Paolo Comi, Il Garantista 16/7/2014, 16 luglio 2014
LA LEGGE ELETTORALE “ACERBO” CHE BLINDÒ IL POTERE DI MUSSOLINI
Il fascismo si consolidò, alla fine del 1923, approvando una nuova legge elettorale, che fu battezzata legge-Acerbo, dal nome del sottosegretario che la concepì e la presentò prima in Consiglio dei ministri e poi alla Camera. Il sottosegretario in questione era un economista, un possidente terriero e l’erede di una nobile famiglia abruzzese. Si chiamava Giacomo, n suo nome passò alla storia come il simbolo della svolta dittatoriale del fascismo, la legge -Acerbo è quella che ha troncato il regime democratico, due anni dopo la marcia su Roma. In realtà l’inventore di questa legge sciagurata era un signore sobrio e moderato, che il 25 luglio del 1943 votò l’ordine del giorno Grandi, e cioè la mozione dei dissidenti che fece cadere Mussolini.
La legge Acerbo consisteva nell’introduzione nel sistema elettorale di un premio di maggioranza, che assegnava alla lista più forte i due terzi del seggi parlamentari. Con un solo ostacolo, e cioè la necessità – per ottener il premio – di avere raccolto almeno il 25 per cento dei voti validi. Vedete bene che era una legge non molto diversa da quelle di oggi. Anzi, in qualche modo era più democratica del “porcellum” di Calderoli, il quale assegna al vincitore un premio di maggioranza minore (il 55 per cento anziché il 66 per cento dei seggi) ma senza la “soglia” del 25 per cento.
La nuova legge Renzi-Berlusconi è un po’ meno autoritaria, perché richiede almeno il 37 per cento per ottenere la maggioranza assoluta dei seggi. Però lo spirito è quello.
La legge-Acerbo fu approvata con difficoltà, un po’ come questa legge Renzi-Berlusconi. Perché fu portata ai voti di fronte a un Parlamento, quello eletto nella primavera del 1921, dove i fascisti non avevano la maggioranza, ma solo il 20 per cento. In quel parlamento il partito più forte era il partito socialista, col 25 per cento, e poi c’era la Dc (che si chiamava partito popolare) al 20 per cento, i liberali al 10 per cento e i comunisti al 5. Mussolini se ne fregò delle opposizioni, andò avanti, mise la fiducia, giocò sulla convinzione un po’ di tutti che se cadeva il governo per l’Italia erano guai. Avete presente la sindrome da ultima spiaggia? Beh, una cosa di quel genere.
La legge fu approvata, seppure per pochi voti, nonostante le resistenze della sinistra e di parte dei liberali. La Dc, tranne don Sturzo, andò con Mussolini.
Così nel 1924, ad aprile, si votò con la legge-Acerbo e i fascisti stravinsero. Per la verità la legge servì a poco, perché il listone di Mussolini prese oltre il 60 per cento dei voti, e quindi il premio m modesto, pochi seggi.
Nonostante tutto, comunque, le sinistre e i popolari ottennero un discreto numero di seggi. Tanto che persino Antonio Gramsci fu eletto in Parlamento. E fu eletto il segretario del partito socialista, che si chiamava Giacomo Matteotti e che il 30 maggio, nella prima seduta del nuovo parlamento, pronunciò un discorso durissimo, nel quale denunciò le violenze delle squadracce fasciste ai seggi e disse che in quel clima le elezioni non potevano considerarsi valide.
Il discorso fu interrotto decine di volte dai deputati fascisti e anche da Mussolini. Il clima era bollente. Quella mattina Matteotti lasciò Montecitorio sussurrando ai suoi compagni del Psi: “Io il mio discorso lo ho fatto, ora voi preparate il mio discorso funebre”.
La mattina del 10 giugno, poco più di una settimana dopo il discorso, Matteotti fu rapito mentre camminava a piedi sul lungotevere, vicino a piazzale Flaminio. Lui combattè con gli aggressori, a pugni, e loro gli rifilarono una coltellata e lo uccisero. Poi nascosero il corpo, che fu ritrovato solo a ferragosto.
Ci fu un moto di sdegno nel paese e il regime vacillò. Sei mesi di fuoco. Poi il 25 gennaio Mussolini si presentò al parlamento, rivendicò l’azione dei fascisti e pronunciò il famoso discorso del “bivacco dei manipoli”.
Dopo la Liberazione Giacomo Acerbo fu arrestato e processato. Lo difese l’avvocato Pasquale Galliano Magno, che era stato l’avvocato della famiglia Matteotti. Acerbo si beccò 48 anni di carcere ma poi la Cassazione annullò tutto, lui fu libero e tornò anche a insegnare all’Università. Morì nel 1969, in pieno autunno caldo.