, però, il Ppe deve accettare la divisione dei posti" (nella foto sotto, Schulz a Bruxelles con la Thorning Schmidt).
Ue, summit su nomine: Pse chiede presidenza Consiglio e Mogherini a Esteri
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Intanto, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi e il presidente francese, Francois Hollande, non hanno presenziato al pre-vertice del Pse. I due leader hanno scelto di non partecipare al vertice dei socialisti europei per continuare nei contatti bilaterali in vista del Consiglio straordinario dei capi di Stato e di Governo della Ue che cercherà di definire alcuni degli incarichi di peso della Ue. L’inizio del vertice è già slittato di due ore, alle 20 di questa sera per permettere nuove consultazioni fra i leader.
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La partita su cui il governo italiano è chiamato a concentrare i propri sforzi è, infatti, quella sull’Alto Rappresentante: una prova di forza da vincere ad ogni costo in modo da piegare le obiezioni emerse da circa 10-11 Paesi (non solo dell’Est) secondo cui la titolare della Farnesina, sarebbe ancora inesperta e troppo debole con Mosca (lo dicono Polonia, Bulgaria e i Paesi baltici, ma anche Slovacchia, Slovenia, Ungheria, Romania e Repubblica Ceca). Renzi, che non intende mollare, è chiamato a fare la voce grossa non solo perché presiede il semestre, ma anche come leader di quel Pd che ha conquistato il 40,8% alle ultime europee, un trionfo che a fronte della debacle dei socialisti francesi e spagnoli ha di fatto modificato radicalmente gli equilibri interni ai progressisti europei.
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A voler assicurare che la candidatura della Mogherini - almeno per quanto riguarda la componente italiana dentro al Ppe - non è in discussione è il ministro dell’Interno Angelino Alfano (Ncd), che arrivando al pre-vertice del Ppe a Bruxelles sottolinea: "L’Italia è in grado di guidare la politica estera, e quindi ogni veto per l’Italia è inaccettabile". Alla proposta di nomina del ministro degli Esteri, infatti, c’è un nutrito fronte contrario di esponenti del Partito popolare europeo, ma Alfano insiste: "Non accettiamo stop, questa è la posizione che sosterrò qui a Bruxelles. Il centrosinistra ha votato a favore di Juncker per la Commissione europea, e quindi adesso noi Popolari dobbiamo essere pronti a votare qualcuno dei socialisti". Al termine del pre-vertice, Alfano dichiarerà: "Non c’è veto sull’Italia alla guida della politica estera europea".
Contro la Mogherini, però, si schiera la Germania: "Sinceramente - dice il tedesco Elmar Brok (Ppe), presidente della commissione Affari esteri del Parlamento europeo e tra i consiglieri di politica estera del cancelliere tedesco Angela Merkel - ritengo che ci sia bisogno di qualcuno che abbia buona competenza e buona conoscenza in politica estera". Non solo. A chi gli chiede nomi alternativi alla candidata italiana, Brok fa i nomi di Elisabeth Guigou (per la Francia), Kristalina Georgieva (Bulgaria) e Ratoslaw Sikorski (Polonia). Brok poi aggiunge che, rispetto alla Mogherini, "solo il ministro degli Esteri dell’Ungheria ha meno competenze" per fare l’Alto Rappresentante.
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Una bocciatura della Mogherini, inoltre, arriva dal quotidiano Usa Wall Street Journal (Wsj), che oggi scrive che tale "prospettiva" non è una delle molte cose "benvenute" del premierato di Renzi. La firma all’articolo pubblicato nella pagina dei commenti è dell’editorialista Sohrab Ahmari. Sul suo blog, osserva Ahmari, la Mogherini parla del suo amore per i viaggi, il che denota una "apertura" mentale, "qualità meritevole in un diplomatico. Solo che oggi la politica estera europea oltre all’apertura richiede una ferma leadership". Su questo fronte, quella del ministro degli Esteri, 41 anni, "sembra essere una scelta problematica". Alla Mogherini il Wsj rimprovera anche di essere troppo morbida con la Russia e pro South Stream.
Sulla stampa di mezza Europa, poi, si continua a parlare dello ’sbarramento’ del governo italiano alla soluzione Enrico Letta come presidente dell’Unione europea (lo stesso Paese non può ’coprire’ entrambe le cariche). E a Bruxelles molti osservatori e diplomatici pensano che una candidatura Letta passerebbe liscissima, ma il sospetto di Palazzo Chigi è che ci possa essere una manovra dedicata a favorire proprio l’ex premier.
Ma a pomeriggio inoltrato, a sottolineare l’incertezza totale sulle candidature è la cancelliera tedesca Merkel, che al suo ingresso a Palazzo Justus Lipsius - dove fra un paio d’ore comincerà la riunione dei capi di Stato e di governo - annuncia: "Dubito che decideremo oggi sul pacchetto di nomine per i vertici dell’Unione europea". Per ora viene dato per scontato che ci sarà bisogno di un’altra riunione dei Ventotto fra una decina di giorni.
REPUBBLICA.IT
Angela, se Federica Mogherini è troppo giovane, sappi che per me l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione è Massimo D’Alema". È un pomeriggio di fuoco a Palazzo Chigi. Le linee sono letteralmente roventi. Dopo che un fronte di 11 Paesi, prevalentemente dell’Est, si è coagulato contro la candidatura della Mogherini a "ministro degli Esteri" dell’Unione, Matteo Renzi sente Angela Merkel, Herman Van Rompuy e Francois Hollande.
A tutti il premier fa lo stesso discorso: "L’accordo è che alla famiglia socialista spetta l’Alto rappresentante e che all’interno della famiglia socialista sarà l’Italia ad avere la prima scelta. Dunque tocca a noi e per me ci sarà una Lady Pesc, Federica Mogherini". Ma dopo il no all’attuale ministro italiano, il premier incassa i dubbi anche su D’Alema. Ma non intende mollare. Vuole giocare la partita fino in fondo.
Renzi questa sera sarà a Bruxelles alla cena con gli altri leader che devono decidere le ultime nomine europee dopo che ieri Strasburgo ha dato la fiducia a Jean Claude Juncker, nuovo presidente della Commissione Ue che entrerà in carica a novembre.
Ma la partita italiana è in salita. Fino a cinque giorni fa tutte le Cancellerie concordavano che la Mogherini sarebbe stata nominata a capo della diplomazia europea. Poi le acque si sono rapidamente increspate.
Tanto che Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo uscente incaricato dai leader di trovare la quadra sulle nomine, ha iniziato a manifestare a Roma le proprie perplessità: "La Mogherini - era il messaggio recapitato tramite canali diplomatici - non ha abbastanza esperienza. Temo che non passerà". Facendo sapere che il modo per uscire dell’impasse era quello di candidare Enrico Letta alla presidenza del Consiglio europeo, o a Mr Pesc. "Tutti lo accetterebbero all’istante". Ma da Roma è arrivato un "no" secco.
A quel punto, si racconta su regia della Polonia, il fronte anti-Mogherini si è organizzato arrivando a contare 11 paesi, anche se ora Varsavia si sta allontanando da questa linea. Prevalentemente dell’Europa orientale, ma con le spalle coperte da Londra e da alcuni ambienti di Berlino. Tanto che ieri Elmar Brock, luogotenente di Angela Merkel a
Strasburgo, ripeteva ai colleghi italiani: "Dopo la Ashton serve una persona che abbia esperienza e network internazionale". Il fronte del no accusa poi la candidata italiana di non avere il curriculum per trasformare l’evanescente figura del ministro degli Esteri Ue in qualcosa di incisivo.
E le capitali dell’Est le rinfacciano posizioni troppo vicine alla Russia di Vladimir Putin, dopo la crisi Ucraina il nemico numero uno delle Cancellerie dell’Est spaventate dal neo imperialismo russo e favorevoli a inasprire le sanzioni contro Mosca. Alla Mogherini viene rimproverato di avere rassicurato Putin su South Stream, la pipeline di fatto bloccata dall’Europa dopo la crisi Ucraina per diminuire il potere di ricatto sul gas con il quale il Cremlino sfida l’Unione.
C’è un episodio che spiega plasticamente quanto la partita per l’Italia sarà difficile: ieri la bulgara Kristalina Georgieva, attuale commissario Ue in quota Ppe e competitor della Mogherini, non poteva circolare per i corridoi del Parlamento europeo senza che colleghi ed europarlamentari la fermassero per farle le congratulazioni per la carica che, pronosticavano, le sarà assegnata questa sera. Uno smacco per l’Italia, visto che Van Rompuy è intenzionato a decidere solo Mr Pesc, lasciando le altre nomine, il presidente del Consiglio europeo e quello dell’Eurogruppo, a un altro vertice a fine mese. Dunque Roma rischierebbe di uscire a mani vuote dopo avere dato per fatta la nomina della Mogherini.
Renzi non si rassegna, come testimoniava ieri il sottosegretario Sandro Gozi: "Se ci saranno obiezioni anche l’Alto rappresentante, come già Juncker, sarà designato a maggioranza". Insomma, l’Italia è pronta a sfidare il blocco dell’Est al voto all’interno del Consiglio europeo, come Cameron fece per bloccare Juncker rimanendo in compagnia del solo ultranazionalista ungherese Orban. Ma superare lo scoglio non di due, ma di dieci paesi, può rivelarsi ancora più difficile.
Renzi si prepara alla battaglia, conta sul lavoro di network che ha fatto nelle ultime settimane. "Ci dicono che abbiamo un feeling con la Russia? Ma quando mai!", commentava ieri il premier con i suoi. "La Lituania (unico Paese ad essere uscito allo scoperto contro la Mogherini, ndr) dice di no? Bene, ne prendo atto". E ancora, "C’è un problema con l’Italia? C’è un problema con il Partito socialista europeo? Mi dicono di no. Se il problema è con la Mogherini, parliamone. Se dicono che è troppo giovane parliamone".
Ma a Palazzo Chigi c’è il sospetto che la manovra contro la candidata di Renzi sia stata orchestrata dai partner per portare Enrico Letta a Bruxelles. E su questo il premier è categorico, non vuole che siano gli altri a scegliere il futuro uomo italiano in Europa: "Per me ci sono solo la Mogherini e D’Alema".
Discorso che Renzi ha fatto sia alla Merkel che a Van Rompuy. Ma entrambi hanno sonoramente bocciato il nome di D’Alema, che in molte Cancellerie, e anche Oltreoceano, non è apprezzato per le posizioni sul Medio Oriente. Se domani le posizioni rimarranno bloccate, Renzi è pronto a rinunciare a Mr Pesc solo in cambio di qualcosa di altrettanto importante. Non il commissario all’Economia, visto che l’Italia ha già Draghi alla Bce e che c’è un accordo per darlo al socialista francese Moscovici: "E lui va benissimo, la Francia farà qualsiasi cosa per la flessibilità sui conti e la crescita ", è la valutazione del governo. I partner dovranno offrire qualcosa di grosso, e gradito al premier, per evitare di rimanere tra le secche.
Renzi questa sera si presenterà al summit così: "Dovete dire no all’Italia e no al Pse. Ma sappiate che dentro al Pse il Pd è il partito più forte e che tutti sono d’accordo a darci l’Alto rappresentante. Perché non va bene la nostra candidata? Perché non va bene la candidata dei socialisti? Ce lo devono spiegare". Ecco il guanto di sfida che lancerà ai colleghi, forte di una convinzione: "Perché la Merkel e gli altri - è il ragionamento che gira a Palazzo Chigi - devono mettere un dito nell’occhio all’Italia per fare un favore alla Bulgaria?".
Tutto questo il premier lo ha già detto ai partner che ha sentito al telefono nelle ultime ore, a Van Rompuy ha ricordato che "l’Italia è un Paese fondatore dell’Unione e ogni anno versa 24 miliardi al bilancio europeo". E di fronte alle perplessità del chairman dei vertici Ue, ha salutato: "Herman, ci risentiamo domani mattina (oggi, ndr)". Consegnando poi ai suoi un messaggio di battaglia: "Non so se la cena di Bruxelles si chiuderà con una decisione". Di certo sarà una lunga notte.
Angela, se Federica Mogherini è troppo giovane, sappi che per me l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione è Massimo D’Alema". È un pomeriggio di fuoco a Palazzo Chigi. Le linee sono letteralmente roventi. Dopo che un fronte di 11 Paesi, prevalentemente dell’Est, si è coagulato contro la candidatura della Mogherini a "ministro degli Esteri" dell’Unione, Matteo Renzi sente Angela Merkel, Herman Van Rompuy e Francois Hollande.
A tutti il premier fa lo stesso discorso: "L’accordo è che alla famiglia socialista spetta l’Alto rappresentante e che all’interno della famiglia socialista sarà l’Italia ad avere la prima scelta. Dunque tocca a noi e per me ci sarà una Lady Pesc, Federica Mogherini". Ma dopo il no all’attuale ministro italiano, il premier incassa i dubbi anche su D’Alema. Ma non intende mollare. Vuole giocare la partita fino in fondo.
Renzi questa sera sarà a Bruxelles alla cena con gli altri leader che devono decidere le ultime nomine europee dopo che ieri Strasburgo ha dato la fiducia a Jean Claude Juncker, nuovo presidente della Commissione Ue che entrerà in carica a novembre.
Ma la partita italiana è in salita. Fino a cinque giorni fa tutte le Cancellerie concordavano che la Mogherini sarebbe stata nominata a capo della diplomazia europea. Poi le acque si sono rapidamente increspate.
Tanto che Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo uscente incaricato dai leader di trovare la quadra sulle nomine, ha iniziato a manifestare a Roma le proprie perplessità: "La Mogherini - era il messaggio recapitato tramite canali diplomatici - non ha abbastanza esperienza. Temo che non passerà". Facendo sapere che il modo per uscire dell’impasse era quello di candidare Enrico Letta alla presidenza del Consiglio europeo, o a Mr Pesc. "Tutti lo accetterebbero all’istante". Ma da Roma è arrivato un "no" secco.
A quel punto, si racconta su regia della Polonia, il fronte anti-Mogherini si è organizzato arrivando a contare 11 paesi, anche se ora Varsavia si sta allontanando da questa linea. Prevalentemente dell’Europa orientale, ma con le spalle coperte da Londra e da alcuni ambienti di Berlino. Tanto che ieri Elmar Brock, luogotenente di Angela Merkel a
Strasburgo, ripeteva ai colleghi italiani: "Dopo la Ashton serve una persona che abbia esperienza e network internazionale". Il fronte del no accusa poi la candidata italiana di non avere il curriculum per trasformare l’evanescente figura del ministro degli Esteri Ue in qualcosa di incisivo.
E le capitali dell’Est le rinfacciano posizioni troppo vicine alla Russia di Vladimir Putin, dopo la crisi Ucraina il nemico numero uno delle Cancellerie dell’Est spaventate dal neo imperialismo russo e favorevoli a inasprire le sanzioni contro Mosca. Alla Mogherini viene rimproverato di avere rassicurato Putin su South Stream, la pipeline di fatto bloccata dall’Europa dopo la crisi Ucraina per diminuire il potere di ricatto sul gas con il quale il Cremlino sfida l’Unione.
C’è un episodio che spiega plasticamente quanto la partita per l’Italia sarà difficile: ieri la bulgara Kristalina Georgieva, attuale commissario Ue in quota Ppe e competitor della Mogherini, non poteva circolare per i corridoi del Parlamento europeo senza che colleghi ed europarlamentari la fermassero per farle le congratulazioni per la carica che, pronosticavano, le sarà assegnata questa sera. Uno smacco per l’Italia, visto che Van Rompuy è intenzionato a decidere solo Mr Pesc, lasciando le altre nomine, il presidente del Consiglio europeo e quello dell’Eurogruppo, a un altro vertice a fine mese. Dunque Roma rischierebbe di uscire a mani vuote dopo avere dato per fatta la nomina della Mogherini.
Renzi non si rassegna, come testimoniava ieri il sottosegretario Sandro Gozi: "Se ci saranno obiezioni anche l’Alto rappresentante, come già Juncker, sarà designato a maggioranza". Insomma, l’Italia è pronta a sfidare il blocco dell’Est al voto all’interno del Consiglio europeo, come Cameron fece per bloccare Juncker rimanendo in compagnia del solo ultranazionalista ungherese Orban. Ma superare lo scoglio non di due, ma di dieci paesi, può rivelarsi ancora più difficile.
Renzi si prepara alla battaglia, conta sul lavoro di network che ha fatto nelle ultime settimane. "Ci dicono che abbiamo un feeling con la Russia? Ma quando mai!", commentava ieri il premier con i suoi. "La Lituania (unico Paese ad essere uscito allo scoperto contro la Mogherini, ndr) dice di no? Bene, ne prendo atto". E ancora, "C’è un problema con l’Italia? C’è un problema con il Partito socialista europeo? Mi dicono di no. Se il problema è con la Mogherini, parliamone. Se dicono che è troppo giovane parliamone".
Ma a Palazzo Chigi c’è il sospetto che la manovra contro la candidata di Renzi sia stata orchestrata dai partner per portare Enrico Letta a Bruxelles. E su questo il premier è categorico, non vuole che siano gli altri a scegliere il futuro uomo italiano in Europa: "Per me ci sono solo la Mogherini e D’Alema".
Discorso che Renzi ha fatto sia alla Merkel che a Van Rompuy. Ma entrambi hanno sonoramente bocciato il nome di D’Alema, che in molte Cancellerie, e anche Oltreoceano, non è apprezzato per le posizioni sul Medio Oriente. Se domani le posizioni rimarranno bloccate, Renzi è pronto a rinunciare a Mr Pesc solo in cambio di qualcosa di altrettanto importante. Non il commissario all’Economia, visto che l’Italia ha già Draghi alla Bce e che c’è un accordo per darlo al socialista francese Moscovici: "E lui va benissimo, la Francia farà qualsiasi cosa per la flessibilità sui conti e la crescita ", è la valutazione del governo. I partner dovranno offrire qualcosa di grosso, e gradito al premier, per evitare di rimanere tra le secche.
Renzi questa sera si presenterà al summit così: "Dovete dire no all’Italia e no al Pse. Ma sappiate che dentro al Pse il Pd è il partito più forte e che tutti sono d’accordo a darci l’Alto rappresentante. Perché non va bene la nostra candidata? Perché non va bene la candidata dei socialisti? Ce lo devono spiegare". Ecco il guanto di sfida che lancerà ai colleghi, forte di una convinzione: "Perché la Merkel e gli altri - è il ragionamento che gira a Palazzo Chigi - devono mettere un dito nell’occhio all’Italia per fare un favore alla Bulgaria?".
Tutto questo il premier lo ha già detto ai partner che ha sentito al telefono nelle ultime ore, a Van Rompuy ha ricordato che "l’Italia è un Paese fondatore dell’Unione e ogni anno versa 24 miliardi al bilancio europeo". E di fronte alle perplessità del chairman dei vertici Ue, ha salutato: "Herman, ci risentiamo domani mattina (oggi, ndr)". Consegnando poi ai suoi un messaggio di battaglia: "Non so se la cena di Bruxelles si chiuderà con una decisione". Di certo sarà una lunga notte.
PEZZO DI RICCARDO FRANCO LEVI SUL CDS DI STAMATTINA
Eletto ieri con i voti della larga maggioranza dei parlamentari europei quale nuovo presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker deve ora costruire la sua squadra: un commissario per ciascuno dei Paesi membri dell’Unione Europea, ventotto uomini e donne, per cercare di realizzare l’ambizioso programma illustrato all’assemblea di Strasburgo. I suoi compagni di viaggio Juncker non li potrà scegliere da solo, avendo bisogno, Paese per Paese, dell’intesa con i governi sul nome della persona prescelta e sull’incarico a lui o lei affidato.
Sarà un gioco ad incastro complicato, al quale, dopo i tanti colloqui informali già avviati in questi giorni, si dedicheranno a partire da stasera a Bruxelles, in una riunione del Consiglio europeo, i capi di Stato e di governo dei Paesi membri.
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi non ha fatto mistero di puntare ad ottenere per il ministro degli Esteri Federica Mogherini la nomina ad Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari esteri e la politica di sicurezza.
A questo stadio del negoziato, che è tutt’altro che certo che possa portare ad un risultato finale già nella riunione di questa sera e che dovrà comprendere anche la nomina del prossimo presidente del Consiglio europeo, è difficile indovinare quale sarà la composizione della futura Commissione europea, tanto più che essa sarà comunque soggetta all’approvazione del Parlamento europeo.
Prima ancora di sapere se il governo italiano avrà ottenuto quanto chiede è, dunque, opportuno chiedersi se l’obiettivo scelto sia quello giusto. Se, cioè, il ruolo di Alto Rappresentante sia davvero quello che meglio corrisponde all’ambizione di contribuire a fare finalmente dell’Europa un attore di primo piano sulla scena internazionale e alla volontà di far pesare, grazie al ruolo di vicepresidente della Commissione che l’incarico di Alto Rappresentante porta con sé, la voce dell’Italia attorno ad un tavolo decisivo per la politica europea.
Si dice che l’allora segretario di Stato americano Henry Kissinger si domandasse «qual è il numero di telefono dell’Europa?». Battute a parte, è un dato ormai acquisito che quando si tratta di politica internazionale il peso dell’Europa unita sia quasi irrilevante.
Catherine Ashton, l’attuale Alto Rappresentante, è sostanzialmente esente da colpe come non ne aveva il suo predecessore, lo spagnolo Javier Solana, pur dotato di una ben più forte personalità e già segretario generale della Nato.
Il fatto è che l’Unione Europea in quanto tale non ha vere competenze nella politica internazionale, di fatto rimasta territorio gelosamente presidiato dai capi di Stato e di governo e dai loro ministri degli Esteri .
Sono altri i campi nei quali l’Europa, con poteri e strumenti questi sì incisivi, fa sentire e pesare la sua voce nel mondo.
Il Commercio internazionale, settore nel quale la Commissione rappresenta direttamente e in modo collettivo gli interessi degli Stati membri, ragione che spiega largamente l’autorità e il prestigio di cui hanno goduto in passato commissari come il francese Pascal Lamy, non a caso nominato poi direttore generale dell’Organizzazione mondiale per il commercio, o il britannico Leon Brittan.
La tutela della Concorrenza, ambito nel quale il commissario competente è riconosciuto (e temuto) in tutto il mondo per il suo potere. In Europa così come negli Stati Uniti si ricordano ancora gli scontri vittoriosi con la Microsoft di Bill Gates o con le casse di risparmio tedesche dell’allora commissario alla Concorrenza Mario Monti (che da lì derivò il soprannome di “superMario”), mentre fu un suo predecessore, il belga Karel Van Miert, in accordo con l’allora ministro degli Esteri Beniamino Andreatta, a spingere l’Italia alle privatizzazione di Iri ed Eni.
Accanto a commercio internazionale e a concorrenza, non meno rilevanti per condizionare le relazioni internazionali e le grandi scelte interne all’Europa sono, poi, i settori e le politiche dell’energia (al fondo, di cosa si discute, se non di gas e petrolio, quando si parla di rapporti con la Russia?), dell’ambiente, dei trasporti, delle nuove tecnologie e, da ultimo ma certo non per ultimo, dell’immigrazione (per la quale il neopresidente Juncker ha annunciato che nominerà un apposito commissario).
L’ambizione e la volontà di far pesare l’Italia in Europa e l’Europa nel mondo sono giuste e condivisibili. Ma attenti a non sbagliare obiettivo.
IL DISCORSO DI JUNCKER
IVO CAIZZI
DAL NOSTRO INVIATO STRASBURGO — L’ex premier lussemburghese Jean-Claude Juncker ha ottenuto l’approvazione dell’Europarlamento e dal novembre prossimo potrà insediarsi alla presidenza della Commissione europea. La maggioranza composta dal suo partito popolare Ppe, i socialdemocratici S&D e gli euroliberali Alde, che contava su 479 seggi, ha tenuto. Juncker è passato nell’aula di Strasburgo con 422 si, 250 no e 57 astenuti/schede nulle (su 729 presenti). Se si aggiungono 10-15 dei 50 verdi, che avevano annunciato il «sì», ha perso una settantina di consensi nel voto segreto. I capi di Stato e di governo avevano dato il via libera con 26 favorevoli e solo Regno Unito e Ungheria contrari.
Decisiva si è rivelata, come per l’elezione del presidente tedesco dell’Europarlamento Martin Schulz (409 voti), l’estensione ai 67 liberali della «grande coalizione» tra Ppe e S&D. Altrimenti non sarebbe stato raggiunto il minimo di 376 «sì». Questo potrebbe complicare lo sviluppo della legislatura perché su alcuni dossier era già difficile conciliare le posizioni del Ppe di centrodestra (che include Forza Italia e Ncd) con quelle di S&D di centrosinistra (che include il Pd). Le rivendicazioni dell’Alde sono attese già nel Consiglio dei capi di governo di stasera a Bruxelles sulle euronomine.
Juncker ha dovuto promettere molte concessioni per ottenere i consensi necessari. Il capogruppo di S&D Gianni Pittella ha annunciato l’appoggio decisivo dei suoi 191 eurodeputati solo poco prima del voto. L’obiettivo era ottenere soprattutto nuove politiche orientate al rilancio della crescita e dell’occupazione, che indicassero una chiara svolta rispetto al passato del lussemburghese alla guida dell’Eurogruppo dei ministri finanziari. In quegli anni (dal 2005 al 2012) era stato promotore del rigore finanziario filo Germania e delle misure di austerità rivelatesi recessive in vari Paesi. La principale promessa è stata «un ambizioso pacchetto di interventi per l’occupazione, la crescita e gli investimenti», pescando nel bilancio dell’Ue e della banca comunitaria Bei, per «mobilitare fino a 300 miliardi di ulteriori investimenti pubblici e privati nell’economia reale nei prossimi tre anni». Dovrebbe iniziare «entro il febbraio 2015».
Nel programma esposto prima del voto, le aperture di Juncker al centrosinistra sono risultate numerose. Si va dalla «reindustralizzazione» al lavoro per i giovani fino al reddito minimo garantito. Molto più prudente e generico è apparso sulla flessibilità nei vincoli Ue sui bilanci. E’ rimasto in linea con il suo Ppe e con il rigore gradito alla cancelliera tedesca Angela Merkel, principale sponsor del lussemburghese fin dall’inizio. «Il patto di Stabilità non lo modificheremo», ha detto Juncker auspicando «riforme strutturali». Pittella ha replicato «noi la votiamo, ma avremmo voluto più chiarezza sulla flessibilità» e ha annunciato verifiche «intransigenti».
L’ex premier lussemburghese ha promesso più donne alla Commissione e ha cercato di compiacere tutte le aree dove poteva raccogliere voti. «Ci ha detto una cosa a noi e agli altri gruppi un’altra — lo ha provocato il leader dei conservatori britannici Syed Kamall, che hanno votato «no» —. Vorremmo che il vero Juncker ci dicesse cosa veramente pensa». L’opposizione più dura è arrivata dai leader euroscettici. «Non credo a una sola parola di quanto ha detto», ha affermato il britannico Nigel Farage del gruppo Efdd (cui aderisce il M5S). La francese Marine Le Pen (con cui è alleata la Lega Nord) ha ricordato che da premier del Lussemburgo «dirigeva un paradiso fiscale». Anche l’estrema sinistra (cui aderisce la Lista Tsipras) ha votato contro.
I. C.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Questione
di poltrone
La Gran Bretagna spera che il neoeletto Juncker non sia troppo risentito con il premier inglese Cameron per gli insulti rivoltigli nelle scorse settimane e che quindi non abbia intenzione di togliere troppe poltrone ai politici britannici
Unione bancaria
La Germania, sempre più impaziente, si attende dal nuovo corso europeo un più forte impulso al varo effettivo dell’Unione bancaria che per il governo tedesco sarebbe la principale risposta alla crisi di fiducia nel settore finanziario
Più investimenti
produttivi
Il Portogallo (così come l’Italia e la Francia) spera che Juncker ignori per quanto possibile l’ultimo monito di Mario Draghi: niente deroghe al patto di Stabilità. Inoltre si aspetta che giochi abilmente sulla tastiera degli investimenti produttivi
Pugno di ferro
con la Russia
La Polonia, e i Paesi baltici, si aspettano da Jean-Claude Juncker un atteggiamento più fermo nei confronti della Russia dopo le pallide mediazioni della britannica Catherine Ashton e della candidata italiana a guidare la politica estera Ue Federica Mogherini
CAIZZI SU MOGHERINI
DAL NOSTRO INVIATO STRASBURGO — Le indiscrezioni sulle tante promesse elargite dal lussemburghese Jean-Claude Juncker del Ppe per ottenere i voti necessari già ipotizzavano un suo freno al ministro degli Esteri Federica Mogherini come prossimo Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dei governi Ue, che ha diritto contemporaneamente alla vicepresidenza della Commissione europea. Una conferma è arrivata dal programma consegnato da Juncker agli eurodeputati, interpretato da molti come la garanzia ad alcuni Paesi (tra cui Polonia, Paesi baltici e secondo alcuni fonti altri sette Stati) di almeno ridiscutere l’accordo tra la cancelliera tedesca Angela Merkel del Ppe, il premier Matteo Renzi di S&D e gli altri principali leader. Questo compromesso collega il «sì» degli eurosocialisti a Juncker per la Commissione europea con il via libera a un loro esponente come ministro degli Esteri Ue.
Il prossimo presidente della Commissione deve dare il suo consenso all’Alto Rappresentante in quanto anche suo vice. Pertanto Juncker ha scritto che vuole una figura non solo «forte», ma anche «esperta», difficile da identificare con la candidata italiana responsabile della Farnesina dal febbraio scorso. In più anticipa l’intenzione di depotenziare il ruolo verso il «basso profilo» accettato finora dalla britannica Catherine Ashton. Juncker scrive di «confidare in altri commissari per affidargli il compito di sostituire l’Alto Rappresentante per il lavoro in Commissione e sulla scena internazionale».
Il Trattato di Lisbona attribuisce al ministro degli Esteri Ue poteri molto ampi. Tra questi c’è la supervisione sul «coordinamento della politica estera con le altre politiche e gli altri servizi della Commissione». In pratica Mogherini, come vice di Juncker, potrebbe intervenire su qualsiasi dossier appellandosi alla rilevanza sulla politica estera (difficile da negare in un organismo composta da 28 Stati).
Il sottosegretario responsabile per le Politiche europee Sandro Gozi, che rappresentava in Aula la presidenza italiana di turno dell’Ue durante il voto su Juncker, ha confermato la decisione del governo di Matteo Renzi di puntare su Mogherini come ministro degli Esteri Ue. Ha escluso che l’Italia possa accettare un ridimensionamento del ruolo e ha richiamato i poteri del «Trattato» specificamente indicati. Ha anche ricordato che l’accordo sul «si» a Juncker è collegato alla nomina della responsabile della Farnesina come Alto Rappresentante. Renzi sarebbe pronto allo scontro davanti a un freno del lussemburghese e dei Paesi dell’Est, fiducioso che le trattative sviluppate con Merkel e altri leader lo vedrebbero vincente in un voto a maggioranza come quello avvenuto proprio per l’ex premier del Granducato.
Per superare le riserve sull’inesperienza e per far coincidere le permanenze a Bruxelles dell’Alto Rappresentante con le decisioni più importanti della Commissione, potrebbe essere organizzato uno staff tecnico di supporto a Mogherini molto «esperto». Lo potrebbe coordinare l’ex ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, designato dal governo come commissario Ue fino a ottobre dopo l’uscita anticipata di Antonio Tajani (eletto eurodeputato di Forza Italia).
Renzi considera la poltrona di ministro degli Esteri Ue all’Italia un successo concreto in Europa, ritenendolo l’obiettivo massimo nelle euronomine perché Mario Draghi al vertice della Bce di fatto esclude un altro italiano dalle presidenze di Consiglio ed Eurogruppo e da commissario per gli Affari economici. Se fallisse l’obiettivo, o se subisse un ruolo depotenziato, uscirebbe sconfitto. Nel summit di stasera la nomina dell’Alto Rappresentante è comunque prevista. Eventuali contrasti tra i leader potrebbero far slittare a un altro summit le presidenze di Consiglio ed Eurogruppo, insieme al commissario per gli Affari economici e al resto del «pacchetto».
OFFEDDU SUL CDS DI STAMANE
Ollie Rehn Finlandese, 52 anni, è considerato «mister Rigore» per il suo sostegno convinto alle politiche di austerità imposte dall’Unione
Pierre Moscovici
Francese, 56 anni, socialista: è stato ministro dell’Economia nei governi guidati da Ayrault e direttore della campagna per Hollande
Jeroen Dijsselbloem
Olandese, 48 anni, laburista. Attualmente è il presidente dell’Eurogruppo. In passato ministro delle Finanze del governo Rutte
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BRUXELLES — Se Ollie era duro, Jyrki ha fama di granito, un ghiacciolo di granito. Quando era primo ministro nel suo Paese, la Finlandia, ha varato misure di austerità per 6,8 miliardi di euro pianificate fino al 2017, pari al 3% del prodotto nazionale lordo. E ha ridotto di 110 milioni i benefici per l’infanzia. Risultato: la Finlandia ha ancora oggi la medaglia del suo «AAA», il rating da «tripla A», assegnatole dall’agenzia Standard & Poor’s, che rischiava di perdere dopo la crisi della Nokia. Non per nulla, già nel 2008, il Financial Times premiava Katainen come il miglior ministro delle Finanze di tutta l’Europa. Ma queste adesso sono Strasburgo e Bruxelles, non Helsinki e neppure Londra, questa è l’Unione Europea. E qui Jyrki Tapani Katainen da Siilinjarvi, 42 anni e un volto un po’ da Harry Potter, dirigente dei boy scout, sposato con due figlie, oggi commissario in pectore della Ue per gli Affari economici e monetari e successore nello stesso posto del connazionale Ollie Rehn, potrebbe — se confermato — trovarsi a fronteggiare situazioni ben più complesse e pesanti.
Negli ultimi anni, Ollie e Jyrki — il primo nella Commissione europea, il secondo al vertice del governo finlandese — si sono guadagnati il soprannome di falchi, falchi finlandesi. Un falchetto come Mark Rutte, il premier olandese, volava spesso al loro fianco cercando di mostrare artigli solo un po’ più limati: ma poi la recessione dell’Aia l’ha convinto a planare dietro la protezione delle dighe, come le candide oche del suo Paese. Sono rimasti in volo solo Ollie e Jyrki, di solito «coperti» dall’aquila tedesca. E ogni tanto, il secondo lanciava un nuovo segnale di austerità, sempre più convinta: prima il taglio di alcuni benefit sociali, poi l’alleggerimento della tassa sulle imprese, poi l’annuncio che certi servizi sanitari sarebbero stati fondati sulla pubblicità, non sulle sovvenzioni statali. Quando già Italia e Francia invocavano la possibilità di far qualche investimento e debito in più, per far ripartire la crescita e creare posti di lavoro, da uno dei tanti vertici Ue arrivò lo stop di Katainen: «Far salire il debito pubblico non è il modo migliore per creare la crescita e gli impieghi sostenibili». Anche per queste parole, oggi, la poltrona di commissario Ue agli Affari economici potrebbe venire assegnata ancora una volta a un finlandese. Niente è ancora deciso, ma in questo senso avrebbe speso una parola importante Angela Merkel, la cancelliera tedesca, preoccupata di avere un argine sicuro contro le invocazioni sempre più febbrili alla flessibilità nei bilanci. Cioè alla possibilità, sotto un presunto sorriso dell’Europa, di non caricare sul deficit pubblico i più importanti investimenti produttivi. Questo chiede l’Italia, questo chiede la Francia. E questo non vogliono dare la cancelliera Merkel («Esistono già dei margini di flessibilità nel patto di Stabilità e di crescita») né Katainen. Cinque anni di mandato sono lunghi, e gli equilibri cifrati di Bruxelles possono trasformare anche un ghiacciolo in un cornetto al cioccolato, se non proprio in una crème caramel. Del resto, gli sforamenti del deficit concessi alla Francia hanno già fatto vedere che i grandi principi possono anche andare in libera uscita. Ma Katainen, ancor prima della decisione, ha chiarito il suo programma davanti alla Commissione affari economici dell’Europarlamento: «Solo il 18% delle raccomandazioni specifiche per Paese emanate dalla Commissione europea viene rispettato. È troppo poco. Tutti i Paesi si impegnino maggiormente per risultati migliori nei prossimi anni». Seduti, ragazzi, niente ricreazione.
Luigi Offeddu
ALBERTTO D’ARGENIO SU REPUBBLICA DI STAMATTINA
ALBERTO D’ARGENIO
ATUTTI
il premier fa lo stesso discorso: «L’accordo è che alla famiglia socialista spetta l’Alto rappresentante e che all’interno della famiglia socialista sarà l’Italia ad avere la prima scelta. Dunque tocca a noi e per me ci sarà una Lady Pesc, Federica Mogherini». Ma dopo il no all’attuale ministro italiano, il premier incassa i dubbi anche su D’Alema. Ma non intende mollare. Vuole giocare la partita fino in
fondo.
Renzi questa sera sarà a Bruxelles alla cena con gli altri leader che devono decidere le ultime nomine europee dopo che ieri Strasburgo ha dato la fiducia a Jean Claude Juncker, nuovo presidente della Commissione Ue che entrerà in carica a novembre.
Ma la partita italiana è in salita. Fino a cinque giorni fa tutte le Cancellerie concordavano che la Mogherini sarebbe stata nominata a capo della diplomazia europea. Poi le acque si sono rapidamente increspate. Tanto che Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo uscente incaricato dai leader di trovare la quadra sulle nomine, ha iniziato a manifestare a Roma le proprie perplessità: «La Mogherini - era il
messaggio recapitato tramite canali diplomatici - non ha abbastanza esperienza. Temo che non passerà». Facendo sapere che il modo per uscire dell’impasse era quello di candidare Enrico Letta alla presidenza del Consiglio europeo, o a Mr Pesc. «Tutti lo accetterebbero all’istante». Ma da Roma è arrivato un “no” secco.
A quel punto, si racconta su regia della Polonia, il fronte anti-Mogherini si è organizzato arrivando a contare 11 paesi, anche se ora Varsavia si sta allontanando da questa linea. Prevalentemente dell’Europa orientale, ma con le spalle coperte da Londra e da alcuni ambienti di Berlino. Tanto che ieri Elmar Brock, luogotenente di Angela Merkel a
Strasburgo, ripeteva ai colleghi italiani: «Dopo la Ashton serve una persona che abbia esperienza e network internazionale». Il fronte del no accusa poi la candidata italiana di non avere il curriculum per trasformare l’evanescente figura del ministro degli Esteri Ue in qualcosa di incisivo. E le capitali dell’Est le rinfacciano posizioni troppo vicine alla Russia di Vladimir Putin, dopo la crisi Ucraina il nemico numero uno delle Cancellerie dell’Est spaventate dal neo imperialismo russo e favorevoli a inasprire le sanzioni contro Mosca. Alla Mogherini viene rimproverato di avere rassicurato Putin su South Stream, la pipeline di fatto bloccata dall’Europa dopo la crisi Ucraina per
diminuire il potere di ricatto sul gas con il quale il Cremlino sfida l’Unione.
C’è un episodio che spiega plasticamente quanto la partita per l’Italia sarà difficile: ieri la bulgara Kristalina Georgieva, attuale commissario Ue in quota Ppe e competitor della Mogherini, non poteva circolare per i corridoi del Parlamento europeo senza che colleghi ed europarlamentari la fermassero per farle le congratulazioni per la carica che, pronosticavano, le sarà assegnata questa sera. Uno smacco per l’Italia, visto che Van Rompuy è intenzionato a decidere solo Mr Pesc, lasciando le altre nomine, il presidente del Consiglio europeo e quello dell’Eurogruppo, a un al-
tro vertice a fine mese. Dunque Roma rischierebbe di uscire a mani vuote dopo avere dato per fatta la nomina della Mogherini.
Renzi non si rassegna, come testimoniava ieri il sottosegretario Sandro Gozi: «Se ci saranno obiezioni anche l’Alto rappresentante, come già Juncker, sarà designato a maggioranza». Insomma, l’Italia è pronta a sfidare il blocco dell’Est al voto all’interno del Consiglio europeo, come Cameron fece per bloccare Juncker rimanendo in compagnia del solo ultranazionalista ungherese Orban. Ma superare lo scoglio non di due, ma di dieci paesi, può rivelarsi ancora più difficile. Renzi si prepara alla battaglia, conta sul lavoro di network che ha fatto nelle ultime settimane. «Ci dicono che abbiamo un feeling con la Russia? Ma quando mai!», commentava ieri il premier con i suoi. «La Lituania (unico Paese ad essere uscito allo scoperto contro la Mogherini, ndr) dice di no? Bene, ne prendo atto». E ancora, «C’è un problema con l’Italia? C’è un problema con il Partito socialista europeo? Mi dicono di no. Se il problema è con la Mogherini, parliamone. Se dicono che è troppo giovane parliamone». Ma a Palazzo Chigi c’è il sospetto che la manovra contro la candidata di Renzi sia stata orchestrata dai partner per portare Enrico Letta a Bruxelles. E su questo il premier è categorico, non vuole che siano gli altri a scegliere il futuro uomo italiano in Europa: «Per me ci sono solo la Mogherini e D’Alema».
Discorso che Renzi ha fatto sia alla Merkel che a Van Rompuy. Ma entrambi hanno sonoramente bocciato il nome di D’Alema, che in molte Cancellerie, e anche Oltreoceano, non è apprezzato
per le posizioni sul Medio Oriente. Se domani le posizioni rimarranno bloccate, Renzi è pronto a rinunciare a Mr Pesc solo in cambio di qualcosa di altrettanto importante. Non il commissario all’Economia, visto che l’Italia ha già Draghi alla Bce e che c’è un accordo per darlo al socialista francese Moscovici: «E lui va benissimo, la Francia farà qualsiasi cosa per la flessibilità sui conti e la crescita », è la valutazione del governo. I partner dovranno offrire qualcosa di grosso, e gradito al premier, per evitare di rimanere tra le secche.
Renzi questa sera si presenterà al summit così: «Dovete dire no all’Italia e no al Pse. Ma sappiate che dentro al Pse il Pd è il partito più forte e che tutti sono d’accordo a darci l’Alto rappresentante. Perché non va bene la nostra candidata? Perché non va bene la candidata dei socialisti? Ce lo devono spiegare». Ecco il guanto di sfida che lancerà ai colleghi, forte di una convinzione: «Perché la Merkel e gli altri - è il ragionamento che gira a Palazzo Chigi - devono mettere un dito nell’occhio all’Italia per fare un favore alla Bulgaria?». Tutto questo il premier lo ha già detto ai partner che ha sentito al telefono nelle ultime ore, a Van Rompuy ha ricordato che «l’Italia è un Paese fondatore dell’Unione e ogni anno versa 24 miliardi al bilancio europeo». E di fronte alle perplessità del chairman dei vertici Ue, ha salutato: «Herman, ci risentiamo domani mattina (oggi, ndr)». Consegnando poi ai suoi un messaggio di battaglia: «Non so se la cena di Bruxelles si chiuderà con una decisione». Di certo sarà una lunga notte.
LE PROMESSE DEL FURBO JUNCKER
NAURIZIO RICCI
UNPIANO
Marshall per l’Europa. Una vecchia volpe, maturata nei palazzi di Bruxelles, non ci ha messo molto a individuare la leva che lo avrebbe trionfalmente proiettato alla presidenza della Commissione europea. La promessa di 300 miliardi di euro di investimenti nei prossimi tre anni in settori vitali come energia, trasporti, banda larga, reindustrializzazione è stata la carta probabilmente più importante per assicurare al popolare Jean Claude Juncker anche il voto dei socialisti nel Parlamento europeo e l’agevole conferma sulla poltrona più importante di Bruxelles. Politicamente, è una svolta importante: dopo cinque anni di crisi e recessione in cui l’Europa ha parlato quasi esclusivamente di tagli, austerità e rigore, le istituzioni europee dichiarano di puntare decisamente sulla crescita e gli investimenti. In concreto, però, la carne al fuoco è assai meno di quel che sembra. Juncker non sarebbe una vecchia volpe se avesse gettato il cuore oltre l’ostacolo. I dettagli del piano sono, non a caso, pochi, ma l’ex premier lussemburghese si è ben guardato dall’urtare le sensibilità tedesche e ha precisato che gli investimenti non andranno a scapito delle rigide regole sulla riduzione di deficit e debiti pubblici. In altre parole, non un euro in più dai bilanci di Berlino, come di Roma o Parigi. La promessa di Juncker è, invece, l’impegno — peraltro non scontato — a rinvigorire e rilanciare
quello che ha trovato nei cassetti della commissione Barroso.
I 300 miliardi di euro — cento l’anno — entro il 2018, possono sembrare, ma non sono una cifra propriamente imponente, per mezzo miliardo di europei. La precedente Commissione aveva quantificato le necessità di investimento nei settori strategici citati da Juncker in 2 mila miliardi di euro entro il 2020. Con la tabella di marcia di Juncker quell’obiettivo appare lontano. Ma anche 300 non sono lì da contare. Dove pensa di trovarli il successore di Delors e Prodi? Probabilmente, circa 80 miliardi sono quelli dei fondi strutturali Ue non ancora erogati e, quindi, tecnicamente ancora in cassa. Altri 180 miliardi di euro sono quelli che dovrebbe, potrebbe, ma ancora non ha messo, in larga misura, sul piatto la Bei, la Banca europea degli investimenti.
Questi fondi sono il risultato della ricapitalizzazione della Bei, decisa ormai due anni fa. Soldi che, attraverso l’effetto leva, possono moltiplicarsi. La Bei si è trovata in mano capitali freschi (veri e contanti, versati dai governi)
per 10 miliardi di euro, ma questo le consente di emettere credibilmente titoli propri sul mercato per almeno 60 miliardi di euro. A loro volta, questi 60 miliardi, distribuiti fra vari progetti, sono in
grado di mobilitare l’interesse di investitori privati, in una misura che gli esperti valutano di tre euro (privati) per ogni euro messo dalla Bei. Il risultato è, appunto, 180 miliardi. E gli ultimi 40 miliardi?
Potrebbero venire dai project bond, lanciati giusto due anni fa, insieme alla ricapitalizzazione della Bei. Niente a che vedere con gli eurobond ed un finanziamento
comunitario del debito. Qui si tratta di incentivare investimenti privati, fornendo garanzie agli investitori. Il primo project bond ha circa un anno di vita: è un investimento da quasi un miliardo e
mezzo di euro, in Spagna, sotto forma di deposito di gas. Come funziona? La Bei si impegna a intervenire per pagare tutti o parte degli interessi, nel caso che il promotore (privato) dell’infrastruttura costruita non sia in grado di far fronte ai suoi obblighi verso chi ha comprato le sue obbligazioni. Oppure, la stessa Bei presta soldi all’impresa costruttrice, ma accettando, in caso di fallimento, di essere pagata solo dopo gli altri investitori. Il progetto pilota lanciato, due anni fa, dalla Bei, prevedeva di impegnare complessivamente 230 milioni di euro, con l’obiettivo di mobilitare investimenti per 4,5 miliardi. Con lo stesso rapporto, battere cassa presso
i governi per dare alla Bei un paio di miliardi di euro in tutto, basterebbe per mobilitare una quarantina di miliardi di investimenti.
Insomma, il piano Marshall di Juncker sembra fatto apposta per
non spaventare i parsimoniosi tedeschi, chiedendo loro al massimo qualche centinaio di milioni. Ma l’ex premier lussemburghese è una vecchia volpe perché a que-
sto notevole risultato ne accoppia un altro, inaspettato, ma altrettanto notevole. Se i project bond decollassero, gli investitori, assai più delle banche, sarebbero assicurazioni, fondi pensione, operatori a lungo termine, private equity. Insomma, una larga fetta di quel sistema bancario-ombra che, in Europa, ha a Londra la sua capitale. E la Londra del suo nemico giurato Cameron sarebbe la maggiore beneficiaria dell’attività finanziaria destinata a girare intorno alle nuove infrastrutture.
Elettrodotti che consentano di unificare
le reti di Paesi diversi e di distribuire l’energia delle fonti rinnovabili.
Collegamenti ferroviari che aiutino l’integrazione europea. Unificazione e accelerazione
dei 28 mercati online d’Europa. Quello che Juncker porta a strategie già note è un nuovo — e, per molti, indispensabile — senso di urgenza. Il nuovo presidente della Commissione assicura che un programma di lavoro per gli investimenti sarà pronto nel prossimo febbraio. I rischi, qui, non sono pochi e riguardano la scelta degli investimenti da incentivare.
Alcuni (un elettrodotto Francia- Spagna, i gasdotti che portino metano da Ovest ai paesi oggi strangolati dal monopolio Gazprom, la rete informatica italiana in fibra) sono facili. Altri meno. Ad esempio, la Tav Torino-
Lione.
tweet durante il vertice (la stampa)
Mogherini? Lo SVE Reinfeldt: "Ci sono visioni diverse nell’Ue sulla Russia. Serve qualcuno che sappia tenere una posizione ferma"
QUELLO CHE VUOLE L’EST
LA STAMPA DI STAMATTINA ZATTERIN
“Serve qualcuno di esperienza”
Così i Paesi dell’Est manovrano
per fermare la corsa dell’italiana
La fronda cresce ma la trattativa continua per ottenere altro
«Nel comporre il pacchetto si deve tener conto dell’Est», sussurra un diplomatico di un paese a nord della Germania. È la chiave della disfida che vede in palio l’assegnazione della poltrona di Alto rappresentante Ue per gli Esteri, «Mister o Mrs Pesc» (Politica Estera e di Sicurezza Comune). Si cerca di decidere stasera al vertice di Bruxelles, l’Italia è in pole con Mogherini, ma molte delegazioni trovano da ridire. Dalle parti del neopresidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, si racconta che la banda dei «perplessi su Federica» conta una decina di teste. Un numero non piccolo che però potrebbe dimagrire in fretta.
Frenano i polacchi e i baltici, soprattutto. L’unica cosa che si riesce a strappare a un diplomatico lituano è che «per noi conta l’esperienza». Quindi arriva il premier di Varsavia, Donald Tusk, che parla di trattativa congiunta per l’Alto rappresentante e il presidente del Consiglio. Gioco svelato, forse. Del resto anche Janusz Lewandowski, popolare polacco, ammette che «una buona parte dei contrari sta facendo tattica», anche perché «a tutti piace il vento nuovo che sta portando Renzi». Starebbero insomma giocando questa partita poiché è la prima in calendario. Tengono alla larga la signora Mogherini per avere qualcosa in cambio. «Portafoglio Energia», dicono più interlocutori. O il posto di Van Rompuy a Justus Lipsius.
In campo c’è il partito di Kristalina Georgieva, bulgara, classe 1953, grosso modo Ppe, lunga esperienza alla Banca mondiale, oggi commissario all’Umanitario. Molto apprezzata. Parla russo. Però la trama è confusa. Il connazionale Tomislav Donchev, europarlamentare popolare, sottolinea che la sua candidatura a Mrs Pesc è stata lanciata da «alcuni paesi e dalla stampa britannica». Racconta che la situazione politica a Sofia è complessa e che solo all’ultimo si saprà se il governo dimissionario di Plamen Oresharski vuole Kristalina oppure no. Per confondere le acque, il presidente del partito socialista europeo, Sergei Stanishev, anche lui bulgaro, ha giurato che i suoi non voteranno mai e poi mai la Georgieva.
Questo conferma l’intesa fra Renzi e i socialisti. Tiene. Un punto per l’Italia. Il popolare estone Tunne-Väldo Kelam non ne fa una questione di persone, ma di competenze. «Dobbiamo avere una politica estera forte per contenere le aggressioni dei russi – confessa –. Oggi loro fanno l’agenda e noi reagiamo, mentre dovrebbe essere l’Europa a guidare il gioco». In tale ottica, insiste, «mi pare che l’italiana manchi dell’esperienza per archiviare l’esitante politica estera dell’Ue». Sta con la Georgieva, si capisce, e suggerisce che lo spacchettamento del portafoglio potrebbe aiutare. Mentre fonti polacche dicono che il ministro degli Esteri Sikorski non è più l’uomo di Tusk, che invece ha in mente il portafoglio Energia. O il Consiglio, magari per sé. In lizza ci sono l’ex premier estone Andrus Ansip, come il lettone Valdis Dombrovskis. Poi c’è la lituana Dalia Grybauskaitë.
Tutti vogliono qualcosa, e l’est come l’Italia, non può uscire sconfitto. Vertice duro. Quasi una fiera.[mar.zat.]
ANTONELLA RAMPINO
Ma Federica Mogherini ce la farà a diventare Alto Rappresentante per la politica estera europea, stante le recenti posizioni avverse che lo stesso presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha quantificato in «10-11 paesi»? Trattandosi oltretutto di nazioni e governi concentrati ad Est e lungo il mar Baltico, tradizionale area d’influenza di Angela Merkel, il cui capo della diplomazia Stenmeier pure è stato tra i primi sponsor di Mogherini? E l’esperienza del ministro, sarà sufficiente a dare impulso a una carica strategica che richiede di tener conto imparzialmente delle posizioni dei 28, e trovare brillante sintesi?
O si espone una giovane donna che è al governo solo da pochi mesi, pur molto preparata e seria? Cosa accadrebbe se poi oggi, nel tavolo a 28, non si trovasse l’accordo, dato che Juncker ha stabilito che la procedura è quella del cosiddetto consensus, e dunque non basterà una semplice maggioranza? Le domande che tutti in questi giorni si pongono sono riecheggiate anche nell’incontro di due ore, ieri nello studio di Giorgio Napolitano che ha ricevuto in udienza Matteo Renzi.
Colloquio ad ampio raggio, come sempre. E al quale non sono dunque sfuggiti il timing per le riforme istituzionali - che a quanto pare almeno in Senato dovrebbero procedere di lena - e qualcosa che, come sottolinea con forza il comunicato finale del Quirinale, preoccupa non poco Napolitano tanto che «nei contenuti dell’udienza» c’era anche la presidenziale «sollecitazione al Parlamento e a tutte le forze politiche» per l’elezione dei due giudici della Corte costituzionale e di otto membri laici del Csm. Si tenterà di chiudere entro la prossima settimana su Palazzo dei Marescialli. E, riferiscono fonti parlamentari, il nome più quotato sarebbe quello di Massimo Brutti.
Ma appunto il cuore dell’incontro era europeo, anche perché i due presidenti non si vedevano al Quirinale dal 25 giugno, alla vigilia del precedente Consiglio Ue. Dopo quella data, il premier non era salito al Colle a riferire dell’esito del vertice, e Napolitano aveva però ricevuto in udienza, abbastanza lunga e one-to-one, proprio Mogherini. E poi l’ambasciatore Nelli Feroci, che ha sostituito come commissario pro tempore Antonio Tajani, e l’uomo sul quale la Francia punta per il portafoglio dell’Economia Pierre Moscovici. Tutti segnali che il dossier europeo è ovviamente seguito con estrema attenzione dal capo dello Stato, che nella sua lunga storia politica ha anche una forte esperienza proprio a Bruxelles, oltre ad essere considerato una colonna dell’europeismo, per dirla con Hollande.
Dunque, ascoltate le parole di Napolitano - che ha un metodo preciso di dialogo, sempre e con tutti, e specialmente con i presidenti del Consiglio: porre domande - Renzi è rientrato a Palazzo Chigi, e da lì ha rinnovato i contatti con le Cancellerie: ha chiamato Angela Merkel e François Hollande, alleati principali anche per il sostegno a Mogherini, ed Herman Van Rompuy che ha in mano la road map delle nomine di qui all’autunno, dato che solo per quell’epoca si affronterà il ruolo di presidente del Consiglio europeo. Fonti di Palazzo Chigi riferiscono che il premier «non è affatto preoccupato dell’annunciata contrarietà della Lituania», lo descrivono «determinato a giocarsi la partita, forte di una rete costruita in queste settimane». Ai suoi collaboratori ha detto «adesso tocca a noi». E certo non è una novità la determinazione di Renzi.
Un uomo come Napolitano, che sa bene come in Europa contino - moltissimo - anche le sfumature e le forme (basti pensare a quanto sia «unusual» saltare una conferenza stampa) probabilmente avrebbe vissuto con maggior serenità che l’Italia avesse «un piano B» anche per le nomine europee, come del resto sta facendo la Francia per la quale oltre a Moscovici è in campo anche Elizabeth Gigou (pure ricevuta al Quirinale ieri). Insomma, «stiamo attenti a non restare imbrigliati in una soluzione sola» pare sia stato il senso del ragionamento, secondo fonti politiche, che Napolitano avrebbe fatto a Renzi. Se quel blocco anti-Mogherini è di pura tattica, lo si vedrà solo oggi.