Marco Ansaldo, La Stampa 16/7/2014, 16 luglio 2014
RIVOLUZIONARIO E VINCENTE CONTE BATTUTO SOLO DALLO STRESS
Si erano visti i lampi, ieri è il tuono. Un tecnico che lascia al primo giorno di ripresa dei lavori è un inedito per la Juve.
Un inedito per la Juve e comprova che troppe cose non hanno funzionato nel rapporto tra il tecnico e la società. Quali che siano state le pretese dell’uno e le promesse dell’altra, la vicenda andava risolta a suo tempo senza lasciare portoni aperti a una decisione spiazzante e inopportuna che la Juve pagherà amaramente. Se la dirigenza immaginava di non poter condurre il mercato che Conte aveva chiesto, bisognava riconoscerlo a maggio e percorrere la scelta di un altro allenatore. E se il tecnico sapeva di chiedere cose fuori dalla politica del club, doveva prenderne atto e salutare un mese e mezzo fa, non ieri. Così si è creato un deprimente pasticcio da cui tutti avranno difficoltà ad uscire. La «risoluzione consensuale» sbandierata per rattoppare l’immagine fa sorridere: sembra di sentire il rumore delle porte che sbattono a Vinovo.
Si dà la colpa al mercato. Da due anni Conte contestava alla Juve di pensare solo al bilancio. «Ci sono pressioni perché i soldi non siano investiti negli acquisti ma per ripianare la situazione finanziaria», era il suo tormento, convinto com’era che il ricavo della cessione di Vidal o di Pogba o di entrambi non sarebbe stato reimmesso tutto sul mercato. Diceva che il Napoli aveva speso i 60 milioni di Cavani e ne aveva aggiunti altri per potenziare la squadra. Non era sicuro che ad Andrea Agnelli sarebbe stato permesso quanto aveva fatto De Laurentiis. «C’è chi ha pagato 100 milioni e chi meno di 20», sottintendendo «e siamo noi quelli che dobbiamo vincere tutto». Gli si faceva notare che Atletico Madrid e Borussia Dortmund erano arrivati a due finali di Champions League vendendo più di quanto avevano comprato. Ma il discorso non lo toccava: per lui, a gioco lungo il calcio è dominato da chi compra i campioni. Evidentemente Conte ha visto, o creduto di vedere, che anche quest’anno la politica bianconera era la stessa.
Non crediamo che sia tutto qui. Nella scelta molto sofferta (per capirlo basta la sua faccia nell’intervista a Juve Channel in cui annuncia il divorzio) c’è l’inquietudine di un uomo simpatico e divertente quando non c’è di mezzo il calcio, ma che non sa lavorare senza macerarsi. «Il mio è un modo di allenare con la testa e con la pancia», ha ripetuto più volte. A bordo campo usava la testa, appena fuori prendevano il sopravvento la pancia, l’umore, le ombre di nemici appostati dietro l’angolo e spesso inventati pur di trovarne. Quel terrore, purtroppo contagioso tra i nuovi allenatori, che ogni dettaglio del suo lavoro venisse spiato anche se alla fine la Juve, come ogni altra squadra, faceva al 90 per cento sempre le stesse cose. Era il Conte che quando appariva in tv dopo le partite veniva l’impulso di usare il telecomando per non sentirlo. Per uno così ogni stagione ne vale tre, è come se avesse percorso alla Juve un decennio. L’idea, condivisibile, che la serie degli scudetti possa finire alla quarta stagione non lo faceva dormire. Dopo un campionato da record aveva notato che l’entusiasmo dei tifosi era inferiore all’anno precedente e un decimo di quanto ne aveva prodotto il primo scudetto.
Anzi, molti gli imputavano la mancata finale dell’Europa League. Per la gente bianconera vincere in Italia era ormai scontato, bisognava aggiungerci la Champions e lui pensava che il divario con il Real Madrid «et similia» fosse incolmabile. Questo l’ha portato sull’orlo della decisione ed è bastata una divergenza di mercato per caderci dentro. Se ne va il tecnico del rilancio, dei tre scudetti, l’allenatore che ha rigenerato chi pareva al tramonto e migliorato chi pareva scarso. In mezzo secolo non avevamo visto la Juve, neppure quella di Boniek e Platini, giocare il calcio intenso e martellante della sua prima stagione: nelle due successive era un po’ calato di ferocia ma si era fatto più redditizio. Conte sapeva di dover cambiare modello, il suo ormai lo conoscevano tutti e non pagava in Europa: magari ha ritenuto di non avere gli uomini giusti e se ne è andato. Ma dopo un triennio tanto esaltante, è stata sbagliata l’uscita.