Sara Faillaci, Vanity Fair 16/7/2014, 16 luglio 2014
COME SI CAMBIA
[Intervista a Corrado Passera] –
Corrado Passera apre la porta di casa – quella che affitta ogni estate a Sabaudia – in calzoni corti e camicia stropicciata. Vede che la sto guardando e si giustifica: «Ho giocato in spiaggia con i bambini».
Non credo abbia mai ricevuto un giornalista con questa mise, fuori da un ufficio e da un contesto consono all’immagine di consulente (McKinsey), amministratore delegato (L’Espresso, Olivetti, Poste Italiane, Banca Intesa), ministro. E politico, si può aggiungere da quando, in febbraio, ha fondato il movimento Italia Unica. In questi giorni, per Rizzoli, è uscito Io siamo, il libro che illustra il suo programma per far ripartire il Paese: 400 miliardi di investimenti per pagare i debiti dello Stato verso le imprese, ridurre le tasse ai cittadini, creare lavoro.
Nel novembre 2011 Mario Monti l’aveva chiamato, nel suo governo tecnico, allo Sviluppo economico. Passera però non l’ha seguito nella fallimentare avventura elettorale del 2013 con Casini e Fini. E, siccome un ex ministro non può ricoprire – nei dodici mesi dopo la fine del mandato – incarichi legati alla sua sfera di competenza, ha vissuto, per la prima volta in vita sua, un anno sabbatico forzato. Risultato: abbronzatura e neppure un filo di grasso sul suo metro e novanta di altezza. Compie sessant’anni il prossimo 30 dicembre, ma sembra più giovane di quando ne aveva quaranta, e non è solo merito della pausa lavorativa. La metamorfosi è, soprattutto, opera di Giovanna Salza, 40 anni, sua moglie dal 2011 e madre dei suoi figli più piccoli, Luce, 4 anni, e Giovanni, 2 e mezzo (Sofia e Luigi, 28 e 27, sono nati dal primo matrimonio).
Che effetto fa stare dodici mesi senza lavorare?
«Di grande libertà. Non alzavo la testa dalla scrivania da 35 anni. Poi ho iniziato a riempirmi la giornata di cose da fare e, alla fine, erano di nuove troppe».
Ha scritto il libro da solo?
«Con molti amici, e soprattutto con Giovanna. La politica non era la scelta ovvia, sarebbe stato molto più facile tornare a fare il mio lavoro di prima. Abbiamo deciso insieme di buttarci in quest’avventura, un terzo inizio per noi».
Perché terzo?
«Il primo è stato quando abbiamo scelto di condividere la vita, nonostante le tante difficoltà. Il secondo, quando abbiamo deciso di lasciare la banca per il ministero. La politica è il terzo. Del resto, quando ho accettato di fare il ministro non ho mai pensato di farlo solo come tecnico: volevo cambiare il Paese».
Quel governo però ha fallito.
«Monti era partito bene con l’opera di salvataggio, ma non ha avuto lo stesso coraggio nella fase dello sviluppo e delle riforme. Ha ceduto alle vecchie regole della politica, ha iniziato a incontrare i capi di partito. Bastava reggere ancora sei mesi, si sarebbero potute fare tante cose».
Lei era ministro: non ha detto a Monti che stava sbagliando?
«Gli ho detto molto di più: che mi sentivo tradito. Ma ho ritenuto mio dovere restare, per fare quello che si poteva: energia, start-up, minibond, infrastrutture».
Per quel tradimento ha deciso poi di non seguirlo alle elezioni?
«Per presentarmi con lui gli avevo posto due condizioni: agenda fortissima e partito del tutto nuovo. Monti mi ha detto sì, ma poi Montezemolo, Fini e Casini si sono messi di mezzo e lui si è alleato con loro, per mancanza di coraggio e forse per presunzione: pensava che li avrebbe gestiti. Secondo tradimento, e me ne sono andato».
Ma non ha rinunciato alla politica.
«Ho avuto un padre imprenditore – settore alberghiero – molto attento ai problemi della comunità. Già ai tempi del liceo, il classico di Como, ero tra i fondatori di un movimento per riprenderci la scuola dagli estremisti di destra e di sinistra».
Secchione?
«Non ero un bambino forte, e al ginnasio ho molto faticato per emergere».
Il libro è dedicato a suo fratello. Perché?
«Perché mi manca tantissimo. Se ne è andato l’anno scorso, a 56 anni: arresto cardiaco. Sembravamo così diversi: lui più simpatico, io più serio, io padre e marito presto, lui libero, ma ci univa l’impegno verso la comunità. Antonello aveva scelto di prendere le redini dell’azienda di famiglia, i tre alberghi. Era più portato di me: io avrei avuto difficoltà a lavorare con mio padre, ero curioso, ambizioso, volevo creare qualcosa di mio. Per anni ognuno ha fatto la propria vita, ma quando ho vissuto il momento terribile della fine del mio primo matrimonio, forse perché mi ha visto per la prima volta debole, Antonello mi ha molto aiutato. Da allora ci siamo dati tanto».
Si riferiva a questo parlando, poco fa, di «difficoltà» all’inizio del rapporto con Giovanna?
«Quando il mio matrimonio precedente è entrato in crisi ho vissuto un periodo tristissimo. L’impegno preso davanti a Dio, la responsabilità verso i figli, i trent’anni passati insieme a mia moglie: era inaccettabile l’idea di separarmi. Per dieci anni abbiamo cercato in tutti i modi di salvare una storia che, però, era finita. Io ero diventato l’ombra di me stesso. Di quella sofferenza si sono accorti anche i miei figli, e proprio da loro alla fine è arrivato il gesto di amore: mi hanno detto che erano grandi, che avrebbero capito. Così ho trovato la forza di prendere la decisione e iniziare una nuova vita».
Che le ha portato...?
«Una passione pazzesca per tutto. Un grande amore, reso forte dalle difficoltà, e poi la condivisione di ogni cosa con la mia donna. Anche questa scelta della politica non sarebbe stata possibile senza Giovanna. Lei ha rotto la corazza che negli anni mi ero costruito, anche funzionale al mestiere che facevo prima, e ha tirato fuori cose di me che c’erano ma erano intrappolate».
I figli grandi come l’hanno accolta?
«Sono stati straordinari. Il giorno del nostro matrimonio, Luigi le ha dedicato un discorso di benvenuto nella nostra famiglia: uno dei momenti più emozionanti della mia vita. È stata brava anche la loro madre. Ed è stata brava Giovanna, che ha avuto grande rispetto per la mia vita precedente».
a tavola, un’ora prima, sembravano due neofidanzati. Lei raccontava che ogni Natale gli regala un’opera immaginata assieme a un giovane artista e ispirata al loro amore («Un anno ho chiesto a un fotografo di seguirci un’intera giornata a Parigi, la città dove è nata la nostra storia. Gli ho dato le chiavi di casa, è entrato all’alba, di nascosto, e ci ha fotografati appena svegli»). Lui, commentando la luna che le fece trovare in cielo la sera della festa di matrimonio – una luna gonfiabile, presa a Cinecittà –, ha ammesso di essere sempre stato un romantico, «ma Giovanna mi ha messo il turbo».
Due anni fa, a Vanity Fair, sua moglie ha raccontato che lei la prima sbronza se l’è presa a cinquant’anni suonati.
«Diciamo euforia etilica. Comunque sì, faceva sempre parte di quella corazza».
Con Giovanna ha fatto altri due figli.
«La spinta iniziale è stata la voglia di dare alla persona che amo la gioia più grande della vita, la maternità. Ma quando sono arrivati Luce e Giovanni, mi è sembrata la cosa più naturale e più bella del mondo».
Pappe, pannolini, bagnetti?
«Certo. Con grande gioia, e con il rammarico di non averlo potuto fare per i due grandi: all’epoca ero sempre fuori casa per lavoro. Dobbiamo maturare come Paese: la divisione dei ruoli è forzata ed è tutto ancora scaricato sulle donne, che sono l’unico vero ammortizzatore sociale. Nel mio programma ci sono asili, orari flessibili, permessi parentali per entrambi i sessi».
A proposito di asili: quali ha scelto per i suoi figli?
«Benché io sia sempre stato a favore della scuola pubblica, per Luce abbiamo scelto un asilo inglese. Spiace dirlo, ma gli anglosassoni coltivano meglio le loro potenzialità. E poi oggi bisogna conoscere l’inglese come l’italiano».
Non si è mai sentito troppo grande per essere di nuovo padre?
«Me lo sono chiesto e mi sono risposto di no. Come non avverto i vent’anni di differenza con Giovanna. Mi sento molto più giovane della mia età, per apertura mentale e disponibilità al cambiamento».
Padre a trent’anni e a sessanta: che differenza c’è?
«Oggi ho più sicurezza in me stesso: devo essere attento a evitare il “so tutto io”».
Non è giovane, viene dai poteri forti: che chance pensa di avere in politica, dopo il 41% di Renzi alle Europee?
«Voglio rappresentare chi in questo Paese vuole un cambiamento vero. Renzi, per ora, si sta limitando a un restyling. Ha fatto male quello che ha fatto – la legge elettorale, la riforma del Senato, gli 80 euro ai non poveri ottenuti aumentando le tasse – e poi, cosa più grave, non erano certo quelle le priorità in un Paese con dieci milioni di disoccupati».
Ha provato a consigliarlo?
«In passato ci sentivamo spesso, ma a un certo punto è sparito. Si vede che condividere la scena non gli piace».