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 2014  luglio 16 Mercoledì calendario

«VI RACCONTO IL MIO VINCENZO IL TOUR NON CAMBIERÀ LA NOSTRA VITA»


DALLA NOSTRA INVIATA BESANCON — Il guizzo a sorpresa di Sheffield, il capolavoro di fango e cuore sul pavé, la scalata alla Planche con il pollice in bocca da dedicare a Emma Vittoria, 3.350 grammi per 50,5 cm che gli hanno cambiato la vita e, forse, la carriera. Quante volte hai pianto in questi primi rutilanti dieci giorni di Tour de France, Rachele? «In verità, più spesso, rido. Il gesto di lunedì, a Planche des Belles Villes, quando ha dedicato la riconquista della maglia gialla a Emma, è stato simpaticissimo, non me lo aspettavo. Ma so quanto Vincenzo è innamorato della sua bimba». La dama mora, Rachele Perinelli in Nibali, una decina di biciclette per casa (nessuna nel soggiorno: per fortuna a Lugano c’è un ampio garage) e una valanga di body rinforzati sul sedere da candeggiare con cura mentre il proprietario pedala in Francia, è l’architrave che sorregge il mondo interiore della maillot jaune (con oggi, 11a tappa, fanno nove giorni d’amore, incluso il riposo).
Si sono conosciuti all’appuntamento al buio organizzato da Valerio Agnoli, compagno di squadra di Nibali, tre anni e mezzo fa. «Di ciclismo, mai saputo nulla. Arrivo di corsa, non lo riconosco, mi piace subito come si presenta: mi prende la mano e si fa baciare sulla guancia. Altro che timidone… Quando vuole, lo Squalo è intraprendente». Colpo di fulmine. Rachele lo segue alle corse, legge i giornali, ascolta i commenti: «Metto insieme gli indizi e capisco che non mi sono messa con il primo ciclista di passaggio». Fidanzamento velocissimo («Al netto delle sue assenze ci saremmo visti due mesi» scherza ma non troppo), matrimonio il 13 ottobre 2012. «Mi sono ammattita e l’ho sposato. Una follia!» ride. Cos’abbiano in comune il Gattopardo orgoglioso di Messina e la ragazza di Acuto, «sì, come l’angolo», Fiuggi, è mistero che la stessa Rachele non saprebbe spiegare, tra il successo al Giro 2013 e questo pazzesco Tour arrivato a metà strada l’ha visto più alla televisione che dal vivo e dal 28 febbraio scorso c’è un ottimo motivo in più per alzare il volume quando Vincenzo risponde alle interviste a fine tappa: «Emma riconosce la voce del papà. S’incanta a guardarlo e tende la manina per toccarlo».
Compirà cinque mesi il giorno dopo il podio di Parigi. Nulla per caso. Il Nibali di Rachele è come lo vediamo noi qui in Francia, il destino del fuoriclasse dentro l’umiltà del gregario, la normalità spinta di chi riversa tutti i talenti nel suo mestiere, come a mantenere in equilibrio il livello dei vasi comunicanti. «Per il ciclismo è un campione, per me è Peter Pan. Sale in auto e si addormenta, per farmi rispondere devo chiedergli le cose tre volte. Vive sulla sua nuvola».
Diventare papà l’ha cambiato? «Sì. È più calmo, più responsabile e anche più affettuoso». La maglia gialla, in casa, si dà da fare. «Cucina benino: l’ultima volta ha fatto gli spaghetti al nero di seppia. Veste la bimba, non la cambia, la porta al parco e uscendo dalla porta mi dice: ciao, vado a fare il vedovo… La fede d’altronde, magro com’è, gli scappa dall’anulare». Deformazione professionale. Nell’ambiente gira un buffo aneddoto: prima di partire per il Giro d’Italia del trionfo, sapendo che sarebbe sparito per un mese, Rachele ha fatto attaccare a Vincenzo le tende del salotto. «Verissimo: non ne potevo più di stare senza…».
La telefonata serale alla moglie, in questo viaggio nell’anima chiamato Tour, è l’unica certezza cui Nibali non potrebbe mai rinunciare. «Cerco in tutti i modi di trasmettergli calma ma lo sento sereno. Nel bene e nel male teniamo sempre i piedi per terra: cadere dalle stelle sarebbe troppo doloroso. Il pianto al campionato italiano, dopo un anno che non vinceva, vi ha fatto capire quanto avesse sofferto. Questo Tour, fin qui così bello, ripaga di tutti i sacrifici: suoi e nostri. Vincerlo, certo, sarebbe un sogno».
C’è il tempo di scherzare su un marito depilato («No, non mi chiede consigli! Rasoio e via»), che ride a crepapelle quando Emma gli fa le pernacchie e s’incavola di brutto quando Rachele sposta le cose per casa e lui non le trova più. «È meticoloso, precisino. In garage smonta le bici, le rimonta, le lava, ci parla, le coccola. Se non avesse fatto il ciclista sarebbe stato un grande meccanico». E invece eccolo qui, primo a testa alta sulle strade che Marco Pantani spianò 16 anni fa. «Ma alla fine del Tour, sperando che tutto vada per il meglio, lo rivoglio a casa almeno per una settimana, senza discussioni». Undici tappe al giorno X, tra Alpi, Pirenei e la cronometro finale. Rachele, ennesima Penelope dello sport, sa aspettare: il suo Nibali e il suo Tour.